LA CONSULENZA TECNICA PREVENTIVA DELL’ART. 696 BIS C.P.C. È RICHIESTA UNA CONDIZIONE DI PROCEDIBILITÀ?

Mirco Minardi

di Marcello Duggento

L’art. 2, comma 3, lett. e bis, n.6, legge 14 maggio 2005 n.80 ha introdotto nel codice di rito l’art. 696 bis rubricato “Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite”, la cui fondamentale ratio è innegabilmente quella di agevolare la definizione della lite in forme diverse dal processo civile di cognizione, sì da contribuire alla deflazione del contenzioso civile.

Dalla rubrica e dal testo dell’art. 696 bis c.p.c. si ricava che tra le parti deve esistere – quanto meno in potenza – una “lite” intorno ad un diritto di “credito” derivante dalla mancata od inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.

La norma prevede che il ricorso al nuovo istituto processuale sia consentito anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 696 C.p.c. (essenzialmente la sussistenza del periculum).

Al pari del procedimento d’istruzione preventiva classico (quello dell’art. 696 C.p.c.), anche il nuovo istituto prevede che la relazione depositata dal consulente tecnico possa essere acquisita agli atti del successivo giudizio di merito.

Orbene, dati questi semplici elementi di specificità del nuovo istituto – ed essenzialmente quello che per il suo esperimento non è necessaria la sussistenza del periculum – il primo quesito plausibile è perché mai l’ordinamento abbia sostanzialmente previsto due distinti istituti (quello dell’art. 696 e l’altro del 696 bis C.p.c.) consentendo, però, che col secondo si pervenga – per una via più pervia – allo stesso risultato del primo (l’utilizzabilità, nel successivo giudizio di merito, della relazione di c.t.u.), fortemente subordinato, invece, alla sussistenza del presupposto (più che condizione) di ammissibilità: il periculum!

Si assisterebbe, invero, ad una duplicazione d’effetti a dir poco irragionevole, appena considerando che – attraverso la consulenza tecnica preventiva dell’art. 696bis C.p.c. – si farebbero rientrare dalla finestra tutte quelle ipotesi (d’inammissibilità) ricacciate dalla porta a mente dell’art. 696!

Deve, dunque, ritenersi che scopo del nuovo istituto (favorito anche, e soprattutto, dal minor rigore quanto ai presupposti di quello originario e più formale) – espresso chiaramente anche nella rubrica dell’art. 696 bis C.p.c. – sia quello di definire una possibile lite in maniera diversa dal processo (in una politica di scoraggiamento del contenzioso civile): la conciliazione.

Ma ciò, però, non basta – ancorché pregevole la ratio della norma – a risolvere quel conflitto che si delineerebbe tra i due istituti nell’ipotesi che, con il nuovo, non si pervenga all’auspicata conciliazione (il penultimo comma dell’art. 696 bis C.p.c. recita, appunto, che “Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può richiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito.”): si realizzerebbe, insomma, l’ipotesi di una vera e propria consulenza tecnica preventiva (come quella dell’art. 696 C.p.c.) che, peraltro fallendo anche la ratio della nuova norma, sia però data in assenza della condizione di ammissibilità della consulenza preventiva classica.

E’ fin troppo chiaro, insomma, che, di tal guisa, ogni pretendente – che non possa però allegare pure un periculum per domandare la consulenza tecnica preventiva dell’art. 696 C.p.c. – aggirerà l’ostacolo proponendo d’amblais una domanda di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite (a mente dell’art. 696 bis C.p.c.) [col risultato – scongiurato dalla ratio della nuova norma – di vedere, invece, ingolfato il sistema giudiziario di ben più numerose istanze di accertamento preventivo!].

Ritengo, pertanto, che dell’art. 696 bis C.p.c. debba essere data una lettura, ed un’interpretazione, di maggior rigore.
Opino, invero, che gli effetti processuali del nuovo istituto (l’utilizzabilità della relazione di consulenza tecnica preventiva) si producano solo in presenza di una condizione di procedibilità del ricorso stesso: la manifestata disponibilità di tutte le parti all’esperimento del tentativo di conciliazione.

Se tale disponibilità è scontata nella parte richiedente, già per il fatto che proponga tal genere di ricorso, non altrettanto può dirsi, invece, per la parte resistente, la quale, a parer mio, è posta nella facoltà di aderire o non al tentativo di conciliazione per via peritale, e così alla possibilità di esperire extra processum la definizione della lite, della quale sia in dubbio solamente il quantum. Con la conseguenza che, laddove tale manifestazione di disponibilità, o la pur semplice adesione non vi siano – perché, magari, si contesti già l’an debeatur della pretesa – è consequenziale (a rischio di quella irragionevole duplicazione che sconterebbe pure certa incostituzionalità della norma, per contrarietà con l’art. 3 della Costituzione) che il procedimento – proposto nelle forme dell’art. 696 bis – sia dichiarato improcedibile ove si riscontri il difetto di tutti i presupposti previsti dall’art. 696 C.p.c., [che – se, invece, sussistenti – lo convertirebbero automaticamente nella forma classica del procedimento d’istruzione preventiva dell’art. 696 C.p.c. (al di la del nomen iuris assegnato al ricorso stesso)].

Da qui la conseguenza che, ove difettino – nel procedimento ex art. 696bis C.p.c. – i presupposti dell’art. 696 C.p.c., e non vi sia stata, dalla parte resistente, accettazione o adesione alla sua esperibilità in vista della conciliazione, il ricorso deve essere senz’altro dichiarato improcedibile.

Né può ritenersi che l’uso del condizionale (“se”) che l’art. 696 bis C.p.c. contiene nel suo dettato (secondo e quinto comma), facendo comunque salva l’acquisizione della relazione di consulenza nel successivo giudizio di merito (ove la conciliazione non riesca), smentisca di per sé l’ipotesi dell’improcedibilità come innanzi segnalata. Invero, l’eventualità che la conciliazione non si perfezioni e che le parti possano chiedere che la relazione sia acquisita agli atti del successivo processo di merito, nulla toglie (o non contraddice) alla condizione (dell’azione) che le parti debbano comunque essere d’accordo all’esperimento (per tale via) del tentativo di conciliazione. Con l’avvertenza, però, che – se accettata dalle parti l’esperibilità del tentativo di conciliazione, ed al di la che la conciliazione non riesca – comunque la relazione del consulente tecnico potrà essere utilizzata nel successivo giudizio di merito, nel quale, eventualmente, saranno fatte valere tutte le ragioni dell’an debeatur.

La consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis C.p.c., insomma, appare essenzialmente pensata per controversie rispetto alle quali le questiones iuris si presentino d’agevole soluzione, sì che, chiariti i fatti, le ragioni ed i torti delle parti risultino immediatamente evidenti e convenga a tutte le parti di trovare un’agevole soluzione delle questioni ancora incerte; ma sempre che alla sua esperibilità concorra una disponibilità condivisa. Se vogliamo è una sorta di condiviso arbitraggio giudiziale, del quale è auspicabile miglior fortuna di quello del Diritto Privato.
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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


5 commenti:

  1. Filippo

    Non mi è chiaro il perché venga opinato un maggior rigore nell’utilizzo della consulenza tecnica ante causam.
    O meglio, posso capire da dove sorge l’intento dello scrivente – consentire un chiaro distinguo tra 696 e 696 bis, senza sovrapposizioni – ma al di là di una simile aspirazione classificatoria, mi pare che i dati “reali” siano tutti in direzione contraria.
    Il testo del 696bis è chiaro: “può esser richiesto ANCHE al di fuori delle ipotesi…”. Ragionanodo in termini geometrici, non si pone in posizione alternativa e complementare, ma quale cerchio concentrico più ampio.

    Anche la ratio, per quanto sempre volubile, pare contraria ad un’interpretazione restrittiva. Lo scopo di tale novità consiste nello sgravare i tribunali dalle cause di merito – che richiedono i tempi e le energie che tutti conosciamo – quando la soluzione dipende da una questione tecnica, sempre che correlata ad una posizione creditoria da responsabilità contrattuale o aquiliana.
    Non credo pertanto colga nel segno tale inciso:
    “La consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis C.p.c., insomma, appare essenzialmente pensata per controversie rispetto alle quali le questiones iuris si presentino d’agevole soluzione, sì che, chiariti i fatti, le ragioni ed i torti delle parti risultino immediatamente evidenti e convenga a tutte le parti di trovare un’agevole soluzione delle questioni ancora incerte; ma sempre che alla sua esperibilità concorra una disponibilità condivisa”.
    In primo luogo, perché non spetta mai al CTU la soluzione di questioni giuridiche, facili o difficili che siano.
    In secondo luogo, perché è lo stesso dettato dell’art. 696 bis a sancire che il consulente OVE POSSIBILE tenta la conciliazione delle parti, prima di provvedere al deposito della relazione.
    Tale deposito pertanto avviene comunque, vi sia o meno la conciliazione o la disponibilità a conciliare.
    Suo dovere è solo quello di tentare una conciliazione, direi a pena di nullità della CTU.
    Del resto, l’interpretazione indicata nell’articolo a mio avviso renderebbe la norma pressoché inutile.
    Se le parti fossero già tutte d’accordo a trovare una conciliazione, infatti, anziché rivolgersi ad un giudice per un procedimento di istruzione preventiva, ben potrebbero rivolgersi ad un arbitro o ad un arbitratore che risolvesse la questione per loro, come peraltro ventilato dall’Autore.

    Saluti

  2. Marcello Duggento

    Rispondo a Filippo.

    Sull’opportunità (specialmente deflattiva) dell’art. 696 bis C.p.c. ritengo che dobbiamo essere tutti d’accordo. Ma io continuo a non spiegarmi quale sia il senso della sopravvivenza dell’art. 696 C.p.c. (che richiede sia il fumus che il periculum) quando, invece, lo stesso effetto (quello dell’acquisizione di una consulenza tecnica a futura memoria) possa raggiungersi attraverso uno strumento (quello dell’art. 696 bis) ch’è di certo molto più pervio, non richiedendo, appunto, fumus e periculum. Quanto alla notazione del dovere del c.t.u. di tentare una conciliazione, beh, mi consenta, questo lo prevede il codice in ogni ipotesi di consulenza d’ufficio, al di la se in sede preventiva!
    Se d’inutilità deve parlarso, Caro Filipppo, è quella dell’art. 696 C.p.c.; non ho mai pensato a quella del nuovo istituto.
    Cordialità.

  3. Fabrizio

    Vorrei porre un quesito sull’utilizzo dell’ATP in un futuro giudizio di merito istaurato nei confronti di parti che non hanno presso parte (perdonate il gioco di parole) all’accertamento tecnico preventivo

  4. Lukettinos

    Vorrei porre un quesito?
    Ma un avviare un ricorso ex art. 696bis sull’accertamento di una responsabilità medica e quantificare il quantum costitutisce una lesione del diritto al contraddittorio ed alla difesa…….ho letto alcune sentenze di merito che scelgono una interpretazione limitata del 696 bis



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