La Corte afferma anzitutto che la vendita di una autovettura immatricolata con falsa documentazione e recante il numero di telaio contraffatto configura una ipotesi di inadempimento contrattuale, diversamente dalle ipotesi di vendita di cosa affetta da vizi o mancante delle qualità promesse che integra la fattispecie dell’inesatto adempimento (Cass., 30.3.2006 n. 7561;
Cass., 1.7.1996 n. 5963).
Pertanto, grava sul venditore la responsabilità risarcitoria di cui all’art. 1494 c.c., ed opera a suo carico la presunzione di colpa stabilita dal primo comma di tale disposizione (Cass. 26.4.1991 n. 4564; Cass., 19.7.1995 n. 7863; Cass., 20.5.1997 n. 4464; Cass. 29.3.1982 n. 1937).
Art. 1494 Risarcimento del danno.
[I]. In ogni caso il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa.
[II]. Il venditore deve altresì risarcire al compratore i danni derivati dai vizi della cosa.
Da tale responsabilità il venditore può esimersi provando di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa venduta, dimostrando di avere eseguito i dovuti accertamenti secondo il parametro di diligenza professionale.
Cassazione civile sez. III, 05 dicembre 2008, n. 28807
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con un primo atto di atto di citazione notificato il 21.5.1993 e relativo alla causa n. (OMISSIS), M.M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Alba la s.n.c. Ca. Carlo Giovanni e C. (commerciante di auto usate importate per il tramite del M.) per sentirla condannare al pagamento in suo favore della somma di L. 20.880.000, oltre accessori, a titolo di corrispettivo insoluto di due fatture.
La società si costituiva in giudizio, insieme ai soci C.C. e R.A.; dichiarava che era sopravvenuto lo scioglimento della società e la sua cancellazione dal Registro delle Imprese;
chiedeva il rigetto della domanda attrice; proponeva domande riconvenzionali per ottenere: il pagamento della somma di L. 1.308.994; il risarcimento dei danni che asseriva di aver subito per effetto del sequestro penale di due autovetture di provenienza furtiva consegnate dal M., per complessive L. 11.182.543 di lucro cessante e L. 150.000.000 per danno all’immagine commerciale dell’azienda; la riduzione del prezzo delle medesime autovetture in ragione della garanzia spettante al compratore.
La causa veniva riunita al procedimento n. 649 r.g. del 1993 promosso dalla compagnia assicurativa La Luxembourgeoise con atto di citazione notificato il 31 5.1993 per ottenere, nei confronti della s.n.c. Ca. e di C.C. personalmente, la restituzione di un veicolo Fiat Tipo 1400, asserendo di esserne divenuta proprietaria per effetto dell’indennizzo corrisposto al proprio assicurato G. P. in seguito al furto da questi subito il (OMISSIS) in (OMISSIS).
I convenuti si costituivano in giudizio, eccependo il difetto di legittimazione passiva di C.C. e il difetto di legittimazione attiva dell’attrice. Chiedevano inoltre la reiezione della domanda ed instavano per ottenere la manleva da parte del M., previa chiamata in giudizio.
Il 14.11.1997 si costituivano personalmente in giudizio C. C. ed R.A. ratificando gli atti processuali fino a quel momento compiuti e le attività svolte.
Con sentenza del 7-9.5.2002 il Tribunale di Alba respingeva la domanda di rivendica proposta dalla La Luxembourgeoise; condannava quest’ultima a pagare le spese processuali delle parti da essa convenute; condannava la s.n.c. Ca. a pagare a M.M. la somma di Euro 10.783,62 oltre accessori; condannava M.M. a pagare alla s.n.c. Ca. a titolo di risarcimento danni la somma di Euro 512,31.
Con atto di citazione notificato il 14.6.2003 al solo M. proponevano appello C.C. e R.A., in proprio e quali soci della disciolta s.n.c. Ca., chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza.
La Corte d’Appello di Torino condannava M.M. a pagare alla s.n.c. Ca. di Ca. Carlo Giovanni & C. in persona degli ex soci C.C.G. e R.A. la somma di Euro 40.655,56, oltre accessori, a titolo di risarcimento danni per i vizi delle auto (di provenienza illecita); condannava M.M. a pagare a C.C.G. e R.A. in proprio e quali ex soci della cessata Ca. Carlo Giovanni & C. s.n.c. la somma di Euro 4.006,67, oltre accessori per spese processuali 1^ grado; respingeva l’appello incidentale proposto da M.M. contro la sentenza emessa il 7-8.5.2002 dal Tribunale di Alba;
condannava M.M. a pagare a C.C.G. e R.A. in proprio e quali ex soci della cessata Ca. Carlo Giovanni & C. s.n.c. la somma di Euro 4.000,00, oltre accessori per spese processuali del grado.
Proponeva ricorso per cassazione M.S..
Resistevano con controricorso C.C.G. ed R. A. in proprio e quali ex soci della cessata Ca. Carlo Giovanni & C. Snc..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo ed unico motivo parte ricorrente denuncia: “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”; quindi, “1.1 Violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” e “1.2 omessa, insufficiente motivazione, violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 1490 c.c. e art. 1494 c.c. e segg.”.
Criticando l’iter argomentativo dell’impugnata sentenza parte ricorrente afferma anzitutto che la Corte d’appello ha errato nel far ricorso alla nozione di “notorio” per sostenere l’esistenza di un nesso causale fra l’evento-sequestro degli autoveicoli e la compromissione dell’immagine della società Ca. presso la sua clientela. Così argomentando, prosegue M.M., la Corte distrettuale ha cercato di sopperire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della Ca. s.n.c. circa gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità: ma proprio per tale ragione, ossia in assenza dei predetti elementi, l’impugnata sentenza non poteva procedere alla liquidazione equitativa del danno.
La censura è infondata.
Per giungere alle sue conclusioni la Corte Territoriale di Torino non si è affatto sostituita agli appellanti nell’adempiere il loro onere probatorio, ma ha preso in considerazione, come doveva e con attenta valutazione della fattispecie concreta, una pluralità di indici quali: la ragione dell’esecuzione del sequestro; l’ambiente in cui accadde l’episodio; il coinvolgimento di soggetti estranei al rapporto fra le parti in causa; il tipo di clientela servita dal venditore; la contrazione dei fatturati.
E sulla base di tali indici ha ritenuto provati l’inadempimento, il danno da lesione della reputazione commerciale, la sussistenza di un fatto oggettivamente suscettibile di provocare un pregiudizio economico e l’esistenza stessa di quest’ultimo da liquidare in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c..
Sulla base di tali valutazioni di fatto, peraltro correttamente argomentate, l’impugnata sentenza è giunta a conclusioni prive di vizi logici o giuridici che, rientrando nella discrezionalità del giudice di merito, sono insuscettibili di sindacato in sede di legittimità.
Con la seconda censura il ricorrente cerca anzitutto di dimostrare che la fattispecie per cui è causa non può essere qualificata come vendita di aliud pro alio perchè la provenienza furtiva non rende la cosa inidonea al suo uso proprio, nè ne diminuisce il valore in modo apprezzabile.
In ogni caso il M. afferma di essere del tutto estraneo alla provenienza furtiva delle automobili e ricorda che, in sede istruttoria, nel giudizio di primo grado, è stato accertato il suo ruolo di mero intermediario negli acquisti effettuati dal Ma.
per conto della società convenuta.
La censura appena esaminata è generica e comunque infondata.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, infatti, la vendita di una autovettura immatricolata con falsa documentazione e recante il numero di telaio contraffatto configura una ipotesi di inadempimento contrattuale, diversamente dalle ipotesi di vendita di cosa affetta da vizi o mancante delle qualità promesse che integra la fattispecie dell’inesatto adempimento (Cass., 30.3.2006 n. 7561;
Cass., 1.7.1996 n. 5963).
Alla luce di tale orientamento, la Corte d’Appello ha ritenuto che sul M. gravava la responsabilità risarcitoria di cui all’art. 1494 c.c., ed operava a suo carico la presunzione di colpa stabilita dal primo comma di tale disposizione (Cass. 26.4.1991 n. 4564; Cass., 19.7.1995 n. 7863; Cass., 20.5.1997 n. 4464; Cass. 29.3.1982 n. 1937). Da tale responsabilità egli avrebbe potuto esimersi provando di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa venduta. Ma la Corte ha ritenuto che il M. non abbia fornito tale prova. E’ anzi emerso che egli ha venduto i beni rubati e quindi viziati, omettendo i dovuti accertamenti da eseguire secondo il parametro di diligenza professionale.
Tali accertamenti, rientranti nella discrezionalità del giudice di merito, sono stati adeguatamente giustificati con motivazione priva errori o contraddizioni.
Per le considerazioni che precedono entrambe le censure riunite nell’unico motivo di ricorso devono essere rigettate. E parte ricorrente deve essere perciò condannata al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione che liquida in Euro 2.100,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre rimborso forfetario spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 8 luglio 2008.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2008
Salve avvocato ho un grosso problema, a dicembre ho comprato un’auto usata da un rivenditore, con targhe bulgare e rimmatricolata in Italia al mio acquisto da , ieri mi ha chiamato la polizia per degli accertamenti sulla centralina dell’auto , dopo varie e insistenti domande mi hanno detto che l’auto risulta molto probabilmente rubata. In questo casi cosa succede alla mia auto??? E visto che in molti paesi dell’Europa se un compratore e inconsapevole all’acquisto dell’auto rubata la può tenere; in Italia come è la legge