Estratto dalla Rassegna elaborata dall’Ufficio del Massimario
IL CONTRATTO IN GENERALE
(di Francesco Cortesi e Paola D’Ovidio)
SOMMARIO: 1. Contratto atipico – 2. Conclusione del contratto, presunzione di conoscenza, proposta e accettazione – 3. Integrazione del contratto e responsabilità precontrattuale – 4. Condizioni generali e clausole vessatorie – 5. Oggetto – 6. Causa –
7. Forma – 8. Preliminare ed esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre – 9. Condizione 10. Interpretazione e qualificazione del contratto – 11. Esecuzione secondo buona fede. – 12. Clausola penale e caparra – 13. Rappresentanza e ratifica –
14. Contratto a favore di terzi – 15. Simulazione – 16. Nullità del contratto – 17. Annullabilità del contratto – 18. Risoluzione del contratto.
1. Contratto atipico. In tema di contratti atipici, nel corso dell’anno 2016 la Suprema Corte ha avuto occasione di approfondire alcuni aspetti del contratto di vitalizio improprio o assistenziale, in particolare evidenziando il rilievo che l’aleatorietà assume in tale rapporto e le differenze dal contratto di donazione.
In proposito, Sez. 2, n. 08209/2016, Falabella, Rv. 639694 e Rv. 639695, ha ribadito la configurabilità, in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., di un contratto atipico di “vitalizio alimentare”, individuandone le differenze dal contratto nominato di rendita vitalizia, di cui all’art. 1872 c.c., nel carattere più marcato dell’alea che lo riguarda, inerente non solo la durata del rapporto, connessa alla vita del beneficiario, ma anche l’obbiettiva entità delle prestazioni (di fare e di dare) dedotte nel negozio, suscettibili di modificarsi nel tempo in ragione di fattori molteplici e non predeterminabili (quali le condizioni di salute del beneficiario), nonchè nella natura accentuatamente spirituale di tali prestazioni, eseguibili unicamente da un vitaliziante specificatamente individuato alla luce delle sue peculiari qualità personali. La medesima pronuncia, proprio sul presupposto che l’alea del contratto atipico di vitalizio alimentare comprende anche l’aggravamento delle condizioni del vitaliziante, ha conseguentemente osservato che il trasferimento all’onerato di un ulteriore bene, mediante la conclusione di un successivo contratto cd. di mantenimento, quale compenso della maggiore gravosità sopravvenuta dell’assistenza materiale e morale da prestare, è privo di causa, giacché tale ulteriore attribuzione patrimoniale elimina il rischio che è invece connaturale al precedente contratto: in siffatta ipotesi, dunque, la causa di scambio, non essendo giustificata da un diverso corrispettivo, dissimula quella di liberalità.
Sulla stessa scia si pone anche Sez. 2, n. 15904/2016, Manna F., Rv. 640569, la quale, esaminando il differente caso in cui vi sia un’originaria macroscopica sproporzione del valore del cespite rispetto al minor valore delle prestazioni, ha affermato che tale situazione fa presumere lo spirito di liberalità tipico della donazione, eventualmente gravata da modus: a tale conclusione la sentenza è pervenuta osservando che l’elemento che differenzia il contratto atipico di vitalizio assistenziale dalla donazione è proprio l’aleatorietà, essendo il primo caratterizzato dall’incertezza obiettiva iniziale circa la durata di vita del beneficiario e il conseguente rapporto tra valore complessivo delle prestazioni.
Di particolare interesse, per la frequente ricorrenza della fattispecie, è inoltre la decisione di Sez. 1, n. 10710/2016, Bisogni, Rv. 639852 relativa all’ipotesi di emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia, nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento: un tale assegno, si legge nella sentenza, è contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume, enunciato dall’art. 1343 c.c., sicché, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 c.c.
2. Conclusione del contratto, presunzione di conoscenza, proposta e accettazione. Sulla operatività della presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c. meritano di essere segnalate due pronunce, tra loro discordanti, relative agli effetti della spedizione di una lettera raccomandata.
Ad avviso di Sez. L, n. 12822/2016, Berrino, Rv. 640371, la presunzione di conoscenza di un atto, del quale sia contestato il pervenimento a destinazione, non è integrata dalla sola prova della spedizione della raccomandata, essendo necessaria, attraverso l’avviso di ricevimento o l’attestazione di compiuta giacenza, la dimostrazione del perfezionamento del procedimento notificatorio.
Di segno opposto, ma in linea di continuità con altre più risalenti decisioni, è il principio affermato da Sez. 1, n. 17204/2016, Di Marzio M., Rv 641040, secondo il quale la lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso; sulla base di tale presupposto, la decisione citata ha ritenuto gravare sul destinatario l’onere di dimostrare di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di acquisire la conoscenza dell’atto.
Con riferimento al momento di conclusione del contratto, nel caso in cui si abbia un documento sottoscritto da una sola parte e si verta in una ipotesi di contratto per il quale la legge richiede la forma scritta ad substantiam, Sez. 1, n. 05919/2016, Di Marzio M., Rv. 639062, ha affermato che la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l’ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, precisando però che il conseguente perfezionamento del contratto avviene con effetti ex nunc e non ex tunc, essendo necessaria la formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano; da siffatta individuazione del momento di conclusione del contratto, la sentenza in discorso ha tratto l’importante conseguenza che tale meccanismo non opera se l’altra parte abbia medio tempore revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l’atto incompleto non sia più in vita nel momento della produzione, determinando la morte, di regola, l’estinzione automatica della proposta (art. 1329 c.c.), non più impegnativa per gli eredi. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il contratto quadro di investimento mobiliare formalmente non sottoscritto dalla banca si era perfezionato solo dal momento della produzione nel giudizio intrapreso dall’investitore nei confronti dell’intermediario, con conseguente inefficacia del pregresso ordine di acquisto del cliente).
Ancora in tema di contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam (nella specie, preliminare di vendita immobiliare), Sez. 2, n. 07543/2016, Correnti, Rv. 639491 e Rv. 639492, ha opportunamente precisato che l’operatività del principio secondo cui il perfezionarsi del negozio può avvenire anche in base ad un documento firmato da una sola parte, ove risulti una successiva adesione, anche implicita, del contraente non firmatario, contenuta in atto scritto diretto alla controparte, presuppone che quest’ultimo documento abbia tutti i requisiti necessari ad integrare una volontà contrattuale, ivi compresa l’individuazione o quantomeno l’individuabilità del destinatario della dichiarazione, e che, inoltre, tale volontà non sia stata revocata dal proponente prima che lo stesso abbia avuto notizia, anche in forma verbale o per facta concludentia, purché in modo idoneo a giungere a conoscenza dell’altra parte, dell’ accettazione della controparte.
A tale riguardo la sentenza chiarisce infatti che l’art. 1328, comma 1, c.c., il quale prevede che la proposta contrattuale può essere revocata finché il contratto non sia concluso, va inteso in correlazione con la diversa disciplina dettata per la revoca dell’accettazione dal comma 2, nonché tenendo conto del carattere recettizio di entrambi gli atti; ne deriva che la revoca si perfeziona quando sia spedita all’indirizzo dell’accettante prima che l’accettazione sia giunta a conoscenza del proponente, mentre resta irrilevante che l’accettante ne abbia notizia in un momento successivo a quello in cui l’accettazione sia giunta a conoscenza del preponente, posto che in tale evenienza l’affidamento dell’accettante resta tutelato dalla previsione di un indennizzo a carico del proponente per le spese e le eventuali perdite subite per l’iniziata esecuzione del contratto.
Quanto all’ipotesi di conclusione del contratto mediante esecuzione, Sez. 1, n. 11392/2016, Di Marzio M., Rv. 639820, ha sottolineato che la disciplina di cui all’art. 1327 c.c., secondo la quale il contratto, nelle tassative ipotesi indicate dal comma 1 della norma (richiesta del proponente, natura dell’affare ed usi commerciali), può intendersi concluso nel tempo e nel luogo dell’iniziata esecuzione senza la preventiva accettazione della proposta, presuppone una prestazione che palesi l’insorgenza del vincolo contrattuale; sulla base di tale premessa, la Corte ha coerentemente ritenuto che la mancata riscossione degli interessi dovuti sui debiti maturati non può configurarsi come esecuzione prima della risposta dell’accettante tale da determinare la conclusione di un contratto avente ad oggetto la rinuncia agli interessi stessi, trattandosi di una condotta meramente passiva.
Nella peculiare ipotesi di esercizio del diritto di prelazione agraria, le modalità di conclusione del contratto sono affrontate in una interessante pronuncia di Sez. 3, n. 12883/2016, Sestini, Rv. 640281, che ha ricondotto la fattispecie allo schema normativo di cui agli artt. 1326 e 1329 c.c., escludendo pertanto la revocabilità della denuntiatio durante il termine di trenta giorni previsto per l’accettazione della proposta; tale ricostruzione è basata dalla duplice considerazione che, da un lato, la trasmissione del preliminare ha tutti i connotati della proposta contrattuale e, dall’altro, la possibilità di revoca mal si concilierebbe con la natura della stessa denuntiatio, la quale è un atto unilaterale, di adempimento di obbligo legale, destinato a rendere attuale l’altrui diritto soggettivo.
Il profilo attinente alla conclusione del contratto è stato esaminato anche con riferimento ad un’altra particolare ipotesi, qual è quella dell’offerta pubblica di strumenti finanziari di cui agli artt. 94 e 95 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.
In tali casi, come chiarito da Sez. 1, n. 03625/2016, Nazzicone, Rv. 638799, l’investitore stipula con l’offerente un contratto consensuale ad effetti reali che si perfeziona attraverso un procedimento a formazione progressiva di cui la volontà del proponente, manifestata attraverso il prospetto informativo approvato dalla Consob ed immodificabile in ragione della sua rilevanza pubblicistica, costituisce il primo atto e l’adesione dell’investitore, espressa in forma adeguata, integra l’accettazione. Sulla base di tale inquadramento, la citata pronuncia osserva che il promotore finanziario – il quale, in ragione della sua collocazione nell’organizzazione dell’impresa dell’intermediario, non ha il potere di rappresentanza di quest’ultimo – non partecipa alla determinazione del contenuto negoziale e, pertanto, non è in grado, di propria iniziativa, di introdurre clausole che determinino una deviazione dalla disciplina del modello invariabile predisposto nel prospetto informativo, sicchè, ove prometta rendimenti più vantaggiosi rispetto a quelli indicati nel prospetto pubblicato, il terzo contraente non può invocare i principi dell’apparenza del diritto e, in particolare, la propria condizione di buona fede, per farne discenderne conseguenze a sé favorevoli, vincolando ad essi l’offerente, vertendo egli in una condizione di colpa inescusabile.
Con riferimento infine ai contratti stipulati dalla P.A., il panorama delle pronunce di legittimità si è arricchito di decisioni concernenti il modo di atteggiarsi del requisito della forma scritta, l’efficacia del verbale di aggiudicazione e il valore del collaudo nei contratti di appalto di opera pubblica.
Quanto al primo profilo, Sez. 3, n. 12540/2016, Tatangelo, Rv. 640379, dopo aver ricordato che i contratti conclusi dalla P.A. richiedono la forma scritta ad substantiam e devono essere consacrati in un unico documento, ha sottolineato che ciò esclude il loro perfezionamento attraverso lo scambio di proposta ed accettazione tra assenti (salva l’ipotesi eccezionale prevista ex lege di contratti conclusi con ditte commerciali), mentre tale requisito di forma deve ritenersi soddisfatto nel caso di cd. elaborazione comune del testo contrattuale, e cioè mediante la sottoscrizione – sebbene non contemporanea, ma avvenuta in tempi e luoghi diversi – di un unico documento contrattuale il cui contenuto sia stato concordato dalle parti.
Riguardo al verbale di aggiudicazione definitiva formato a seguito di incanto pubblico o licitazione privata, al quale l’art. 16, comma 4, del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, attribuisce efficacia equivalente a quella del contratto, Sez. U, n. 15204/2016, Ambrosio, Rv. 640609, ha affermato che la citata norma non ha carattere imperativo, per cui la P.A. può discrezionalmente prevedere, nel bando di gara o nel verbale suddetto, di rinviare ad un momento successivo l’instaurazione del vincolo negoziale. Sulla base di tale presupposto, la Corte ha quindi ritenuto che, qualora il bando di una gara pubblica per la ricerca di un complesso immobiliare ne preveda, altresì, l’acquisto attraverso una locazione finanziaria erogata da soggetto da individuarsi con un’ulteriore apposita gara pubblica, l’aggiudicazione in favore del fornitore dell’immobile non produce gli effetti della conclusione di un accordo negoziale, sicché le controversie afferenti la procedura di selezione del concedente della locazione finanziaria spettano alla cognizione del giudice amministrativo perchè relative ad una fase antecedente all’esaurimento della procedura amministrativa.
In relazione al contratto di appalto di opera pubblica, Sez. 1,
n. 02307/2016, Sambito, Rv. 638477, ha avuto modo di precisare che un tale contratto può ritenersi ultimato solo a seguito del collaudo, il quale rappresenta l’unico atto attraverso il quale la P.A. può verificare se l’obbligazione dell’appaltatore sia stata regolarmente eseguita ed è indispensabile ai fini dell’accettazione dell’opera da parte della stazione appaltante, mentre resta estraneo, e non rileva, il momento della consegna, come disciplinato, in generale, dagli artt. 1665 e 1667 c.c. (In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza impugnata perchè aveva valorizzato, quale prova del completamento di un contratto di appalto di opera pubblica, la mancanza di specifiche eccezioni della P.A. circa la sua regolare esecuzione, così evocando una sorta di accettazione tacita, e l’emissione della fattura, benchè il collaudo non fosse stato effettuato).
3. Integrazione del contratto e responsabilità precontrattuale. Una importante precisazione in tema di integrazione del contratto in virtù di norme sopravvenute alla sua conclusione è offerta da Sez. 1, n. 17150/2016, Genovese, Rv. 641048, con specifico riguardo alle norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell’usura (introdotte con l’art. 4 della l. 7 marzo 1996, n. 108): tali disposizioni, chiarisce la sentenza citata, pur non essendo retroattive, comportano l’inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti conclusi prima della loro entrata in vigore, e ciò sulla base del semplice rilievo, operabile anche d’ufficio dal giudice, che il rapporto giuridico, a tale momento, non si era ancora esaurito.
Il tema della responsabilità precontrattuale è affrontato in termini di assoluta novità da Sez. 1, n. 14188/2016, Valitutti, Rv. 640485, la quale è giunta a sovvertire l’orientamento, assolutamente maggioritario sia in dottrina che in giurisprudenza, che fino a tale pronuncia aveva ricondotto la responsabilità per culpa in contraendo nell’alveo della responsabilità extracontrattuale, configurandola quale estrinsecazione del più generale principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c.
La vicenda esaminata dalla Corte concerneva un contratto di appalto stipulato con la P.A., in relazione al quale non era però intervenuta l’approvazione ministeriale ai sensi dell’art. 19 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440: la S.C., premesso che il perfezionamento del vincolo contrattuale doveva ritenersi subordinato a detta approvazione ministeriale, non essendo all’uopo sufficiente né la mera aggiudicazione né la formale stipula del contratto ad evidenza pubblica, affermava che in tale situazione l’eventuale responsabilità della P.A. poteva essere configurata solo come responsabilità precontrattuale. In ordine poi alla riconducibilità di tale tipo di responsabilità nell’ambito dell’illecito o del contratto, la sentenza, all’esito di una attenta analisi storica e giurisprudenziale, rileva che elemento qualificante della culpa in contraendo, non è più la colpa, bensì la violazione della buona fede, la quale, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione reciproca tra le parti; da tale rilievo ne trae la conclusione che tale responsabilità, “in quanto ha la sua derivazione nella violazione di specifici obblighi (buona fede, protezione, informazione) precedenti quelli che deriveranno dal contratto, se ed allorquando verrà concluso, e non nel generico dovere del neminem laedere, non può che essere qualificata come responsabilità contrattuale”. Una responsabilità, specifica la Corte, da contatto sociale “qualificato”, ossia connotato da uno scopo che le parti intendono perseguire, nonchè tale da instaurare un rapporto caratterizzato da obblighi preesistenti alla lesione, ancorchè non si tratti di obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c., bensì di obblighi di protezione correlati all’obbligo di buona fede giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c.
Tale sentenza, come evidenziato nella motivazione della stessa, sviluppa e porta a compimento principi già espressi dalla Corte di cassazione non solo con riferimento ad altre fattispecie, ma anche nella specifica questione della configurabilità della responsabilità precontrattuale come responsabilità da contatto sociale qualificato.
Ulteriori interessanti problematiche esaminate nel corso del 2016 nell’ambito della responsabilità contrattuale hanno riguardato il caso in cui alla stipulazione del contratto preliminare non segua la conclusione del definitivo, nonché l’ipotesi di una configurabilità di tale responsabilità anche nel caso in cui alle trattative abbia fatto seguito la valida conclusione del contratto.
In particolare, Sez. 2, n. 07545/2016, Scarpa, Rv. 639457, ha affermato che, ove alla stipulazione del contratto preliminare non segua la conclusione del definitivo, la parte non inadempiente può agire nei confronti di quella inadempiente facendone valere esclusivamente la responsabilità contrattuale da inadempimento di un’obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale e non anche, in via alternativa, la responsabilità precontrattuale da supposta malafede durante le trattative, giacché queste ultime, cristallizzate con la stipula del preliminare, perdono ogni autonoma rilevanza, convergendo nella nuova struttura contrattuale che rappresenta la sola fonte di responsabilità risarcitoria.
A sua volta Sez. 1, n. 05762/2016, Lamorgese, Rv. 639093, ha tuttavia precisato che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, previsto dagli artt. 1337 e 1338 c.c., assume rilievo in caso non solo di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche di contratto validamente concluso quando, all’esito di un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito, alla parte sia imputabile l’omissione, nel corso delle trattative, di informazioni rilevanti le quali avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso.
4. Condizioni generali e clausole vessatorie. In materia di condizioni generali di contratto, Sez. 2, n. 07403/2016, Criscuolo, Rv. 639511, ha avuto modo di chiarire che, qualora le parti contraenti richiamino, ai fini dell’integrazione del rapporto negoziale, uno schema contrattuale predisposto da una di loro in altra sede (nella specie, un disciplinare-tipo adottato dalla Regione con decreto assessoriale) non è configurabile un’ipotesi di contratto concluso mediante moduli o formulari, assumendo la disciplina richiamata (nella specie, una clausola compromissoria, peraltro integralmente riprodotta dai contraenti) per il tramite di relatio perfecta il valore di clausola concordata, sicché resta sottratta all’esigenza dell’approvazione specifica per iscritto di cui all’art. 1341 c.c.
Con riferimento contratto di assicurazione della responsabilità civile, Sez. U, n. 09140/2016, Amendola A., Rv. 639703 si è occupata della clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (cd. clausola claims made mista o impura): la sentenza citata ha escluso la vessatorietà di siffatta clausola, precisando però che, in presenza di determinate condizioni, può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero – ove applicabile la disciplina del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 – per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali; la relativa valutazione va effettuata dal giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità quando congruamente motivata.
5. Oggetto. La produzione giurisprudenziale del 2016, con riferimento all’oggetto contrattuale, fornisce importanti chiarimenti in relazione a specifiche tipologie negoziali, segnatamente con riferimento al contratto di lavoro a progetto, al contratto di lavoro pubblico, al preliminare di vendita di immobile ed al contratto di appalto.
Riguardo al contratto di lavoro a progetto, disciplinato dall’art. 61 del d.lgs. n. 276 del 2003, Sez. L, n. 17636/2016, Balestrieri, Rv. 640817, osserva che tale negozio prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione; conseguentemente, tale sentenza esclude che il progetto concordato possa consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale della committente, e dunque nella previsione di prestazioni, a carico del lavoratore, coincidenti con l’ordinaria attività aziendale.
Sez. 6-L, n. 16094/2016, Marotta, Rv. 640722, si è invece occupata del lavoratore pubblico, precisando che quest’ultimo ha diritto ad un compenso per prestazioni aggiuntive purché i compiti, espletati in concreto, integrino una mansione ulteriore rispetto a quella che il datore di lavoro può esigere in forza dell’art. 52 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165; la decisione ha quindi chiarito che “mansione ulteriore” è quella che esuli dal profilo professionale salvo che, in presenza di un inquadramento che comporti una pluralità di compiti nell’ambito del normale orario, il datore di lavoro non abbia esercitato il proprio potere di determinare l’oggetto del contratto assegnando prevalenza all’uno o all’altro compito riconducibile alla qualifica di assunzione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di appello, che aveva escluso il diritto a compenso per straordinario di alcuni dipendenti di ente locale, inquadrati nel profilo di operatore dei servizi socio-educativi, cat. B, del c.c.n.l. 31 marzo 1999, ritenendo che le attività di pulizia rientrassero nel loro mansionario).
In relazione ad un preliminare di vendita di immobile, Sez. 2,
n. 11237/2016, Orilia, Rv. 640046, ha ritenuto che il requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto non postula la specificazione dei dati catastali, trattandosi di indicazione rilevante ai fini della trascrizione, ma non indispensabile per la sicura identificazione del bene, evincibile anche da altri dati.
Una ipotesi di nullità per illiceità dell’oggetto, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., è stata individuata da Sez. 1, n. 07961/2016, Sambito, Rv. 639609, nel contratto di appalto per la costruzione di un’opera senza la concessione edilizia, con la conseguenza che un simile contratto non è suscettibile di convalida, stante il disposto di cui all’art. 1423 c.c., né la sua nullità è sanabile retroattivamente in virtù di condono edilizio, onde l’appaltatore non può pretendere, in forza di quel contratto, il corrispettivo pattuito.
6. Causa. In tema di causa del contratto, con riferimento alle ipotesi di collegamento negoziale, alcune utili puntualizzazioni si possono leggere nella pronuncia di Sez. L, n. 18585/2016, Boghetich, Rv. 641188, laddove precisa che il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo negozio ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, ancorché ciascuno sia finalizzato ad un’unica regolamentazione dei reciproci interessi, sicché il vincolo di reciproca dipendenza non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica, spettando i relativi accertamenti sulla natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale al giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.
7. Forma. Con riguardo al requisito della forma scritta ad substantiam nei contratti, Sez. 1, n. 05919/2016, Di Marzio M., Rv. 639060, ha ritenuto la sussistenza di tale requisito anche se le sottoscrizioni delle parti siano contenute in documenti distinti, purché risulti il collegamento inscindibile tra questi ultimi, così da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo.
Sez. 1, n. 03480/2016, Dogliotti, Rv. 638842 si è invece pronunciata sul requisito della forma scritta prevista dall’art. 1284, ultimo comma, c.c. per la determinazione degli interessi extralegali, precisando che tale disposizione non postula necessariamente una puntuale indicazione in cifre del tasso stabilito, ben potendo tale requisito essere soddisfatto attraverso il richiamo, per iscritto, a criteri prestabiliti e ad elementi estrinseci al documento negoziale, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione, anche unilaterale, del relativo saggio, la quale risulti capace di venire assicurata con certezza al di fuori di ogni margine di discrezionalità rimessa all’arbitrio del creditore, sulla base di una disciplina legata ad un parametro centralizzato, fissato su scala nazionale e vincolante, come il tasso unico di sconto o il tasso di cambio di una valuta.
Con riferimento invece alla compravendita di un bene immobile, Sez. 2, n. 07055/2016, Matera, Rv. 639659, ha avuto occasione di affermare che non può ritenersi idoneo un negozio di mero accertamento, il quale può eliminare incertezze sulla situazione giuridica, ma non sostituire il titolo costitutivo, essendo necessario, invece, un contratto con forma scritta dal quale risulti la volontà attuale delle parti di determinare l’effetto traslativo, sicché è irrilevante che una delle parti, anche in forma scritta, faccia riferimento ad un precedente rapporto qualora questo non sia documentato.
Si segnalano inoltre alcune pronunce sul requisito della forma scritta nei contratti di intermediazione finanziaria.
In primo luogo Sez. 1, n. 00612/2016, Scaldaferri, Rv. 638276, ha valutato la portata dell’art. 60 del regolamento CONSOB n. 11522/98, che impone alla banca intermediaria di registrare su nastro magnetico, o altro supporto equivalente, gli ordini inerenti alle negoziazioni in valori mobiliari impartiti telefonicamente dal cliente: tale registrazione, afferma la citata sentenza, costituisce uno strumento atto a garantire agli intermediari, mediante l’oggettivo ed immediato riscontro della volontà manifestata dal cliente, l’esonero da ogni responsabilità quanto all’operazione da compiere, ma non impone, in assenza di specifica previsione, un requisito di forma, sia pure ad probationem, degli ordini suddetti, restando inapplicabile la preclusione di cui all’art. 2725 c.c.
Inoltre, Sez. 1, n. 03950/2016, Lamorgese, Rv. 638817, ha chiarito che, l’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, laddove impone la forma scritta, a pena di nullità, per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, si riferisce ai contratti quadro, e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è, invece, soggetta a requisiti formali, salvo che lo stesso contratto quadro li preveda anche per quelli; in quest’ultimo caso, infatti, il principio di cui all’art. 1352 c.c., secondo cui la forma convenuta dalle parti per la futura stipulazione di un contratto si presume pattuita ad substantiam, è estensibile, giusta il richiamo operato dall’art. 1324 c.c., agli atti che seguono a quella stipulazione, come nell’ipotesi degli ordini suddetti.
Conclude la rassegna delle più rilevanti decisioni afferenti la forma del contratto di intermediazione finanziaria la pronuncia di Sez. 1, n. 08395/2016, Acierno, Rv. 639486, la quale ha ritenuto che, nel contratto di intermediazione finanziaria, la produzione in giudizio del modulo negoziale relativo al contratto quadro sottoscritto soltanto dall’investitore non soddisfa l’obbligo della forma scritta ad substantiam imposto, a pena di nullità, dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998 e, trattandosi di una nullità di protezione, la stessa può essere eccepita dall’investitore anche limitatamente ad alcuni degli ordini di acquisto a mezzo dei quali è stato data esecuzione al contratto viziato.
Con riferimento alla forma dei contratti stipulati dalle ASL, di particolare interesse è la decisione di Sez. 3, n. 24640/2016, Vivaldi, in corso di massimazione, la quale ha precisato che la natura di ente pubblico economico acquisita dall’Azienda sanitaria ai sensi dell’art. 3, comma 1 bis del d.lgs. n. 502 del 1992, pur consentendo alla stessa di operare mediante il ricorso a strumenti di diritto privato per il raggiungimento delle finalità istituzionali alle quali è preposta, non esclude la sua soggezione alle disposizioni del d.lgs n. 163 del 2006, sia in tema di scelta del contraente che di forma del contratto, in considerazione della sua qualità di “organismo di diritto pubblico” e “amministrazione aggiudicatrice”. Infine, meritano attenzione due pronunce che hanno escluso la necessità della forma scritta, rispettivamente, per il contratto di appalto e per l’autorizzazione di cui all’art. 1956 c.c. in tema di liberazione del fideiussore.
In particolare, si ricorda Sez. 1, n. 16530/2016, Di Marzio M., Rv. 641027, secondo la quale la stipulazione del contratto d’appalto non richiede la forma scritta ad substantiam, né ad probationem, potendo lo stesso essere concluso anche per facta concludentia; da tale premessa, la pronuncia ha tratto la conseguenza che, ove venga contestata l’effettiva esecuzione delle prestazioni per il cui corrispettivo la parte committente, che se ne assuma creditrice, chieda l’ammissione al passivo del fallimento dell’appaltatore, ben possono assumere rilevanza la prova testimoniale e il verbale “informale” di ricognizione delle opere incompiute dal fallito, se non specificamente contestato dalla curatela, neppure quanto alla sua opponibilità per carenza di data certa.
Altra ipotesi peculiare è stata esaminata da Sez. 1, n. 04112/2016, Terrusi, Rv. 638860, in tema di liberazione del fideiussione, pervenendo ad escludere che l’autorizzazione di cui all’art. 1956 c.c. richieda la forma scritta ad substantiam, non essendo tale autorizzazione configurabile come accordo a latere del contratto bancario cui la garanzia accede; conseguentemente, prosegue la sentenza, la stessa può essere ritenuta implicitamente e tacitamente concessa dal garante, in applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti, laddove emerga perfetta conoscenza, da parte sua, della situazione patrimoniale del debitore garantito. (Nella specie, la S.C. ha confermato le decisione impugnata, che aveva considerato irrilevante la mancata richiesta della suddetta autorizzazione da parte della banca, atteso che la conoscenza delle condizioni economiche doveva ritenersi comune a debitore e fideiusssore, ovvero presunta in ragione del vincolo coniugale tra essi esistente e dello stato di loro convivenza).
8. Preliminare ed esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre. In tema di contratto preliminare, Sez. 1,
n. 07584/2016, Nappi, Rv. 639308, ha puntualizzato che la consegna dell’immobile, effettuata prima della stipula del definitivo, non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti, né comunque di quello di prescrizione, presupponendo l’onere della tempestiva denuncia l’avvenuto trasferimento del diritto, sicché il promissario acquirente, anticipatamente immesso nella disponibilità materiale del bene, risultato successivamente affetto da vizi, può chiedere l’adempimento in forma specifica del preliminare, ai sensi dell’art. 2932 c.c., e contemporaneamente agire con l’azione quanti minoris per la diminuzione del prezzo, senza che gli si possa opporre la decadenza o la prescrizione.
L’esperibililità dell’esecuzione in forma specifica ex art. 2932
c.c. nei confronti degli eredi del promittente venditore, deceduto prima della stipula del definitivo, è stata invece esclusa da Sez. 2, n. 15906/2016, Picaroni, Rv 640575, nel peculiare caso di un contratto preliminare avente ad oggetto la vendita della nuda proprietà, in quanto per gli eredi medesimi risulta venuta meno l’utilità rappresentata dalla riserva di usufrutto.
Inoltre, Sez. 1, n. 12462/2016, Genovese, Rv. 639960, ha esaminato l’ipotesi di un contratto preliminare avente ad oggetto un bene da acquistarsi in comunione, ritenendo che a fronte di un tale accordo si deve presumere, salvo che risulti il contrario, che le parti lo abbiano considerato un unicum inscindibile; da tale premessa, la citata decisione ha tratto l’importante conseguenza secondo la quale la scelta del curatore del fallimento del promissario coacquirente di scioglimento dal rapporto ex art. 72 l.fall. determina la caducazione complessiva del vincolo contrattuale e preclude al promittente venditore la possibilità di esercitare l’azione di esecuzione in forma specifica nei confronti degli altri.
Con riguardo alla prestazione dovuta dal promissario acquirente che, a norma dell’art 2932 c.c., chieda l’esecuzione specifica di un contratto preliminare di vendita, Sez. 2, n. 10605/2016, Scalisi, Rv. 639953, ha evidenziato che tale parte contrattuale è tenuta ad eseguire la prestazione a suo carico o a farne offerta nei modi di legge se la prestazione medesima sia già esigibile al momento della domanda giudiziale, mentre non è tenuta a pagare il prezzo quando, in virtù delle obbligazioni nascenti dal preliminare, il pagamento dello stesso (o della parte residua) risulti dovuto all’atto della stipulazione del contratto definitivo: in quest’ultima evenienza, prosegue la citata sentenza, solo con il passaggio in giudicato della sentenza costitutiva di accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica sorge l’obbligazione, e l’eventuale successivo mancato saldo del prezzo, al quale è subordinato l’effetto traslativo della proprietà, rende applicabile l’istituto della risoluzione per inadempimento ma non la condizione risolutiva ex art. 1353 c.c.
Infine, Sez. 1, n. 09994/2016, Di Virgilio, Rv. 639800, ha evidenziato che, nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà di immobili futuri, la forma scritta è necessaria solo per la stipulazione del contratto ad effetti obbligatori e non anche per l’individuazione del bene, la cui proprietà è trasferita non appena lo stesso viene ad esistenza. (In applicazione di tale principio la Corte ha confermato la decisione impugnata, che, con riguardo ad un contratto di permuta di cosa futura, aveva trasferito agli acquirenti beni diversi da quelli scelti nel progetto originario, sebbene con caratteristiche ad essi analoghe).
9. Condizione. Con riferimento al contratto di agenzia, di particolare interesse è la qualificazione, offerta da Sez. L, n. 17770/2016, Spena, Rv. 640999, della clausola contrattuale che prevede la facoltà della società mandante di tenere l’agente vincolato al divieto di concorrenza nei suoi confronti ed il correlato obbligo della medesima società di corrispondere un corrispettivo in caso di esercizio di tale facoltà: la pronuncia citata precisa che una siffatta clausola non integra una condizione meramente potestativa, in quanto l’efficacia dell’obbligazione non dipende dalla volontà dello stesso debitore, ossia dell’agente sul quale grava l’obbligo di non- concorrenza, bensì da quella della parte creditrice, ovvero della casa mandante, sicché tale patto non rientra nella previsione di nullità di cui all’art. 1355 c.c., ma va qualificato come patto di opzione ex art. 1331 c.c.
10. Interpretazione e qualificazione del contratto. Al tema dell’interpretazione del contratto sono anzitutto dedicate alcune pronunzie relative alle regole che governano l’applicazione dei criteri ermeneutici.
Fra queste si segnala Sez. 3, n. 14432/2016, Vincenti, Rv. 640528, ove si afferma che tali criteri, pur in presenza un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, non riconoscono una preminenza assoluta al dato testuale del contratto, che può non essere in sé decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo, poiché il significato delle dichiarazioni negoziali è comunque l’esito di un processo interpretativo che deve considerare tutti gli elementi, testuali ed extratestuali indicati dal legislatore.
Una significativa applicazione di tale impostazione è rinvenibile in Sez. 3, n. 00668/2016, Rossetti, Rv. 638509, in materia di assicurazione, ove si afferma che il giudice non può attribuire a clausole polisenso uno specifico significato senza prima ricorrere agli altri criteri ermeneutici previsti dagli artt. 1362 e ss. c.c., e, in particolare, a quello dell’interpretazione contro il predisponente, di cui all’art. 1370 c.c.
Ed ancora – e sempre con riferimento al medesimo tipo contrattuale – Sez. 3, n. 03275/2016, Tatangelo, Rv. 638886, ha ritenuto che una polizza stipulata da un ente a copertura della responsabilità civile per danni dei quali lo stipulante non può rispondere per legge impone al giudice del merito di utilizzare i fondamentali canoni ermeneutici tenendo conto, nel dubbio, del criterio sussidiario di cui all’art. 1367 c.c. (cd. interpretazione utile).
Con riferimento al criterio di interpretazione secondo buona fede, di sicuro interesse è l’applicazione che se ne rinviene in Sez. 1,
n. 17291/2016, Genovese, Rv. 640946, in tema di recesso della banca da un rapporto di apertura di credito in cui non sia stato superato il limite dell’affidamento concesso, benché pattiziamente previsto anche in difetto di giusta causa; tale recesso, infatti, deve considerarsi illegittimo in applicazione del richiamato criterio ermeneutico ove in concreto abbia assunto connotati imprevisti ed arbitrari, così contrastando con la ragionevole aspettativa di chi abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto.
Di particolare pregio, infine, è Sez. 3, n. 23701/2016, Scarano, in corso di massimazione, secondo fra i criteri legali di interpretazione soggettiva quello cd. di interpretazione funzionale del contratto di cui all’art. 1369 c.c. consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza con la relativa ragione pratica (o “causa concreta”) dell’affare.
11. Esecuzione secondo buona fede. L’applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ha ispirato due pronunzie di rilievo in tema di fideiussione.
Sez. 1, n. 16827/2016, Valitutti, Rv. 640915, ha ritenuto contrario a tale principio il comportamento del creditore che, in presenza di una fideiussione per obbligazioni future, eroghi in modo persistente finanziamenti al debitore principale senza chiedere al garante la necessaria autorizzazione, pur in presenza di un peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore garantito.
Sez. 1, n. 02902/2016, Didone, Rv. 638550, ha invece ritenuto inapplicabile il principio al socio che abbia prestato fideiussione per ogni obbligazione futura di una società a responsabilità limitata, esonerando l’istituto bancario creditore dall’osservanza dell’onere impostogli dall’art. 1956 c.c., e chieda poi di ottenere la propria liberazione dolendosi del fatto che quest’ultimo abbia concesso ulteriore credito alla società benché da lui stesso avvertito della sopravvenuta inaffidabilità di quest’ultima; in tale situazione, infatti, per un verso non è ipotizzabile alcun obbligo del creditore di informarsi a sua volta e di rendere edotto il fideiussore, già pienamente informato, delle peggiorate condizioni economiche del debitore e, per altro verso, la qualità di socio del fideiussore consente a quest’ultimo di attivarsi per impedire che continui la negativa gestione della società o per non aggravare ulteriormente i rischi assunti.
D’interesse è anche Sez. 3, n. 11914/2016, Armano, Rv. 640534, in tema di contratti conclusi dal consumatore, che ha fondato sul dovere di eseguire il contratto secondo buona fede l’obbligo dell’impresa esercente servizi di telefonia di comunicare tempestivamente al proprio cliente l’impossibilità di eseguire la prestazione e di adottare gli opportuni provvedimenti al fine del contenimento dei danni.
12. Clausola penale e caparra. Un profilo conseguente alla relazione di strumentalità fra clausola penale e danno da inadempimento contrattuale – per il caso in cui ne sia previsto il risarcimento – è quello che secondo Sez. 1, n. 12956/2016, Di Virgilio, Rv. 640130, conduce a qualificare la prima come liquidazione anticipata del danno, destinanata a rimanere assorbita nella liquidazione complessiva dei danni ulteriori, la cui prova compete alla parte non inadempiente.
In relazione alla caparra confirmatoria, invece, nel ribadirne la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento in favore della parte che intenda esercitare il potere di recesso conferitole ex lege, Sez. 2, n. 08417/2016, Orilia, Rv. 639546, ha affermato che quest’ultima è legittimata a ritenere la caparra ricevuta ovvero ad esigere il doppio di quella versata, ma se preferisce agire per la risoluzione o l’esecuzione del contratto essa deve dare prova del danno nell’an e nel quantum.
13. Rappresentanza e ratifica. In tema di rappresentanza, degna di particolare rilievo è Sez. 1, n. 04113/2016, Terrusi, Rv. 638864, che affronta il tema della cd. rappresentanza tollerata; secondo la Corte tale fattispecie, caratterizzata dal fatto che il rappresentato, pur consapevole dell’attività del falso rappresentante, non interviene per farne cessare l’ingerenza, configura un’ipotesi di rappresentanza apparente, donde l’efficacia degli atti compiuti dal rappresentante nei confronti del rappresentato che ha dato causa alla situazione di apparente legittimazione in cui il terzo ha confidato senza colpa.
Circa gli effetti del contratto concluso dal rappresentante dopo la revoca della procura, Sez. L, n. 04099/2016, Patti, Rv. 639206, ha precisato che in tal caso il rappresentato non diviene terzo rispetto al contratto stipulato e non può quindi riversare sulle altre parti l’onere di provare che il contratto si è perfezionato nella data indicata e prima della suddetta revoca, essendo invece tenuto a fornire la prova della non veridicità della data apposta rimanendo – in difetto – vincolato dalla predetta indicazione.
In punto alla forma della procura, e sullo specifico aspetto del conferimento di procura all’amministratore condominiale in regime anteriore all’entrata in vigore della legge 11 dicembre 2012, n. 220, Sez. 2, n. 02242/2016, Migliucci, Rv. 638829, ha precisato che – fatta salva la prescrizione di forme particolari per il contratto da concludere – questa può essere verbale o tacita e può risultare, indipendentemente dalla formale investitura assembleare e dall’annotazione nello speciale registro di cui all’art. 1129 c.c., dal comportamento concludente dei condomini che abbiano considerato l’amministratore tale a tutti gli effetti, rivolgendosi a lui abitualmente in detta veste e senza metterne in discussione i poteri di rappresentanza.
Infine, e con riferimento allo specifico tema del falsus procurator, va anzitutto segnalata Sez. 2, n. 10600/2016, Cosentino, Rv. 639951, che – richiamando un orientamento ormai risalente – ha affermato che l’azione per la declaratoria di inefficacia del contratto nei confronti del preteso rappresentato non è soggetta alla prescrizione quinquennale prevista dall’art. 1442 c.c., che colpisce solo l’azione di annullamento, ed è invece imprescrittibile.
Su un peculiare profilo di efficacia del contratto concluso dal rappresentante senza poteri si segnala poi Sez. 2, n. 04945/2016, Giusti, Rv. 639599, secondo cui l’acquisto di un bene da quest’ultimo determina il possesso – e non la mera detenzione qualificata – poiché il negozio, sebbene inefficace, è comunque volto a trasferire la proprietà del bene.
Esso è pertanto idoneo a far ritenere sussistente, in capo all’accipiens, l’animus rem sibi habendi ai fini dell’usucapione ordinaria, ma non anche per l’usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c., che è possibile solo se l’inidoneità del titolo derivi dall’avere alienante disposto di un immobile altrui e non anche dalla sua invalidità od inefficacia.
Da ultimo, affronta il tema della ratifica Sez. 1, n. 02403/2016, Acierno, Rv. 638587, rilevando che essa sana sempre con efficacia retroattiva il difetto di potere rappresentativo del falsus procurator e che tale regime giuridico, in mancanza di clausole o condizioni che ne conformino diversamente l’efficacia, non è modificabile in via interpretativa.
14. Contratto a favore di terzi. Il meccanismo del contratto a favore di terzi è richiamato da Sez. 2, n. 09320/2016, Scarpa, Rv. 639919, per il caso in cui un soggetto interessato a stipulare un mutuo ipotecario con una banca conferisca un incarico (nella specie: a notaio) di effettuare le visure del bene oggetto di ipoteca e redigere la relativa relazione; l’incaricato, infatti, assume in tal caso un obbligo nei confronti non solo del mutuatario, ma anche della banca mutuante quale terzo ex art. 1411 c.c.
Allo stesso schema Sez. L, n. 04920/2016, Manna A., Rv. 639116, ha poi ricondotto il cd. rendimento di polizza, liquidato al dipendente all’atto della cessazione del rapporto di lavoro in virtù del contratto di assicurazione stipulato ex art. 4 del r.d.l. 8 gennaio 1942, n. 5, rilevando la diversità del relativo credito da quello vantato a titolo di TFR, e quindi la non estensibilità dell’eventuale giudicato formatosi su quest’ultimo.
15. Simulazione. Diverse pronunzie hanno riguardato il tema della simulazione, affrontandone, in particolare, i risvolti sul piano processuale.
In merito all’opponibilità della simulazione ai terzi, Sez. 2, n. 16080/2016, Scarpa, Rv. 640680, ha ribadito che ad integrare il requisito della mala fede per opporre la simulazione al terzo acquirente non è sufficiente la relativa consapevolezza da parte del terzo, occorrendo anche che costui abbia proceduto all’acquisto per effetto della stessa, accordandosi con il titolare apparente al fine di favorire il simulato alienante e consolidare, rispetto agli altri terzi, lo scopo pratico perseguito con la simulazione, ovvero abbia voluto personalmente profittare di questa in danno del simulato alienante.
Circa la prova della simulazione, due pronunzie hanno affrontato lo specifico tema dell’ammissibilità della prova per testi.
La prima, Sez. 1, n. 11467/2016, Lamorgese, Rv. 639842, ha stabilito che il principio di prova scritta che la consente ex art. 2724,
n. 1, c.c. dev’essere diverso dalla scrittura le cui risultanze si intendono sovvertire e deve contenere un qualche riferimento al patto che si deduce in contrasto con il documento; esso non può dunque desumersi dallo stesso atto impugnato per simulazione, non ricorrendo alcun riferimento o collegamento logico, in contrasto con il documento, tra il negozio asseritamente simulato e quello sottostante.
La seconda – Sez. 1. n. 13857/2016, Lamorgese, Rv. 640447 – ha invece precisato che le limitazioni alla prova testimoniale nei rapporti tra le parti contraenti non si estendono all’interrogatorio formale, non essendo prevista per la confessione una disposizione il cui contenuto corrisponda all’art. 1417, comma 2, c.c. ed attraverso il cui espletamento può essere utilmente acquisita sia la prova piena della simulazione, in caso di confessione piena e completa, sia un principio di prova, se le risposte sono tali da rendere verosimile la simulazione, sì da rendere ammissibile la prova testimoniale, a norma dell’art. 2724, comma, 1, n. 1, c.c..
In tema di prescrizione dell’azione di simulazione, infine, si segnala anzitutto Sez. 2, n. 09401/2016, Scalisi, Rv. 639923, che ha ribadito l’imprescrittibilità ai sensi dell’art. 1422 c.c. dell’azione di simulazione, sia assoluta che relativa, in quanto diretta ad accertare la nullità del negozio apparente perché, in ogni caso, privo di causa.
Tale principio deve ritenersi applicabile anche all’ipotesi di interposizione fittizia di persona, quando la relativa domanda sia diretta ad identificare il vero contraente celato dall’interposto e non a far riconoscere gli elementi costitutivi di un diverso negozio, poiché si tratta di azione con carattere dichiarativo.
Sez. 2, n. 03932/2016, Criscuolo, Rv. 638875, individua poi il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di simulazione del trasferimento di beni a titolo oneroso ai fini del successivo assoggettamento a collazione ereditaria. Detto termine, si afferma in sentenza, varia in rapporto all’oggetto della domanda: se questa è proposta dall’erede quale legittimario che fa valere il proprio diritto alla riduzione per lesione della quota di riserva, esso decorre dall’apertura della successione; mentre se l’azione è esperita al solo scopo di acquisire il bene oggetto di donazione alla massa ereditaria per determinare le quote dei condividenti e senza addurre alcuna lesione di legittima, il termine di prescrizione decorre dal compimento dell’atto che si assume simulato, subentrando in tal caso l’erede, anche ai fini delle limitazioni probatorie ex art. 1417 c.c., nella medesima posizione del de cuius.
16. Nullità del contratto. Sulla nullità del contratto si segnala una particolare attenzione della giurisprudenza di legittimità al tema del rilievo officioso da parte del giudice.
Richiamando il principio – ribadito, fra le altre, da Sez. 1, n. 15408/2016, Bisogni, Rv. 640705 – secondo cui il giudice davanti al quale sia proposta una domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo tale domanda pertinente ad un diritto autodeterminato e perciò individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio, Sez. 1, n. 08795/2016, Bernabai, Rv. 639560, ne ha data coerente applicazione, nel sottosistema societario, alle impugnazioni delle deliberazioni assembleari.
La Corte, in particolare, ha affermato che il rilievo officioso della relativa nullità costituisce espressione di un potere volto alla tutela di interessi generali dell’ordinamento, afferenti a valori di rango fondamentale per l’organizzazione sociale, che trascendono gli interessi particolari del singolo.
Sez. 1, n. 02910/2016, Terrusi, Rv. 638554 ha consentito il rilievo officioso della nullità parziale del contratto da parte del giudice investito dell’azione di nullità integrale, e ciò anche in sede di gravame, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, all’esito del rigetto della domanda di nullità totale in primo grado, abbiano omesso indicazioni al riguardo, con conseguente formazione del giudicato preclusivo anche del rilievo di nullità parziale.
Ancora, Sez. 6-3, n. 12253/2016, Cirillo F.M., Rv. 640267, ha ritenuto che il giudice possa rilevare d’ufficio la nullità di un contratto del quale era stata proposta domanda di risoluzione (la fattispecie concerneva un contratto di locazione stipulato dalla P.A. in forma verbale); Sez. 3, n. 12996/2016, Vincenti, Rv. 640305, infine, ha affermato che il rilievo officioso della nullità non è consentito solo nelle azioni di impugnativa negoziale, ma investe anche la domanda di risarcimento danni per inadempimento contrattuale che sia stata proposta, in via autonoma, da quella di impugnazione del contratto.
Affronta il tema della cd. nullità virtuale, con specifico riferimento al divieto di pattuire interessi usurari di cui all’art. 1815, comma 2, c.c., Sez. 1, n. 12965/2016, Ferro, Rv. 640109, che estende la portata del divieto a tutti i contratti che prevedono la messa a disposizione di denaro dietro remunerazione, compresa l’apertura di credito in conto corrente, osservando che la relativa clausola deve ritenersi affetta da nullità parziale per contrarietà a norme imperative.
Sullo specifico tema riveste poi particolare interesse Sez. 2, n. 03926/2016, Scarpa, Rv. 638874, che ha ritenuto la nullità del contratto di affidamento di incarico professionale ad uno studio associato organizzato in forma societaria per violazione del divieto di costituzione di società aventi ad oggetto l’espletamento di professioni intellettuali protette, sancito dall’art. 2, della l. 23 novembre 1939, n. 1815, applicabile ratione temporis.
Tale nullità, secondo la Corte, non è sanata dalla successiva abrogazione del menzionato divieto, disposta dall’art. 24 della l. 21 aprile 1997, n. 266, difettando una previsione che determini la retroattività di tale disposizione; l’invalidità del contratto, dunque, va riferita alle norme vigenti al momento della sua conclusione.
Con riguardo alla nullità parziale, Sez. 1, n. 02314/2016, Lamorgese, Rv. 638558, ha affermato che essa si estende all’intero contratto ove l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha esistenza autonoma, nè persegue un risultato distinto, poichè i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.
Sul medesimo tema, un’interessante applicazione nella disciplina della vendita con patto di riscatto è rinvenibile in Sez. 2,
n. 06144/2016, Picaroni, Rv. 639397, ove è affermato che la nullità, per l’eccedenza, della clausola con cui le parti subordinano l’esercizio del riscatto al pagamento di un prezzo superiore a quello fissato per la vendita colpisce anche la pattuizione relativa agli interessi sul prezzo, quand’anche a titolo compensativo di utilità che il venditore abbia potuto trarre in ragione di particolari accordi intervenuti con l’acquirente, giacché tale utilità deve ritenersi ragionevolmente scontata nel prezzo originario fissato dalle parti.
17. Annullabilità del contratto. In relazione ai vizi della volontà negoziale, si segnalano due pronunzie che affrontano la problematica del consenso viziato da errore. Per l’ipotesi in cui l’azione di annullamento per errore sia esercitata dagli eredi del contraente, Sez. 2, n. 18248/2016, Criscuolo, Rv. 641095, ha affermato che il relativo termine di prescrizione decorre dalla scoperta, da parte di costoro, del vizio inficiante la volontà del proprio dante causa ove l’errore si sia manifestato successivamente alla morte del de cuius, rimastone ignaro.
Traccia invece il confine fra errore invalidante ed errore di calcolo, idoneo a provocare la rettifica del contratto ai sensi dell’art. 1430 c.c., Sez. 3, n. 03178/2016, Sestini, Rv. 638927, che rileva come quest’ultimo sussista quando in operazioni aritmetiche, posti come chiari e sicuri i termini da computare ed il criterio matematico da seguire, si commette un errore materiale di cifra che si ripercuote sul risultato finale ed è rilevabile ictu oculi, mentre non è tale l’errore che attiene alla stessa individuazione di uno dei termini da computare.
Un interessante rilievo attinente al contratto concluso dall’incapace di intendere e volere si coglie in quanto affermato da Sez. 1, n. 10329/2016, Acierno, Rv. 639668, secondo cui il giudicato formatosi sull’insussistenza dell’incapacità richiesta per l’annullamento contrattuale ex art. 428 c.c. è inopponibile nel giudizio volto a far dichiarare la nullità del medesimo contratto per circonvenzione di incapace, occorrendo nel primo caso l’accertamento di una condizione espressamente qualificata di incapacità ed essendo invece sufficiente, ai fini dell’art. 643 c.p., che l’autore dell’atto versi in una situazione soggettiva di fragilità psichica derivante dall’età, dall’insorgenza o dall’aggravamento di una patologia neurologica o psichiatrica anche connessa a tali fattori o dovuta ad anomale dinamiche relazionali che consenta all’altrui opera di suggestione ed induzione di deprivare il personale potere di autodeterminazione, critica e giudizio.
18. Risoluzione del contratto. Con riferimento alla domanda di risoluzione, Sez. 2. n. 12466/2016, Abete, Rv. 640087, ha stabilito che ove si accerti la scarsa importanza dell’inadempimento, il rigetto della stessa non comporta necessariamente quello della contestuale domanda di risarcimento, giacché anche un inadempimento inidoneo ai fini risolutori può aver cagionato un danno risarcibile.
Per il caso di contrapposte domande di risoluzione per inadempimento, Sez. 1, n. 02984/2016, Di Virgilio, Rv. 638555, ha poi precisato che il giudice non può respingere entrambe e dichiarare l’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, implicando ciò una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, mediante una regolamentazione del rapporto stesso difforme da quella perseguita dalle parti.
Con riguardo alle ipotesi di risoluzione stragiudiziale, due pronunzie concernono lo specifico tema della rinunziabilità degli effetti risolutori della diffida ad adempiere, già oggetto di un vivo dibattito nel recente passato.
Si esprime affermativamente in tal senso Sez. 2, n. 09317/2016, Falabella, Rv. 639889, precisando che la rinunzia può intervenire anche dopo la scadenza del termine indicato in diffida e mediante comportamenti concludenti.
Nel senso della predicabilità della rinunzia si attesta anche Sez. 2, n. 04205/2016, Criscuolo, Rv. 639383, laddove, per il caso in cui vengano reiterate le diffide, si stabilisce che il termine previsto dall’art. 1454 c.c. decorre dall’ultima di esse, e che, tuttavia, la reiterazione della diffida non esclude che l’inadempimento del diffidato si sia già manifestato alla scadenza del termine assegnato con la prima diffida, potendosi individuare nella rinnovazione un interesse del diffidante ad un tardivo adempimento della controparte, con la concessione di un nuovo termine che impedisca l’effetto risolutorio di diritto collegato alla prima diffida.
All’operatività di tale meccanismo risolutorio è riferita anche Sez. 2, n. 15070/2016, Matera, Rv. 640588, secondo cui in difetto di clausola risolutiva espressa la risoluzione del contratto per inadempimento può essere ottenuta solo nelle forme di cui all’art. 1454 c.c., essendo privo di effetto l’atto unilaterale con cui la parte dichiari risolto il contratto.
Infine, con riguardo al termine essenziale, la Corte ha ritenuto con Sez. 2, n. 04314/2016, Correnti, Rv. 639412, che il mancato rispetto del termine che non sia valutato come essenziale precluda la risoluzione di diritto ma non escluda la risolubilità del contratto ex art. 1453 c.c. se il ritardo supera ogni ragionevole limite di tolleranza, traducendosi in un inadempimento di non scarsa importanza.
La valutazione di essenzialità costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e – come ha precisato Sez. 3, n. 14426/2016, Cirillo F.M., Rv. 640579 – va condotto alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto di modo che risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del medesimo con l’inutile decorso del termine, senza che rilevi il semplice uso dell’espressione “entro e non oltre”, riferita al tempo di esecuzione della prestazione, se non emerga, dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti, che queste hanno inteso considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l’utilità prefissatasi.
Ultimi commenti