Un padre cappuccino appartenente all’ordine dei frati minori, viene sopreso a percorrere un tratto di strada a bordo della sua autovettura alla velocità di 112 km, in violazione del limite ivi presente di 50 km.
Impugna il verbale, allegando che in quel frangente si stava recando a rendere l’estrema unzione ad un moribondo.
Il Giudice di Pace accoglie la domanda, osservando che:
- una persona che in punto di morte non possa ricevere l’estrema unzione rischia di subire, per chi ha fede, un danno grave e irreparabile;
- non può negarsi che l’assenza dei cosiddetti conforti religiosi possa produrre nell’infermo uno stato di prostrazione che rende più drammatica e crudele la sofferenza dell’ultimo istante;
- la mancata somministrazione di un sacramento costituisce dunque (o è percepito come) un danno grave alla persona proprio perché investe l’essere umano nella sua più alta dimensione spirituale;
- tale danno è poi anche irreparabile perché dopo il decesso l’unzione non può più essere somministrata. E’ un danno non altrimenti evitabile perché, a differenza del battesimo che in casi estremi può essere impartito anche da un laico, l’unzione degli infermi abbisogna della presenza di un ministro di culto;
- quindi concludeva sostenendo recisamente che “l’eccezione della polizia municipale, che nega lo stato di necessità in una circostanza come quella in esame, appare dunque dettata da un rigido laicismo tanto giacobino quanto astratto”.
Impugna in appello il Comune ed il Tribunale accoglie integralmente la domanda con queste motivazioni:
- Del tutto evidente è l’insussistenza della scriminante putativa riferita alla supposta necessità, vissuta con i caratteri della cogenza ed assolutezza, di somministrare l’estrema unzione al morituro a fini di salvezza dell’anima.
- Va ricordato che per la ricorrenza di una ipotesi di erronea supposizione dell’esistenza di una scriminante, non è sufficiente che il soggetto creda, erroneamente che il suo comportamento sia scriminato, ma occorre che ritenga – senza sua colpa – di trovarsi in una situazione di fatto tale che, ove effettivamente esistente, certamente integrerebbe gli estremi della causa di giustificazione invocata.
- In altri termini l’errore che scusa è quello che cade sul fatto e non quello che cade sui limiti del precetto, riconducendosi quest’ultimo all’error vel ignorantia juris che, come è noto, non excusat.
- Ragionare diversamente equivarrebbe a ritenere scriminati tutti coloro che, per particolari convinzioni personali (tutte ugualmente rispettabile finchè non ispirino condotte potenzialmente lesive per i terzi), ritengano legittimi i propri comportamenti; così, per rimanere in tema, dovrebbe ritenersi scriminato lo sciamano di credo animista che corra all’impazzata all’interno di un centro urbano, magari in prossimità di scuole, per recarsi al capezzale di un malato al fine di praticargli un rito vodoo, assolutamente necessario, secondo la sua personale convinzione, a scacciare dal suo corpo i demoni ritenuti causa della sua malattia.
- Infine, del tutto evidente è la sproporzione tra la condotta illegittima e il supposto stato di pericolo di danno grave alla persona: non è infatti seriamente revocabile in dubbio che non possa mettersi a repentaglio la vita di ignari ed incolpevoli utenti della strada al fine di arrecare ad un moribondo un transeunte conforto morale, sebbene in un momento delicatissimo come quello del trapasso.
Tribunale Perugia, 06 giugno 2008
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 16 novembre 2006 W. S., padre cappuccino appartenente alla Provincia Umbra dei Frati Minori, proponeva opposizione avverso il verbale n. 165097 di accertamento di violazione al codice della strada elevato dalla Polizia Municipale di Foligno in quanto percorreva alla velocità di 112 km/h un tratto di strada con limite di velocità di 50 km/h.
Adduceva nel ricorso che, al momento della rilevazione della violazione a mezzo autovelox, si stava recando al capezzale di un infermo al fine di somministrargli l’estrema unzione.
Presentava memoria il Corpo di Polizia Municipale – Ufficio contravvenzioni, eccependo che, in sede di contestazione della contravvenzione, il W. S. non aveva fatto alcun riferimento al motivo del superamento del limite di velocità addotto con il ricorso, essendosi limitato esclusivamente a contestare la correttezza della rilevazione, sostenendo di procedere a velocità inferiore a quella rilevata.
Deduceva poi che, anche a voler ritenere veritiera l’affermazione dell’opponente, comunque, nella situazione allegata, non ricorrevano gli estremi di alcuna esimente codificata, e, in particolare né dell’adempimento del dovere né dello stato di necessità.
Con l’impugnata sentenza il Giudice di Pace di Foligno accoglieva l’opposizione ritenendo non rilevante la circostanza che il contravventore non avesse dichiarato il motivo della sua “corsa”, potendosi l’omissione giustificare “con la naturale ritrosia connessa ad una funzione tanto delicata” quale la somministrazione della estrema unzione ad un moribondo.
Riguardo allo stato di necessità – richiamata la efficacia scriminante anche della supposizione della sua esistenza e premesso che “un sacramento, qual è l’unzione degli infermi, è per il cristiano cattolico, il segno visibile istituito da Cristo per condurre un’anima alla salvezza” – riteneva che “una persona che in punto di morte non possa riceverlo rischia di subire, per chi ha fede, un danno grave e irreparabile”.
Riguardo invece al morituro rilevava che “non può negarsi che l’assenza dei cosiddetti conforti religiosi possa produrre nell’infermo uno stato di prostrazione che rende più drammatica e crudele la sofferenza dell’ultimo istante” affermando che “la mancata somministrazione di un sacramento costituisce dunque (o è percepito come) un danno grave alla persona proprio perché investe l’essere umano nella sua più alta dimensione spirituale. Il danno è poi anche irreparabile perché dopo il decesso l’unzione non può più essere somministrata. E’ un danno non altrimenti evitabile perché, a differenza del battesimo che in casi estremi può essere impartito anche da un laico, l’unzione degli infermi abbisogna della presenza di un ministro di culto”.
Quindi concludeva sostenendo recisamente che “l’eccezione della polizia municipale, che nega lo stato di necessità in una circostanza come quella in esame, appare dunque dettata da un rigido laicismo tanto giacobino quanto astratto”, per tali ragioni accogliendo il ricorso.
Avverso la sentenza ha proposto appello il Comune di Foligno sostenendo, con un primo motivo, che mancava del tutto la prova dell’elemento fattuale – costituito dalla necessità di recarsi a somministrare l’estrema unzione ad un non meglio precisato moribondo – posto a fondamento di tutta la costruzione giuridica accolta dal primo Giudice.
Con un secondo motivo ha dedotto la insussistenza dei requisiti per l’operatività della scriminante invocata anche a voler ritenere veritiere le allegazioni dell’opponente.
Si è costituito l’appellato eccependo, in rito, l’improcedibilità dell’appello e, nel merito, resistendo allo stesso e chiedendone il rigetto.
In via istruttoria ha altresì chiesto di poter depositare documenti intesi a dimostrare il presupposto di fatto posto a fondamento della scriminante.
MOTIVAZIONE
L’appello è, con ogni evidenza, fondato in ogni sua prospettazione.
In via preliminare deve rigettarsi l’eccezione di improcedibilità dell’impugnazione.
Sostiene al riguardo l’appellato che il Comune, rimasto contumace in primo grado, non avrebbe potuto sollevare le eccezioni di cui all’atto di gravame.
L’eccezione è infondata essendosi l’ente limitato ad una confutazione, in punto di mero diritto, delle argomentazioni poste a sostegno della impugnata sentenza, senza addurre nuove allegazioni di fatto.
Sempre in rito, va rilevata la superfluità della documentazione depositata dall’appellato (prescindendo dalla questione della inammissibilità della produzione di nuovi documenti in appello) in considerazione del fatto che, anche a voler ritenere provato il fatto (l’accorrere cioè del W. S. al capezzale di un moribondo onde somministrargli l’estrema unzione), lo stesso è del tutto irrilevante ai fini che ci occupano (frustra probatur quod probatum non relevat) non potendo assolutamente valere a scriminare la gravissima condotta dell’appellato, astrattamente idonea a recare gravi danni ad ignari pedoni, potenziali vittime delle convinzioni personali dell’automobilista e della propria particolare valutazione della situazione di urgenza che si intende far assumere al rango di regola generale.
Nel merito la sentenza impugnata deve essere integralmente riformata.
Al riguardo va preliminarmente rilevata – oltre alla contaminazione delle argomentazioni tecniche con dogmi metagiuridici (evidente nella invettiva finale avverso il “laicismo giacobino”) – la confusione di piani che si registra a proposito della ratio decidendi che in un primo momento sembra concentrarsi sulla sussistenza dello stato di necessità putativo – individuato nella convinzione del W. S. di dover necessariamente giungere in tempo al capezzale del moribondo onde salvargli l’anima o di dover evitare che, in mancanza dei “conforti religiosi”, l’infermo potesse cadere in “uno stato di prostrazione che rende più drammatica e crudele la sofferenza dell’ultimo istante” – e, in un secondo momento sembra invece consistere nella ricorrenza effettiva della scriminante costituita dalla effettiva necessità di evitare al morituro la grave sofferenza morale di morire senza il viatico dell’estrema unzione.
I due piani vanno partitamente analizzati.
Del tutto evidente l’insussistenza della scriminante putativa riferita alla supposta necessità, vissuta con i caratteri della cogenza ed assolutezza, di somministrare l’estrema unzione al morituro a fini di salvezza dell’anima.
Va ricordato che per la ricorrenza di una ipotesi di erronea supposizione dell’esistenza di una scriminante, non è sufficiente che il soggetto creda, erroneamente che il suo comportamento sia scriminato, ma occorre che ritenga – senza sua colpa – di trovarsi in una situazione di fatto tale che, ove effettivamente esistente, certamente integrerebbe gli estremi della causa di giustificazione invocata.
In altri termini l’errore che scusa è quello che cade sul fatto e non quello che cade sui limiti del precetto, riconducendosi quest’ultimo all’error vel ignorantia juris che, come è noto, non excusat.
Ragionare diversamente equivarrebbe a ritenere scriminati tutti coloro che, per particolari convinzioni personali (tutte ugualmente rispettabile finchè non ispirino condotte potenzialmente lesive per i terzi), ritengano legittimi i propri comportamenti; così, per rimanere in tema, dovrebbe ritenersi scriminato lo sciamano di credo animista che corra all’impazzata all’interno di un centro urbano, magari in prossimità di scuole, per recarsi al capezzale di un malato al fine di praticargli un rito vodoo, assolutamente necessario, secondo la sua personale convinzione, a scacciare dal suo corpo i demoni ritenuti causa della .
Più delicato è invece il secondo aspetto, che coinvolge direttamente la persona del moribondo il quale, secondo la prospettazione dell’appellato (rectius secondo la lata interpretazione fornita dal Giudice di prime cure) avrebbe subito (effettivamente o secondo la supposizione dell’appellato) un danno grave dal mancato arrivo del Cappuccino, sprofondando nella più cupa disperazione a causa della mancata prestazione dell’estremo sacramento.
In proposito sussiste in primo luogo una assoluta carenza di prova non emendata dalle prove documentali offerte in appello.
Ed infatti, ai fini della dimostrazione dei presupposti di fatto della situazione asseritamente integrante lo stato di necessità, reale o supposto, (e prescindendo per ora dalla questione se gli stessi, ove provati, integrino effettivamente la scriminante invocata), occorreva provare:
a) che effettivamente il W. S. stesse recandosi a somministrare l’estrema unzione ad un moribondo;
b) che questi fosse, in virtù delle sue convinzioni religiose, profondamente convinto della assoluta necessità del sacramento;
c) che la mancanza della somministrazione del sacramento fosse dunque, effettivamente o secondo la supposizione dell’appellato, idonea ad arrecargli grave turbamento, in tal modo aggiungendo ulteriore sofferenza a quella della morte imminente;
d) che il moribondo, nonostante l’imminenza dell’exitus, fosse in stato di coscienza tale da potersi rendere conto della mancanza di assistenza religiosa.
Nulla di tutto ciò risulta dagli atti di causa né l’appellato si è offerto di provare tali circostanze.
In ogni caso, per mere ragioni di completezza, va rilevato che, anche se fosse esistita una simile situazione, la stessa parimenti non sarebbe risultata idonea a scriminare la condotta del sacerdote.
Ed infatti, a tali fini, occorreva in primo luogo che la condotta violativa della norma fosse necessaria per salvare il moribondo dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, che tale pericolo non fosse altrimenti evitabile e che il fatto fosse proporzionato al pericolo.
Orbene, anche a voler ammettere che il grave turbamento del morituro derivante dalla mancanza della estrema unzione, possa costituire danno grave alla persona, tale danno era certamente altrimenti evitabile eventualmente facendo intervenire un altro ministro di culto, laddove manca la prova della impossibilità della “sostituzione” o della necessità, a fini di conforto, che il sacramento fosse somministrato solo ed esclusivamente dal W. S..
Se infatti il fine dell’azione era quello di evitare il turbamento del moribondo, la somministrazione dell’unzione da parte di altro sacerdoto dimostrarsi idonea all’uopo e, soprattutto, niente affatto pericolosa per incolpevoli terzi.
Infine, del tutto evidente è la sproporzione tra la condotta illegittima e il supposto stato di pericolo di danno grave alla persona: non è infatti seriamente revocabile in dubbio che non possa mettersi a repentaglio la vita di ignari ed incolpevoli utenti della strada al fine di arrecare ad un moribondo un transeunte conforto morale, sebbene in un momento delicatissimo come quello del trapasso.
In accoglimento dell’appello deve essere dunque rigettata l’opposizione avverso il verbale n. 165097 di accertamento di violazione al codice della strada elevato dalla Polizia Municipale di Foligno.
Riguardo alle spese di giudizio non sussistono ragioni per derogare alla regola della soccombenza. Ed infatti anche la supposta giustificazione morale della condotta è rimasta al rango di mera allegazione difensiva ed in ogni caso la stessa non appare idonea ad indurre un giudizio di minore gravità di una condotta particolarmente pericolosa e gravemente violativa delle regole del Codice della Strada.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE DI PERUGIA
SEZIONE DISTACCATA DI FOLIGNO
in persona del
GIUDICE MONOCRATICO
dott. Gennaro Iannarone,
definitivamente pronunciando, ogni diversa e contraria istanza disattesa, accoglie l’appello e per l’effetto rigetta il ricorso presentato da W. S. in data 16.11.06 avverso il verbale n. 165097 redatto dalla Polizia Municipale di Foligno, così riformando l’impugnata sentenza.
Condanna W. S. al pagamento in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado di giudizio che liquida in complessivi euro 1.000,00, di cui euro 500,00 per onorari, oltre IVA e CPA se dovute.
Foligno, udienza del 6 giugno 2008.
IL GIUDICE
DOTT. GENNARO IANNARONE.

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