E’ stata una estate molto calda, anche per il povero processo civile, sempre più martoriato da interventi insensati, sconclusionati e mancanti di qualsivoglia prospettiva reale.
Una delle modifiche riguarda il celeberrimo calendario del processo, introdotto dalla legge n. 69/2009 ed applicato discrezionalmente dai vari giudici.
L’art. 81-bis delle disp. att. c.p.c. stabiliva:
“Il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. I termini fissati nel calendario possono essere prorogati, anche d’ufficio, quando sussistono gravi motivi sopravvenuti. La proroga deve essere richiesta dalle parti prima della scadenza dei termini”.
Quella richiesta di proroga delle parti è una piccola e ingiusta trappola, visto che è dal 1995 (da quando cioè è in vigore il “nuovo rito”, che le parti non hanno più la disponibilità del processo; dunque il mancato rispetto dei termini non può che derivare o dal comportamento del giudice o da eventi (ad esempio la mancata comparizione di un teste) che non dipendono dai difensori. Sono infatti un ricordo del passato quelle finte richieste di rinvio per “espletare un tentativo di conciliazione”. Oggi nessun giudice assennato te lo accorda a meno che non gli assicuri che l’accordo è certo al 100%.
Quindi il difensore deve anche ricordarsi se è stato stabilito un calendario del processo e qualora il giudice non lo rispetti deve ricordarsi di chiedere la proroga dei termini (follia allo stato puro).
Ma tant’è.
Vediamo come è cambiato il nuovo articolo 81-bis, che si applica ai processi introdotti dal 17 settembre 2011:
1. Ai fini della riduzione della spesa pubblica e per ragioni di
migliore organizzazione del servizio di giustizia, all’articolo
81-bis delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura
civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18
dicembre 1941, n. 1368, sono apportate le seguenti modifiche:
a) il primo comma e’ sostituito dal seguente:
«Il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite
le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della
complessita’ della causa, fissa, nel rispetto del principio di
ragionevole durata del processo, il calendario delle udienze
successive, indicando gli incombenti che verranno in ciascuna di esse
espletati, compresi quelli di cui all’articolo 189, primo comma. I
termini fissati nel calendario possono essere prorogati, anche
d’ufficio, quando sussistono gravi motivi sopravvenuti. La proroga
deve essere richiesta dalle parti prima della scadenza dei termini»;
b) dopo il primo comma e’ inserito il seguente:
«Il mancato rispetto dei termini fissati nel calendario di cui al
comma precedente da parte del giudice, del difensore o del consulente
tecnico d’ufficio puo’ costituire violazione disciplinare, e puo’
essere considerato ai fini della valutazione di professionalita’ e
della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi».
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alle controversie
instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto.
Il riferimento al rispetto del principio di ragionevole durata del processo è semplicemente retorico, non c’era alcun bisogno di ricordare la necessità del suo rispetto che deriva direttamente dalla Costituzione e da altre disposizioni legislative.
Ma ciò che colpisce è la possibilità di sanzionare disciplinarmente gli avvocati che non rispettano i termini, termini che, come abbiamo detto, non sono più disponibili. In che modo, dunque, un avvocato potrebbe con il suo comportamento rallentare il processo? Al momento non mi viene in mente nessun caso, ma se è capitato si è trattato di un caso su 1 milione. Insomma, una disposizione inutile, frutto di un atteggiamento arrogante e colpevolista.
Bisognerebbe ricordare ai conditores che le cause del contenzioso sono attribuibili in larga misura al Legislatore stesso il quale:
– con le continue modifiche legislative crea incertezze normative, con conseguente ricorso all’autorità giudiziaria;
– omette di intervenire per risolvere contrasti giurisprudenziali, spesso su questioni di mero rito, incentivando così le impugnazioni.
Prima di dire che cosa possono fare gli altri per risolvere il cancro del contenzioso civile, si interroghi chiedendosi “che cosa posso fare io, Legislatore, per non favorire il contenzioso”.
Ultimi commenti