Il valore della causa ai fini della liquidazione del compenso del CTU.

Avatar photo

L’art. 1 del DM 30/05/2002 stabilisce che in tema di CTU per la determinazione degli onorari a percentuale si ha riguardo al valore della controversia; se non è possibile applicare il criterio predetto gli onorari sono commisurati al tempo ritenuto necessario allo svolgimento dell’incarico e sono determinati in base alle vacazioni.

Come si vede il criterio degli onorari a tempo (c.d. vacazioni) è meramente residuale.

Ma cosa si intende per “impossibilità di applicare il criterio del valore della controversia”? Ad esempio, può considerarsi di valore indeterminabile una causa avente ad oggetto “il risarcimento dei danni da vizi di costruzione di un immobile nella misura accertata in corso di causa”?

E ancora: qualora nella domanda sia indicato un valore di 1.000.000 di euro, mentre la CTU accerti un valore di 2.000.000 di euro, a quale valore occorre fare riferimento per la liquidazione degli onorari?

Di recente, la S.C. ha affermato un importante principio: per valore indeterminato non si intende la causa che ha ad oggetto beni suscettibili di valutazione economica anche se non determinato al momento della domanda, bensì beni che, per così dire, sono ontologicamente insuscettibili di valutazione economica. Pertanto, tanto per fare un esempio, se l’attore ha chiesto il risarcimento dei danni nella misura accertata in corso di causa, il valore ai fini che interessano è determinato da quanto accertato dal CTU (Cass. 3024/2011).

Al secondo quesito ha risposto una sentenza della Cassazione del 1995 n. 2338 la quale cassando la sentenza del Tribunale ha affermato che occorre fare riferimento al valore indicato nella domanda e non al valore accertato in corso di causa.

VUOI APPROFONDIRE QUESTI ARGOMENTI?

CLICCA QUI!!!

Cassazione civile, sez. II 07/02/2011 n. 3024

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 Con ricorso 8-14.4.2004 S.B., nell’ambito di un giudizio di scioglimento di comunione ereditaria da lui promosso contro S.A., proponeva opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, avverso il provvedimento di liquidazione del compenso al c.t.u., ing. C.F., quantificato in _ 3.077,92, ai sensi del D.M. 30 maggio 2002, art. 13, oltre Euro 327,08 per spese, ed oltre Iva e Cassa previdenza.

Con decreto del 16-21.4.2005 il Presidente del Tribunale di Pisa rigettava l’opposizione, condannando l’opponente alle spese verso l’altra parte e il c.t.u, che avevano svolto entrambi attività difensiva.

Osservava il giudice che il primo motivo di doglianza – nullità della c.t.u. per mancata comunicazione al c.t.p. di S.B. della data di prosecuzione delle operazioni – era inammissibile, essendo le questioni inerenti alla validità del mezzo riservate al giudice del merito, mentre le uniche censure introducibili in sede di reclamo potevano riguardare l’entità del compenso liquidato.

Riteneva, inoltre, che quest’ultimo dovesse essere liquidato non a vacazioni, come richiesto dall’opponente, ma a scaglioni ex art. 13 D.M. citato, trattandosi di estimo, e in base all’importo stimato dal c.t.u., essendo la domanda di valore indeterminabile. Quanto alla doglianza relativa all’applicazione dei massimi, piuttosto che dei minimi o dei valori medi, della tabella di cui al D.M. 30 maggio 2002, il giudice di primo grado rilevava che il c.t.u. era stato incaricato di determinare non solo il valore commerciale, ma anche quello locativo delle unità immobiliari oggetto di divisione. In merito alle spese, che l’opponente aveva dedotto essere non documentalmente giustificate e, quindi, non liquidabili, osservava che la L. n. 319 del 1980, artt. 4 e 7, che prescrivevano l’onere per il c.t.u. di presentare una nota spese specifica e di allegare la relativa documentazione, erano stati abrogati dal D.P.R. n. 15 del 2002, art. 229, senza che ciò implicasse la non rimborsabilità delle spese stesse, le quali, pertanto, potevano essere discrezionalmente riconosciute dal giudice. E nello specifico, concludeva il Presidente del Tribunale di Pisa, il c.t.u. con successiva memoria aveva depositato le pezze d’appoggio relative alle spese sostenute, salvo quelle per i viaggi effettuati a (OMISSIS), l’importo delle quali, così come indicato dal et. u., appariva comunque congruo.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione S. B., articolando cinque motivi di annullamento, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi gli intimati S.A. e C.F..

 

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1. – Con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. n. 15 del 2002, art. 170 e della L. n. 794 del 1942, art. 29, nonchè il vizio di omessa motivazione, lamentando che il Presidente del Tribunale, erroneamente, ha dapprima rimesso il procedimento al Collegio, non si è pronunciato sull’istanza di sospensione dell’esecutorietà del decreto di liquidazione opposto, ha suggerito al c.t.u. di munirsi di un difensore, non ha effettuato il tentativo di conciliazione, non ha chiesto al giudice della causa di merito che aveva liquidato il compenso gli atti e le informazioni necessarie ai fini del decidere, e non ha, infine, liquidato le spese, bensì sancito il rigetto dell’opposizione.

Tutte le violazioni anzidette, singolarmente e/o complessivamente considerate, si sostiene, si sono risolte in danno dell’opponente e comportano la nullità del provvedimento finale.

1.1. – Il motivo – riqualificato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (essendo denunciate violazioni processuali cui il ricorrente associa la nullità del provvedimento finale), ed esclusa l’ammissibilità della prospettazione aggiuntiva ex n. 5 norma citata, in quanto in materia ai vizi in procedendo non è consentito alla parte interessata di formulate in sede di legittimità la censura di omessa motivazione, spettando alla Corte di Cassazione accertare se vi sia stato o meno il denunciato vizio di attività attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass. nn. 27728/05,22130/04 e 7620/01) – è infondato.

1.2. – Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume la regola per cui la denuncia di viri dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio, con la conseguenza che l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorchè nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (Cass. n. 4340/10, nello stesso senso, cfr.

Cass. nn. 6686/10,4435/08 e 16630/07).

1.3. – L’unica conseguenza pregiudizievole che il ricorrente allega consiste nell’essere stato egli esposto alla soccombenza nelle spese verso il c.t.u., effetto che non si sarebbe prodotto se il Presidente del Tribunale non avesse consigliato quest’ultimo di munirsi di un difensore.

A tacere del fatto che la censura, ove anche fosse astrattamente configurabile, difetterebbe comunque di autosufficienza, non avendo il ricorrente indicato l’atto o il verbale da cui risulti tale suggerimento dell’ufficio, va osservato che non ricorre alcuna violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, tanto meno in termini di nullità, ove si consideri che la non necessaria assistenza tecnica, che si ricava dalla L. n. 794 del 1942, art. 29, comma 3, applicabile al procedimento di opposizione per il rinvio contenuto nel comma 2 di detta norma, come non impone, così non esclude che il c.t.u. opposto sia assistito da un avvocato; e che la mera prospettazione dell’opportunità che la parte opposta si avvalga di una difesa tecnica, esprime l’esercizio legittimo ad opera del giudice di un potere di informazione a sua volta rientrante nell’ambito di quello più generale inteso al leale svolgimento del procedimento (art. 175 c.p.c., comma 1).

1.4. – Del pari destituita di pregio è la censura di omessa pronuncia sull’istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto di liquidazione del compenso, per la duplice ragione che:

a) il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo a vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, potendo profilarsi, invece, al riguardo, un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ., se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data da detto giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass. nn. 4191/06, 24808/05, 22860/04, 3927/02); b) dalla esecutività per legge del provvedimento opposto deriva che la parte soccombente non ha interesse a dolersi, con ricorso per cassazione, della mancata pronuncia ad opera del giudice di merito sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado (cfr., per l’analoga fattispecie della sentenza d’appello ricorsa per cassazione, Cass. nn. 1440/00,9868/05).

2. – Con il secondo motivo è denunciata la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, della L. n. 794 del 1942, art. 29 e degli artt. 91 e 100 c.p.c., anche in coordinamento fra loro, e il vizio di omessa motivazione, per aver il giudice di primo grado condannato S.B. a rifondere le spese del procedimento di opposizione anche a favore di S. A., che in quanto condividente non aveva interesse nè legittimazione a contraddire alla domanda, avendo questa ad oggetto la quantificazione di spese di massa, che ad ogni modo gravano sulla comunione.

2.1. – Il motivo è fondato.

2.1.1. – Il regolamento delle spese di lite opera in base al criterio della soccombenza, il quale, a sua volta, presuppone nella parte contro cui è pronunciata la relativa condanna un titolo di legittimazione passiva che la qualifichi come portatrice di un interesse antagonista a quello della parte vittoriosa.

La specificità del procedimento in esame risiede nella partecipazione necessaria della condividente, in quanto parte incisa dal provvedimento di liquidazione. Quest’ultimo, infatti, ha ad oggetto una spesa sostenuta nell’interesse superiore della funzione giudiziaria e non in quello particolare di una parte piuttosto che di un’altra, sicchè tutti i soggetti coinvolti nel processo sono obbligati in solido, nei rapporti esterni con il c.t.u., al relativo pagamento (cfr., ex multis, Cass. n. 23586/08), a prescindere dal provvedimento, provvisorio o finale, di addebito della spesa stessa nei rapporti interni alle parti.

Nel caso di specie, va da sè che la condividente non ha, indipendentemente dalla strategia difensiva in concreto adottata, un interesse (s’intende, qualificato) contrario all’accoglimento del reclamo, ove si consideri che quest’ultimo mira soltanto a ridurre una prestazione che grava anche su di lei.

2.1.2. – Questa Corte ha avuto modo, in fattispecie consimili (ma non identiche), di affermare il principio per cui il litisconsorte processuale cui sia stata notificata l’impugnazione, ma non proposta alcuna domanda, ha diritto a rimborso delle spese, che sono a carico dalla parte impugnante, se soccombente (cfr. Cass. nn. 2270/06, 5977/01). E che, allo stesso modo, qualora l’attore convenga in giudizio, oltre al soggetto contro cui è indirizzata la domanda, anche un terzo nei cui confronti ritiene che debba essere adottata o comunque avere effetto la pronunzia, in caso di non accoglimento della domanda legittimamente il giudice pone a suo carico le spese giudiziali sopportate (anche) da tale terzo, pur se nei confronti del medesimo non risultino proposte specifiche domande, giacchè, da un canto, la partecipazione di costui al giudizio, in primo grado, è necessitata dalla citazione notificatagli dall’attore, e, in secondo grado, trova giustificazione sotto il profilo del litisconsorzio processuale; d’altro canto, l’onere della rivalsa discende dal principio generale della soccombenza – pur mancando un diretto rapporto sostanziate e processuale tra attore e terzo -, stante la responsabilità dell’uno per avere dato luogo, con una pretesa infondata, al giudizio nel quale l’altro è rimasto coinvolto ed ha dovuto svolgere le proprie ragioni e difese (Cass. n. 3642/04).

2.1.3. – Non sembra, tuttavia, che tali precedenti si attaglino esattamente al caso di specie. Non solo e non tanto perchè, in generale, dall’opposizione prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, non può che derivare, per le altre parti che si limitino a non aderire alla domanda proposta contro il c.t.u., altro se non un effetto favorevole (lì dove, nelle fattispecie esaminate dalla giurisprudenza di questa Corte, la posizione del litisconsorte processuale è, semmai, tendenzialmente neutra), ma anche e soprattutto in considerazione del fatto che, in particolare, detto procedimento ha carattere incidentale rispetto ad un processo di divisione, nel quale non necessariamente si deve pervenire ad un regolamento delle spese, consentito solo nel caso di eccessive pretese o di inutili resistenze, cioè di ingiustificato comportamento di una parte (giurisprudenza costante: cfr., per tutte, Cass. n. 3083/06).

E allora, nei rapporti interra alle parti del processo di divisione, non è possibile ipotizzare nè legittimazione passiva, nè soccombenza in punto di spese sostenute nel limitato ed esclusivo ambito del procedimento incidentale di opposizione al decreto di liquidazione del compenso al c.t.u., ogni eventuale questione tra le stesse dovendosi dirimere con la semenza che, chiudendo il giudizio di cognizione ordinaria, opera una valutazione complessiva della condotta processuale di ciascun condividente e stabilisce, di riflesso, se e in qual misura runa parte debba rimborsare le spese all’altra.

3. – Con il terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 151 e 170 e della L. n. 794 del 1942, art. 29, anche in coordinamento fra loro, nonchè il vizio di omessa motivazione, sostenendo che il Presidente del Tribunale, che pure ai fini della liquidazione degli onorari variabili spettanti al c.t.u. avrebbe dovuto tenere conto delle difficoltà, della completezza e del pregio della prestazione resa dall’ausiliario, non ha considerato che la c.t.u. svolta era nulla, come l’opponente aveva eccepito, in quanto il c.t.u. aveva omesso di comunicare al consulente di patte attrice la data di prosecuzione delle indagini e di compiere accertamenti fondamentali, quali le ricerche delle trascrizioni e delle iscrizioni presso la Conservatoria dei RR.II. Inoltre, aveva commesso errori nell’adottare i parametri di valutazione dei beni, tanto che entrambe le parti, nel giudizio di merito, avevano chiesto la rinnovazione delle indagini e la sostituzione del c.t.u..

Tali notazioni, osserva il ricorrente, dovevano essere valutate dal giudice dell’opposizione, il quale le ha, invece, del tutto disattese.

3.1. – Il motivo è infondato, siccome in contrasto con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, richiamato dallo stesso giudice di merito.

Ed infatti, in sede di opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi al consulente tecnico sono ammissibili soltanto le censure che si riferiscano alla liquidazione del compenso mentre non possono proporsi questioni relative all’utilità e validità della consulenza tecnica, che attengono al merito della causa e vanno fatte valere nella relativa sede (v. Cass. nn. 6684/95, 1014/96 e 4425/98), Principio, questo, che l’abrogazione (pressochè integrale) della L. n. 319 del 1980, non ha posto in discussione, essendo rimasta sostanzialmente invariata la natura e la struttura del procedimento di opposizione alla liquidazione, già previsto dall’art. 11 della citata legge e disciplinato oggi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170.

3.2. – Per la stessa ragione, di nessun rilievo è la circostanza, affermata dal ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., che la consulenza tecnica svolta dai c.t.u. ing. C. sarebbe stata dichiarata nulla nel giudizio di merito.

4. – Con il quarto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione del D.M. 30 maggio 2002, artt. 2, 13 e 16, della L. n. 319 del 1980, art. 4, degli artt. 10, 12, 14 e 15 c.p.c. e del D.P.R. n. 15 del 2002, art. 51, anche in coordinamento fra loro, nonchè il vizio di omessa motivazione.

Sostiene il ricorrente che per la determinazione degli onorari a percentuale si ha riguardo, per la consulenza tecnica, al valore della controversia, e che se non è possibile applicare tale criterio gli onorari sono commisurati al tempo ritenuto necessario allo svolgimento dell’incarico e sono determinati in base alle vacazioni.

Poichè nella specie è applicabile l’art. 12 c.p.c., u.c., secondo cui il valore delle cause di divisione si determina da quello della massa attiva da dividere, e l’attore nel proporre la domanda non ha indicato alcun valore, la domanda deve ritenersi di valore indeterminabile, con conseguente applicazione del criterio di calcolo a vacazioni per liquidare il compenso al c.t.u..

In ogni caso, prosegue il ricorrente, si sarebbe dovuto applicare il criterio dell’art. 15 c.p.c., e non già quello del valore dei beni che lo stesso c.t.u. ha determinato.

Inoltre, è errata l’applicazione dei valori massimi, invece di quelli minimi o medi, non essendo ciò giustificabile, come invece ha ritenuto il giudice di prime cure, in base al fatto che il decreto di liquidazione ha applicato un’unica voce di compenso a fronte di un quesito duplice, che richiedeva di calcolare il valore non solo commerciale, ma anche locativo di ciascuna unità immobiliare. Le due attività, infatti, avrebbero dovuto essere valutate in maniera distinta, in base alle differenti tariffe applicabili per l’una e per l’altra.

4.1. – Il motivo è infondato.

Questa Corte ha avuto modo di chiarire che nel sistema di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 ed ai sensi dell’art. 2 delle tabelle allegate al D.M. 30 maggio 2002, in materia di compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori, al consulente tecnico in materia contabile spetta un onorario a percentuale calcolato per scaglioni, dovendosi ritenere che la possibilità – prevista dall’art. 1 delle medesime tabelle – di commisurare l’onorario con riguardo al valore del bene o al valore della controversia e, ove ciò non sia possibile, al tempo necessario per lo svolgimento dell’incarico, abbia carattere residuale, applicabile soltanto in assenza di una specifica previsione, come già avveniva nella vigenza della L. 8 luglio 1980, n. 319 (Cass. n. 17333/09).

L’art. 3 della tabella allegata al D.M. citato prevede per la valutazione di patrimoni – e quindi anche di un asse ereditario – il criterio della liquidazione dell’onorario a percentuale, di cui all’art. 2, ridotto della metà. Tale valore, a sua volta, deve essere calcolato, in base all’art. 1, con riferimento al valore dell’asse da dividere, secondo la previsione dell’art. 12 c.p.c., comma 2.

Ciò posto, si tratta di stabilire se nella specie il valore della controversia sia – come sostiene il ricorrente – indeterminabile, con conseguente applicazione del criterio delle vacazioni, ovvero soltanto indeterminato, situazione, quest’ultima, che si verifica allorchè il valore della causa, non dichiarato dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio, sia tuttavia determinabile sulla base dell’istruzione probatoria.

Quest’ultima soluzione deve ritenersi senz’antro esatta, poichè le utilità oggetto di causa sono costituite da beni patrimoniali, lì dove, per converso, sono di valore indeterminabile soltanto le cause aventi ad oggetto beni insuscettibili di valutazione economica (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. per tutte, Cass. n. 1118/85).

Nessun dubbio, pertanto, vi può essere sul fatto che ai fini in questione il giudice debba accertare il valore della causa, anche utilizzando gli accertamenti svolti dal medesimo c.t.u, la cui opera è chiamato a remunerare. (L’obiezione del ricorrente, il quale opina che in tal modo il c.t.u. potrebbe autodeterminare il parametro di calcolo del proprio compenso, non ha pregio, perchè il giudice ha in ogni caso il potere di sindacare la correttezza della stima e, se del caso, di ridurla).

4.2. – Quanto, poi, alla censura concernente l’applicazione dei valori massimi, e non di quelli minimi o medi, deve ulteriormente osservarsi che sebbene la motivazione sul punto svolta dal giudice di merito non sia convincente, poichè due essendo le valutazioni da compiere (valore commerciale e valore locativo degli immobili), due avrebbero dovuto essere le voci di tariffa applicabili, il ricorrente neppure allega che una tale doppia liquidazione sarebbe stata di importo complessivo inferiore a quello infine determinato con l’applicazione della tariffa massima ex art. 13 della tabella, sicchè il motivo pecca quanto all’interesse ad ottenere, in parte qua, un effetto demolitorio della pronuncia di merito. Ciò assorbe, inoltre, l’ulteriore questione circa l’applicabilità dell’art. 13 cit.; di cui, in realtà, il ricorrente non si duole se non sotto il profilo, infondato per quanto sopra detto, dell’applicabilità del criterio residuale delle vacazioni.

5. – Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 74, 87 e 19 disp. att. c.p.c., dell’art. 101 c.p.c., del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 56 e dell’art. 2699 c.c., e segg., anche in coordinamento fra loro, nonchè il vizio di omessa motivazione.

Sostiene che il Tribunale ha errato nei prendere in considerazione documenti giustificativi di spesa prodotti dal c.t.u. non con la memoria difensiva, ma successivamente e al riparo dal contraddittorio, tanto che il ricorrente afferma di esserne venuto a conoscenza solo in seguito all’emissione del decreto emesso dal Presidente del Tribunale.

Contesta, altresì, l’affermazione del giudice di merito, il quale ha sostenuto essere stato abrogato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 229, la L. n. 319 del 1980, art. 7, che prescriveva ai periti e consulenti tecnici di presentare una nota specifica delle spese sostenute e di allegare la corrispondente documentazione. Infatti, il citato D.P.R. contiene all’art. 56 una disposizione che ricalca quella abrogata, stabilendo che gli ausiliari del magistrato devono presentare una nota specifica delle spese sostenute per l’adempimento dell’incarico e allegare la corrispondente documentazione.

Lamenta, infine, che quelle che il giudice di prime cure ha definito “pezze d’appoggio” a sostegno delle spese, non sono probanti perchè prive di data certa e non attribuibili al processo in questione, e che il giudice ha altresì ritenuto come effettuate spese per fax (benchè rinunciate dallo stesso c.t.u.) e per trasferte non documentate; e che in ogni caso per effetto dell’abrogazione della L. n. 319 del 1980, art. 9, non sono rimborsabili le spese di viaggio non documentate.

5.1. – Il motivo è fondato nei termini seguenti, che assorbono ogni altra questione posta.

Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, l’abrogazione pressochè totale della L. n. 319 del 1980 (escluso il solo art. 4) non ha comportato il venire meno a carico degli ausiliari del magistrato dell’onere di allegare con nota specifica e di documentare le spese sostenute nell’esecuzione dell’incarico (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 56, comma 1), mentre le spese di viaggio sono liquidate anche senza documentazione, ma in base alle tariffe di prima classe sui servizi di linea, esclusi quelli aerei (art. 55, comma 2 D.P.R. cit.).

5.1.1. – Nel caso di specie, il provvedimento impugnato, nel richiamare genericamente le “pezze d’appoggio” prodotte e il potere del giudice di riconoscere discrezionalmente gli esborsi rimborsabili, ha ritenuto che le spese di viaggio, benchè non documentate, fossero comunque ripetibili stante il loro importo congruo, e che del pari fosse dovuto il rimborso delle residue spese “di poco conto”, pure non basate su documentazione. In tal modo, il giudice di primo grado è incorso nella violazione dell’art. 56 D.P.R. cit., che non ha applicato in nessuna delle due previsioni richiamate.

6. – In conclusione, vanno accolti il secondo ed il quinto motivo, nei limiti anzi detti, e rigettati gli altri, per cui il provvedimento impugnato va cassato in relazione ai motivi accolti con rinvio al Tribunale di Pisa, che provvederà anche alle spese del presente giudizio di legittimità.

 P.Q.M.

 La Corte accoglie il secondo e il quinto motivo, quest’ultimo per quanto di ragione, rigetta gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Pisa che provvederà anche alle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2011

 


Share
Avatar photo

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

Anche questi articoli potrebbero interessarti:


68 commenti:

  1. Vincenza

    Egregio Avvocato,
    gradirei ricevere alcune informazioni in materia di liquidazione CTU. In particolare, vorrei sapere cosa occorre fare per il recupero del compenso per CTU nel caso il professionista incaricato non abbia mai ricevuto decreto di liquidazione e l’udienza della sentenza della relativa causa è già avvenuta, evidenziando che nella sentenza si riportano le spese di CTU a carico della parte soccombente ma senza indicarne il quantum. Gradirei ricevere, inoltre, riferimenti di Sentenze in merito a tale argomento da cui sia possibile rilevare anche come occorra determinare la parcella del CTU in casi simili. Grazie

  2. Filippo

    Buongiorno avvocato, nel 2016 ho prestato la mia attività di CTU medico legale presso il giudice di pace e mi viene corrisposto un anticipo di € 200,00. Successivamente al deposito della CTU le parti trovano un accordo e fanno estinguere la procedura, il giudice si dimentica ed omette di fare il decreto di liquidazione. Io vengo a scoprirlo soltanto adesso avendo chiesto un accesso al fascicolo.
    Ho chiesto all’avvocato di parte attrice se fosse disposto a riconoscermi bonariamente il conguaglio ma mi ha detto che senza il decreto di liquidazione non mi spetta nulla.
    C’è qualcosa che potrei fare per farmi riconoscere il dovuto? La ringrazio anticipatamente per il consiglio che potrà darmi.

  3. Anna carugati

    Buongiorno avvocato, vorrei sapere come ci si deve comportare nella liquidazione di onorari nel caso in cui un consulente abbia contestualmente ricevuto due o piu’ incarichi dallo stesso ufficio, tenuto conto che la legge recita che non si possono liquidare piu’ di quattro vacazioni al giorno?

  4. Pietrinferni

    Buongiorno Avvocato. Ho svolto attività di custode e ritiro locazioni nonché ho richiesto liquidazione a saldo onorario perizia dopo tre giorni che il G.E. ha estinto la procedura esecutiva senza, ovviamente, che io potessi avere conoscenza anticipatamente del provvedimento di estinzione. Alla mia richiesta di liquidazione lo stesso GE ha rigettato l’istanza perché “a procedura estinta, il giudice non è più titolare della potestas iudicandi, con conseguente impossibilità, per lo stesso organo giurisdizionale, di provvedere alla liquidazione degli ausiliari”. Cosa devo fare? E’ possibile chiedere la liquidazione al creditore procedente? La ringrazio. Gabriele.

  5. Pietrinferni Gabriele

    Buongiorno ho svolto attività di custodia con ritiro locazioni ed ho fatto istanza al giudice per la liquidazione delle competenze tre giorni dopo il provvedimento di estinzione del GE. Cosa che non potevo sapere prima del provvedimento di estinzione della procedura. Alla mia istanza di liquidazione il GE rigetta così: “a procedura estinta, il giudice non è più titolare della potestas iudicandi, con conseguente impossibilità, per lo stesso organo giurisdizionale, di provvedere alla liquidazione degli ausiliari”. Cosa posso fare? Posso chiedere la liquidazione delle competenze al creditore procedente? La ringrazio Gabriele.

  6. Alberto d'urso

    egregio avvocato
    devo redigere una parcella sa sottoporre al Consiglio di Stato per un incarico TAR. per la conclusione di un accordo di programma che prevedeva anche una variante al PRG del Comune di Marano di napoli.
    Il CdS mi ha dato come indicazione di riferirmi al D.P.R.115/2002, redigendo una parcella a vacazione.
    Essendo stato affiancato da un consulente per le procedure espropriative. il CdS mi dice di redigere un’unica parcella e maggiorarla del 40%.
    In questo calcolo quindi devo conteggiare le sole vacazioni inerenti la mia attività o anche le vacazioni inerenti l’attività del consulente.
    In definitiva vanno sommate le due parcelle ai fini di farla divenire una parcella unica e maggiorarla del 40%,o calcolare solo le mie vacazioni?

  7. Maria

    se un giudice che deve emettere sentenza rimette tramite ordinanza la causa a ruolo, in una causa civile colpa medica,per chiedere delucidazioni ulteriori al ctu al fine della sentenza,depositate le integrazioni richieste,il giudice deve di nuovo attendere “nuove” comparse conclusionali e repliche o in udienza seguente può leggere dispositivo in sentenza dopo le precisazioni conclusioni delle parti?intanto il giudice è anche cambiato.non le ha chieste lui le integrazioni.ma comunque legalmente può leggere dispositivo o attendere nuove comparse e repliche giacchè la ctu è stata corredata di integrazioni?grazie

  8. Caterina

    Salve avvocato spero mi possa dare delle delucidazioni sul mio caso
    Sono un architetto CTU, sono stata nominata per la stima di un immobile. Completata la perizia il giudice mi ha liquidato tutte le spese e il 50% per il valore dell’immobile lasciandomi in attesa del saldo che si dovrà calcolare in base alla vendita.
    Oggi il processo viene estinto perchè le parti non si sono presentate alle varie udienze.
    La mia liquidazione finale come deve essere calcolata?
    Grazie

  9. Osvaldo

    Se il Giudice dimentica di emettere il decreto di liquidazione del CTU come può il CTU ottenere l’equo compenso. Grazie

  10. Giovanna

    Egr. Avv,
    Sono stata nominata CTU in un contenzioso civile, non risulta presentata la istanza di liquidazione del compenso (certamente mi sarà sfuggita). Il Giudice con la sentenza ha precisato che le spese della CTU, liquidate con separato decreto, sono a carico di parte attrice.
    Accortami della dimenticanza mi sono rivolta al Giudice, al fine della liquidazione del compenso.
    Il Giudice mi ha detto che dopo il deposito della sentenza non può più provvedere alla liquidazione.
    Cosa posso fare ed a chi dovrei rivolgermi?
    Nel ringraziarLa anticipatamente per la risposta, Le porgo Cordiali Saluti.

  11. Salvatore Pisani

    Egregio avvocato sono un CTU e le sottopongo il mio caso per un suo cortese parere.
    Sono stato nominato CTU dal giudice di pace sez. Civile di Parma. Successivamente in sede di inizio operazioni peritali l’avvocato della parte attrice ci ripensa e dichiara che non vuole procedere alla CTU e che farà istanza al giudice. Successivamente dunque il giudice di pace mi revoca l’incarico e poi mi liquida la somma da me richiesta con decreto apposito a cui non è stato fatto opposizione . Non essendo stato pagato dalle parti in causa ho provveduto al recupero del credito tramite decreto ingiuntivo. Adesso uno degli avvocati mi comunica, telefonicamente e tramite PEC, che nell’ultima udienza il giudice di pace avrebbe sospeso il decreto di liquidazione in attesa di chiarimenti in una prossima udienza.
    Se ciò fosse vero le chiedo se secondo lei è questa una procedura regolare.
    La ringrazio, cordialmente Dott. Salvatore Pisani

  12. Armando

    Egr. Avv. ,ho regolarmente risposto ha tutti i quesiti così come richiesti . nonché fatto regolare richiesta di liquidazione dell’onorario e spese ma il Giudice, nonostante i vari solleciti di pagamento, non emette un regolare decreto di liquidazione della CTU. Pertanto, nonostante il procedimento è già stato estinto per la non presenza delle parti, mi viene impedito di poter accettare o, eventualmente, impugnare un decreto di liquidazione. Le sarei grato sapere quali possono essere le azioni per poter ottenere l’emissione di un regolare decreto di liquidazione di un compenso per la CTU regolarmente espletata. Grazie

  13. Mirco Minardi

    @Pisani: non capisco, però, per quale ragione è stato chiesto il decreto ingiuntivo se c’era il decreto di liquidazione. Comunque la sospensione necessita di contraddittorio, anticipato o differito.

  14. Vincenzo

    Egregio Avvocato,
    Le chiedo se è necessaria la richiesta di liquidazione per prestazioni aggiuntive al quesito posto e autorizzate nel corso dell’espletamento dell’incarico a seguito di specifica richiesta da parte del CTU (in particolare si richiedeva autorizzazione per la presentazione di istanza in sanatoria includendo preventivo di spesa per le prestazioni aggiuntive a quelle oggetto dell’incarico e queste venivano autorizzate dal Giudice, anche in ordine al compenso richiesto).
    Cordialmente saluto.

  15. Marco

    Gentile avvocato,
    nel merito del suo articolo, poichè non mi è ancora del tutto chiaro, vorrei chiederle se, per il ricorso al decreto di liquidazione – nello specifico il CTU – debba necessariamente avvalersi della consulenza/prestazione di un legale o se può presentare tale ricorso mediante istanza da depositarsi in tribunale.
    Grazie.

  16. Manuela

    Gentile Avvocato,
    Ho redatto una consulenza Tecnica (nel 2014) per la sezione fallimentare del Tribunale di Firenze. Contestualmente al deposito avevo presentato al Curatore fallimentare tale nota. A vendita avvenuta dell’immobile, mi è stata chiesta nuovamente la nota per spese e onorari. Per la redazione di tale notula ho fato riferimento ad un protocollo di intesa intercorso fra l’ordine degli Architetti di Firenze e il Tribunale di Firenze, Sezione Esecuzioni immobiliari. Il curatore mi ha comunicato l’importo della liquidazione senza trasmettere il Decreto che io ho prontamente richiesto. La liquidazione è il 50% in meno di quanto richiesto. Soprattutto mi sbalordisce il taglio dei rimborsi spese per sopralluoghi, accesso Conservatoria, Accesso Catasto, accesso agenzia entrate, accesso comune in cui è posto l’immobile. Preciso che tale immobile è ubicato in altra provincia e per ogni trasferimento era necessario per andata e ritorno circa 150 chilometri. Ho fatto 5 trasferimenti per un totale di circa 750 chilometri. Di tali trasferimenti ho presentato per dare l’esatta data di effettuazione le ricevute autostradali. il giudice mi ha riconosciuto solo le spese anticipate (conservatoria ecc allegate alla nota) e per tutta le altre spese solo 100 euro. In tali spese vi erano anche le spese generali e quant’altro. Complessivamente la mia nota per spese e onorari è stata comunque decurtata di oltre il 50%. E’ corretto questo procedimento e cosa si potrebbe fare senza dover proporre un’opposizione?
    Grazie per una cortese risposta in merito



Lascia un commento

  • (will not be published)

XHTML: Puoi usare questi tags: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

*