Intervento dei terzi e riconvenzionale del convenuto: un caso emblematico di tardività della domanda

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L’intervento dei terzi genera spesso problemi (di essi ho parlato nel mio ebook sulle Insidie e i trabocchetti nella fase di trattazione del processo civile) e la sentenza in commento ne è un esempio.

Il fatto (ridotto in soldoni) è questo. La ditta Alfa conviene in giudizio la ditta Beta al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a causa di una partita viziata di filato di cashmere. La ditta Beta, oltre a contestare la domanda, chiede ed ottiene di chiamare in causa il proprio fornitore, la ditta Delta, al fine di sentirsi manlevare in caso di soccombenza; la ditta Delta, nel costituirsi, chiede a sua volta la condanna della ditta Beta al pagamento della fornitura.

Ricapitolando:

  • Alfa propone una domanda nei confronti di Beta;
  • Beta chiede il rigetto della domanda e in caso di accoglimento la manleva da parte di Delta;
  • Delta chiede la condanna di Beta al pagamento della fornitura.

Accadono varie vicende processuali, tra cui il fallimento della ditta Alfa e uno spostamento del processo in quel di Prato.

Dopo la riassunzione del processo, con la prima memoria ex art. 183 la ditta Beta chiede la riduzione del prezzo della compravendita stipulata con la ditta Delta e il risarcimento dei danni subiti (per immagine e per il mancato pagamento della fornitura da parte della ditta Alfa).

Ha però gioco facile la difesa della ditta Delta ad eccepire la tardività delle nuove domande proposte solo con la prima memoria ex art. 183 c.p.c.. Difatti, questa ulteriore formulazione delle conclusioni non configura in alcun modo una precisazione della domanda originaria (che era quella di “condannare la ditta Delta a rilevare indenne la ditta Beta, ed a provvedere direttamente al risarcimento dei danni che saranno liquidati alla ditta Alfa”) perché ad essa aggiunge una domanda di risarcimento di danno proprio, connessa ma non certo ricompresa nella precedente e che infatti è anche esclusa dal condizionamento cui quella precedente era stata espressamente subordinata (“nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda formulata dalla ditta Alfa”).
Trattasi dunque di una domanda nuova e di una nuova eccezione non rilevabile d’ufficio, ambedue tardivamente introdotte e inammissibili (cfr. art. 183, comma 6, n.1 e 2 c.p.c. Cass. 3 ottobre 1997 n. 9671; Cass. 18 gennaio 2006 n. 821).

L’errore commesso dal difensore della ditta Beta, dunque, sta anche nell’aver subordinato la condanna della ditta Delta al riconoscimento del diritto della ditta Alfa; ma poiché il giudizio promosso da questa si è estinto, è caduta la condizione cui la ditta Beta aveva sottoposto espressamente la propria domanda ordinaria di manleva ed è venuta meno la relativa materia del contendere tra Beta e Delta. Di conseguenza, non era più in discussione nella causa l’avvenuto acquisto del cashmere.

Pertanto il giudice ha accolto la domanda del terzo (ditta Delta) e condannato l’originario convenuto (ditta Beta) a pagare il prezzo.

Il tutto, sembra inutile sottolinearlo, non per motivi di sostanza, ma per motivi di mera forma. La qualità del cashmere è rimasta infatti priva di accertamento.

In questi casi, il terzo ha l’onere di proporre la domanda direttamente all’udienza di trattazione. Egli, in buona sostanza, si ritrova nella veste di attore cui il convenuto (nella specie il terzo) ha diretto una domanda riconvenzionale. Dunque, le eccezioni e le domande conseguenti alla riconvenzionale del terzo nei suoi confronti vanno proposte all’udienza di trattazione.

Tribunale Prato 01/08/2011 n. 870

FATTO E DIRITTO

Secondo l’efficace sintesi della comparsa conclusionale di parte attrice, “il Lanificio B. era stato convenuto in giudizio dalla snc C.A. dinanzi al Tribunale di Carpi per essere condannata al risarcimento danni asseritamene subiti dalla stessa C.A. in conseguenza dell’acquisto dal Lanificio B. di filato cashmere 100% che, una volta confezionato, aveva creato problemi di peeling e si era rivelato affetto da impurità. Il Lanificio B. aveva acquistato il filato rivenduto a C.A. dalla società Vicunia AG; l’acquisto era stato effettuato con garanzia di assoluta purezza e composizione cashmere 100% e, come tale, era stato rivenduto alla C.A. Per questo motivo l’odierna esponente si vedeva, a sua volta, costretta a chiamare in causa la Vicunia per esserne rilevata indenne nell’ipotesi di accoglimento della domanda della C.A… a seguito di una serie di eccezioni preliminari e di rito, il Tribunale di Carpi dichiarava la propria incompetenza a decidere sulla domanda proposta dal Lanificio B. nei confronti della Vicunia e rimetteva le parti dinanzi al Tribunale di Prato previa separazione delle due cause. Il Lanificio.. provvedeva a riassumere la causa dinanzi al Tribunale di Prato; nelle more del giudizio la C.A. s.r.l. è fallita e il giudizio pendente si interrotto e successivamente estinto per mancata riassunzione”.
Resta da precisare che la chiamata in causa ditta Vicunia A.G. aveva negato fondamento alla domanda del Lanificio (sostenendo di avergli venduto e consegnato non già puro cashmere bensì “dehaired chinese cashmere 24/26 mm”, vale a dire, mantello ricavato chimicamente da pelli di animali morti) ma – con la sua comparsa di risposta 09.02.2005 – aveva insieme anche proposto una domanda riconvenzionale per ottenere dal Lanificio la misura del prezzo non pagato (USD 17.765,50) alla scadenza del 7 agosto 2004. Domanda cui non si fa cenno nell’atto di riassunzione del Lanificio ma ripetuta dalla Vicunia con la comparsa di costituzione davanti al giudice pratese (depositata all’udienza 08.01.2008).
Con la sua successiva memoria 19.09.2009 il Lanificio, nel “precisare la domanda” alle conclusioni del proprio atto di riassunzione ha aggiunto: “Voglia, previo accertamento che il filato fornito dalla Vicunia era difforme da quello ordinato e presentava impurità, ridurne conseguentemente il prezzo di acquisto.. Voglia in ogni caso condannare la Vicunia A.G… al pagamento in favore del Lanificio B., della somma che risulterà in corso di causa, anche liquidata in via equitativa, a titolo di risarcimento danni conseguenti all’inadempimento contrattuale di cui spora, danni corrispondenti alla perdita di immagine del Lanificio B., alla perdita del cliente C.A., alle spese legali sostenute per la causa dinanzi al Tribunale di Carpi instaurata da C.A., nonché al mancato pagamento della fattura n. 284 del 16.10.2003 emessa dal Lanificio B. in favore di C.A. per l’importo di euro 1.522,33, somme tutte da compensarsi con quanto dovesse risultare dovuto dal Lanificio B. alla Vicunia A.G.”.
Giustamente la controparte ha rilevato che questa ulteriore formulazione delle conclusioni non configura in alcun modo una precisazione della domanda originaria (di “condannare La Vicunia A.G. a rilevare indenne il Lanificio, ed a provvedere direttamente al risarcimento dei danni che saranno liquidati alla C.A.”) perché ad essa aggiunge una domanda di risarcimento di danno proprio, connessa ma non certo ricompresa nella precedente e che infatti è anche esclusa dal condizionamento cui quella precedente era stata espressamente subordinata (“nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda formulata dalla C.A. s.r.l.”).
Trattasi dunque di una domanda nuova e di una nuova eccezione non rilevabile d’ufficio, ambedue tardivamente introdotte e inammissibili (cfr. art. 183, comma 6, n.1 e 2 c.p.c. Cass. 3 ottobre 1997 n. 9671; Cass. 18 gennaio 2006 n. 821).
Poi – la circostanza è pacifica – è sopravvenuta l’estinzione del giudizio di risarcito tra la C.A. e il Lanificio davanti al giudice di Carpi. Con ciò è caduta la condizione cui il Lanificio aveva sottoposto espressamente la propria domanda ordinaria di manleva ed e venuta meno la relativa materia del contendere tra Lanificio e Vicunia. Di conseguenza, non è più in discussione, nella presente causa, che l’acquisto del cashmere ha pienamente assolto la funzione di procurare al Lanificio un prezzo maggiorato rivendendolo alla CA ma contemporaneamente dovendo corrispondere l’intero prezzo pattuito con la venditrice Vicunia anche per il resto di USD 17.765,50 – non contestato – cogli interessi legali dalla scadenza indicata in fattura (07.08.2004).
Tutto ciò configura soccombenza per il Lanificio e il suo obbligo di rimborsare le spese processuali rese necessarie alla controparte, che, in mancanza di notula, appaiono necessarie per euro 1.133,00 per diritti,, 2.120,00 per onorari, con spese forfetarie d euro 406,62, IVA e CAP di legge.

P.Q.M.

Dichiara cessata la materia del contendere relativamente alla chiamata di manleva avanzata originariamente verso la venditrice Vicunia A.G. dal Lanificio A.G.B. & C. S.N.C. nel giudizio davanti al Tribunale di Modena in Carpi ora estinto; dichiara inammissibili, perché tardivamente introdotte, le domande ulteriori di risarcimento per il danno direttamente subito dal Lanificio imputato all’inadempimento della venditrice Vicunia A.G.; condanna il Lanificio a pagare alla venditrice Vicunia A.G. il prezzo residuo di USD 17.765,50= (o il loro valore in euro al momento del pagamento effettivo) con gli interessi legali dal giorno di scadenza 07.08.2004; condanna il Lanificio a rimborsare le spese di causa di controparte pari ad euro 3.659,62= oltre IVA e CAP di legge.
Prato 31.07.2011


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




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