La giurisprudenza della Cassazione nel 2015 in tema di prove (II parte)

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3. Documenti. – 3.1. Disconoscimento e verificazione della scrittura privata. – 3.2. Querela di falso. – 4. Confessione. – 5. Testimonianza. – 5.1. Limiti oggettivi di ammissibilità della prova per testi – 5.2. Limiti soggettivi di ammissibilità della prova per testi – 5.3. deduzione ed ammissione della prova. – 5.4. Confronto. – 

 

3. Documenti. La Suprema Corte è intervenuta per
effettuare rilevanti precisazioni sia sulle complesse questioni
afferenti il disconoscimento e la verificazione della scrittura privata,
sia in ordine a talune problematiche concernenti il giudizio di falso.
3.1. Disconoscimento e verificazione della scrittura
privata. Il tempestivo disconoscimento ex art. 214 c.p.c. della
scrittura privata da parte dell’apparente sottoscrittore determina, per
la parte la quale abbia prodotto e voglia avvalersi del documento,
l’onere di proporre tempestiva istanza di verificazione.
Sul tema, Sez. 1, n. 16551/2015, Nazzicone, Rv. 636340, ha
evidenziato che, a seguito del disconoscimento della fotocopia della
scrittura privata, la parte che intende avvalersene è tenuta a
produrre l’originale e, in caso di ulteriore disconoscimento, a
chiederne la verificazione, atteso che solo con l’originale si
realizzano la diretta correlazione e l’immanenza della personalità
dell’autore della sottoscrizione, che giustificano la fede privilegiata
che la legge assegna al documento medesimo, così da fondare una
presunzione legale superabile dall’apparente sottoscrittore solo con
l’esito favorevole della querela di falso.

Con riguardo all’istruttoria ed alla decisione del procedimento
di verificazione, Sez. 1, n. 15686/2015, Nazzicone, Rv. 636202, ha
chiarito che il giudice, ancorché abbia disposto una consulenza
grafica, ha il potere-dovere di formare il proprio convincimento
sulla base di ogni elemento istruttorio obiettivamente conferente,
comprese le risultanze della prova testimoniale e la valutazione del
comportamento complessivo tenuto dalla parte cui la sottoscrizione
sia attribuita, senza essere vincolato ad alcuna graduatoria fra le
varie fonti di accertamento della verità. Si è evidenziato, sotto
quest’ultimo profilo, che la consulenza tecnica sull’autografia di una
scrittura privata disconosciuta, da un lato, non costituisce un mezzo
imprescindibile per la verifica dell’autenticità della sottoscrizione,
come si desume dalla formulazione dell’art. 217 c.p.c., mentre,
dall’altro, non è suscettibile di conclusioni obiettivamente certe,
tenuto conto del carattere irripetibile della forma della scrittura
umana.

In ordine alla valenza del disconoscimento delle riproduzioni
informatiche di cui all’art. 2712 c.c., Sez. L, n. 03122/2015, Buffa,
Rv. 634590, ha affermato che detto disconoscimento, che fa perdere
alle stesse la qualità di prova, pur non soggetto ai limiti ed alle
modalità previste dall’art. 214 c.p.c., deve tuttavia essere chiaro,
circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione
di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e
realtà riprodotta. È stato poi ribadito che tale disconoscimento non
ha gli stessi effetti di quello previsto dall’art. 215, comma 2, c.p.c.,
perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di
suo esito positivo, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo
non impedisce che il giudice possa accertare la conformità
all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le
presunzioni.

Significativa, enunciando un principio difforme da quello
reso dalla Suprema Corte in altre occasioni, è la posizione di Sez. 2,
n. 05574/2015, Petitti, Rv. 634839, per la quale, nel giudizio di
opposizione a decreto irrogativo di sanzione pecuniaria per
violazione dell’art. 2 del d.l. 6 giugno 1956, n. 476 (convertito in l.
25 luglio 1956, n. 786), ove la prova dell’illecito valutario sia
costituita da un assegno, colui contro il quale tale prova è addotta
può disconoscere la propria sottoscrizione e porre in discussione
l’autenticità del titolo di credito, ma il conseguente accertamento
istruttorio non va compiuto nelle forme del giudizio di verificazione
ex art. 216 c.p.c., ben potendo l’amministrazione dimostrare
l’elemento materiale dell’illecito con altri mezzi di prova ed
eventualmente pure con presunzioni.
Sotto altro profilo, con riguardo ai documenti per contrastare
i quali è necessario esperire la querela di falso, Sez. U, n.
12307/2015, Travaglino, Rv. 635554, rivedendo l’orientamento in
precedenza affermato sulla medesima questione, ha statuito che la
parte la quale contesta l’autenticità del testamento olografo deve
proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della
scrittura, e grava su di essa l’onere della relativa prova, secondo i
principi generali dettati in tema di accertamento negativo e,
pertanto, senza necessità di proporre querela di falso.

3.2. Querela di falso. Ribadito da Sez. 3, n. 13321/2015,
Armano, Rv. 635927, il consolidato principio in virtù del quale
l’efficacia di prova del documento fino a querela di falso riguarda
soltanto il contenuto cd. estrinseco dell’atto, la Corte è inoltre
intervenuta su diverse questioni processuali inerenti il giudizio di
querela di falso.
In particolare, Sez. 2, n. 16919/2015, Scalisi, Rv. 636466, ha
precisato che la procura speciale soddisfa i requisiti di cui all’art.
221, comma 2, c.p.c., qualora dall’atto risulti che il rappresentato
abbia consapevolezza della falsità di taluni documenti essenziali
prodotti in giudizio e nel mandato siano specificati i documenti da
impugnare con la volontà esplicita di proporre querela.
Inoltre, Sez. 3, n. 25456/2015, Cirillo, in corso di
massimazione, ha chiarito che, in tema di querela di falso
incidentale, è superfluo l’interpello della parte che ha prodotto il
documento oggetto della stessa in ordine alla volontà di avvalersene,
nell’ipotesi in cui il giudice abbia previamente delibato l’irrilevanza
di detto documento ai fini della decisione.
Per altro verso, Sez. 6-2, n. 19576/2015, Rv. 636744, ha
evidenziato che è inammissibile il regolamento di competenza, su
istanza del proponente la querela di falso innanzi al giudice di pace,
avverso il provvedimento di sospensione del processo reso dal
medesimo giudice agli effetti dell’art. 313 c.p.c., diretto a far valere
l’inammissibilità della querela, atteso che il controllo di legittimità, in
tale ipotesi, è limitato alla verifica dell’avvenuta proposizione di
querela di falso e che la disposizione non sia stata abusivamente
invocata, spettando al giudice della querela l’esame delle questioni
procedurali o sostanziali attinenti alla stessa.

Sul novero dei giudizi nei quali può essere proposta querela
di falso incidentale, Sez. 6-3, n. 17473/2015, Frasca, Rv. 637466, ha
statuito che la querela di falso è proponibile nel corso del
regolamento di competenza solo quando riguardi atti del medesimo
procedimento (ossia, il ricorso, la memoria ex art. 47, ultimo
comma, c.p.c., la decisione impugnata, le memorie del
procedimento ai sensi dell’art. 380 ter o dell’art. 380 bis c.p.c.)
ovvero documenti di cui è ammesso il deposito ai sensi dell’art. 372
c.p.c., e non invece in riferimento ad atti del procedimento che si è
svolto innanzi al giudice del merito.
Sez. 6-3, n. 15601/2015, Frasca, Rv. 636721, ha affermato
che il giudizio sulla causa di merito, sospeso ex lege ai sensi dell’art.
225, comma 2, c.p.c., una volta intervenuta la decisione del collegio
sul falso, prosegue innanzi al giudice istruttore e la successiva
decisione deve tenere conto della sentenza di primo grado sulla
querela, ancorché appellata, ovvero della sentenza di appello se
sopravvenuta nelle more del giudizio, senza che il processo possa
essere sospeso in attesa del passaggio in giudicato della decisione
sulla querela, poiché non ricorre una ipotesi di pregiudizialità in
senso tecnico ai sensi dell’art. 295 c.p.c., essendo la sospensione (cd.
impropria) relativa al solo utilizzo di uno strumento probatorio.
4. Confessione. Di importante valenza, anche pratica, sono
le precisazioni rese in tema di confessione, specie in ordine ai
soggetti che, avendo la disponibilità del diritto relativo ai fatti
oggetto della controversia, sono legittimati a rendere la stessa (art.
2731 c.c.).
In particolare, per Sez. 1, n. 15570/2015, Ferro, Rv. 636275,
nel giudizio di opposizione allo stato passivo, il curatore
fallimentare, in quanto terzo rispetto al fallito e privo della capacità
di disporre del diritto controverso, non può essere sollecitato alla
confessione mediante interrogatorio formale con riferimento a
vicende solutorie attinenti all’obbligazione dedotta in giudizio.
È stato chiarito, poi, da Sez. 1, n. 07135/2015, Nappi, Rv.
634912, che le dichiarazioni rese dal sindaco di un comune in
relazione ad attribuzioni conferite ad altri organi dell’ente
rappresentato dallo stesso non possono avere efficacia di
confessione, sia per difetto di legittimazione del presunto
confitente, sia per difetto della capacità di disporre del diritto
controverso.
Inoltre, Sez. L, n. 17702/2015, Doronzo, Rv. 636801, ha
evidenziato che la dichiarazione di fatti a sé sfavorevoli resa dal
datore di lavoro in un verbale ispettivo non ha valore di confessione
stragiudiziale con piena efficacia probatoria nel rapporto
processuale, ma costituisce prova liberamente apprezzabile dal
giudice, in quanto l’ispettore del lavoro, pur agendo quale organo
della Pubblica Amministrazione, non la rappresenta in senso
sostanziale, e, pertanto, non è il destinatario degli effetti favorevoli,
ed anche perché è assente l’animus confitendi, trattandosi di
dichiarazione resa in funzione degli scopi dell’inchiesta.

5. Testimonianza. La Corte ha affermato importanti e
talvolta inediti principi in tema di prova testimoniale, sia in ordine ai
limiti oggettivi e soggettivi di ammissibilità della stessa, sia circa
questioni di carattere più squisitamente processuale afferenti le
modalità di deduzione di tale mezzo di prova, le valutazioni da
compiere ai fini della rilevanza della stessa ed i poteri del giudice.
5.1. Limiti oggettivi di ammissibilità della prova per
testi. La Suprema Corte è più volte intervenuta sulle non
trascurabili questioni afferenti i limiti oggettivi di ammissibilità della
prova testimoniale.
Sotto un primo profilo, Sez. 1, n. 03336/2015, Didone, Rv.
634413, ha ribadito che i limiti legali di prova di un contratto per il
quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam ovvero ad
probationem, così come i limiti di valore previsti dall’art. 2721 c.c. per
la prova testimoniale, operano esclusivamente quando il suddetto
contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed
obblighi tra le parti contraenti e non anche quando se ne evochi
l’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del
processo ed il contratto risulti stipulato non tra le parti processuali,
ma tra una sola di esse ed un terzo.
Sulla questione si segnala, Sez. L, n. 11479/2015, Manna, Rv.
635717, secondo cui, atteso che il licenziamento è un atto
unilaterale per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, non
è ammissibile la prova per testi, salva la perdita incolpevole del
relativo documento, senza che tale divieto possa essere superato
con l’esercizio officioso dei poteri istruttori da parte del giudice, che
può intervenire solo sui limiti fissati alla prova testimoniale dagli
artt. 2721, 2722 e 2723 c.c. e non sui requisiti di forma richiesti per
l’atto.
Sempre in tema di limiti oggettivi della prova testimoniale,
Sez. 3, n. 07090/2015, Vincenti, Rv. 634833, ha precisato che,
poiché l’art. 2726 c.c., nell’estendere al pagamento i limiti stessi, si
riferisce al pagamento del debito contrattuale oggetto di giudizio,
siffatti limiti non operano per la prova dell’aliunde perceptum, quale
fatto storico esterno a quel debito.
In ordine al principio di prova per iscritto idoneo, ai sensi
dell’art. 2724, n. 1, c.c., a consentire l’ammissione della prova
testimoniale anche qualora operino i limiti oggettivi di ammissibilità,
Sez. 1, n. 15845/2015, Genovese, Rv. 636446, ha affermato che
detto principio può anche essere costituito da una scrittura non
firmata, purché le dichiarazioni in essa contenute siano state
espressamente o tacitamente accettate dal dichiarante, del quale non
è necessaria la sottoscrizione.

5.2. Limiti soggettivi di ammissibilità della prova per
testi. La regola enunciata dall’art. 246 c.p.c. («non possono essere assunte
come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare
la loro partecipazione al giudizio») è ormai da alcuni anni al centro di un
dibattito, arricchito anche da alcune decisioni della Corte europea
dei diritti dell’uomo, in ordine alla compatibilità della stessa con i
principi del giusto processo, con peculiare riguardo al diritto alla
prova, come componente essenziale del diritto di agire in giudizio,
laddove l’unica persona informata sui fatti si trovi nella condizione
soggettiva descritta dalla predetta norma.
Si segnala Sez. 3, n. 17199/2015, De Stefano, Rv. 636475, la
quale ha chiarito che i singoli condomini sono privi di capacità a
testimoniare nelle cause che coinvolgono il condominio, poiché
l’eventuale sentenza di condanna è immediatamente azionabile nei
confronti di ciascuno di essi.

5.3. Deduzione ed ammissione della prova. Da un lato,
l’art. 244 c.p.c. pone in capo alla parte la quale richieda l’ammissione
della prova testimoniale l’onere di deduzione della stessa «mediante
indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli
separati, sui quali ciascuna deve essere interrogata» e, dall’altro, il giudice,
nel decidere sull’istanza istruttoria, deve avere riguardo sia
all’ammissibilità del mezzo di prova articolato, sia alla rilevanza dei
fatti dedotti ai fini della decisione.
Quanto alle modalità di deduzione della prova per testi, per
Sez. 3, n. 11114/2015, Rubino, Rv. 635449, non si verifica rinuncia
al mezzo istruttorio articolato, né, tanto meno, alla volontà di
dimostrare i fatti contestati, qualora la parte, che ne abbia
comunque formulato i relativi capitoli, rimetta all’apprezzamento
del giudice se assumerla direttamente o avvalersi, per il proprio
convincimento, anche in conformità a principi di economia
processuale e di celerità procedimentale, dei verbali di un diverso
giudizio tra le stesse parti, sempre che ritualmente prodotti ed
offerti al contraddittorio, in cui quella medesima prova sullo
specifico punto sia stata già raccolta.
Sui criteri che il giudice deve utilizzare ai fini dell’ammissione
della prova per testi, Sez. L, n. 20693/2015, Bronzini, Rv. 637254,
ha precisato che è illegittimo, ponendosi in contrasto con il diritto
alla prova, il rigetto, per genericità della stessa, dell’istanza di prova
testimoniale volta all’accertamento della sussistenza di un rapporto
di lavoro subordinato, qualora i capitoli di prova siano
specificamente finalizzati a dimostrare la ricorrenza degli indici più
significativi della subordinazione.
Un importante principio è stato inoltre affermato dalla Corte
con riguardo ai limiti entro i quali il giudice può esercitare il proprio
potere officioso di disporre l’audizione del teste di riferimento. La
questione, esaminata da Sez. 3, n. 18324/2015, Frasca, Rv. 636798,
attiene, in particolare, alla possibilità di assumere tale prova qualora
la parte avrebbe potuto, tenendo conto degli atti a disposizione,
richiederne tempestivamente l’assunzione. La Suprema Corte ha
statuito che il potere officioso del giudice di disporre l’assunzione
del teste di riferimento ai sensi dell’art. 257, comma 1, c.p.c.,
comportando una deroga al potere di deduzione probatoria della
parte, può essere esercitato soltanto ove la conoscenza del fatto da
parte del terzo si sia palesata nel corso di una testimonianza e non
anche quando la stessa emergeva già dalle allegazioni di una delle
parti.
5.4. Confronto. Sul tema, Sez. 6-1, n. 01547/2015, Cristiano,
Rv. 634239, ha chiarito che, nell’ipotesi di contrasto fra le
dichiarazioni rese dai testimoni escussi, il giudice è tenuto a
confrontare le deposizioni raccolte ed a valutare la credibilità dei
testi in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, come la loro qualità
e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e
la convergenza di queste con gli eventuali elementi di prova
acquisiti, per poi esporre le ragioni che lo hanno portato a ritenere
più attendibile una testimonianza rispetto all’altra o ad escludere la
credibilità di entrambe.

Estratto da Rassegna della giurisprudenza di legittimità. Gli orientamenti delle Sezioni Civili – Anno 2015.


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


Un commento:

  1. Luigi

    Buon giorno.
    Sono a richiedere alcni chiarimenti.
    1 Prova orale
    in un ricorso per opposizione stato passivo è chiesto in via istruttoria la prova testimoniale senza indicare la lista testimoni.
    E’ possibile successivamente farlo in udienza?
    Grazie anticipatamente



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