IL DANNO DEL SOGGETTO MINORE NON PERCETTORE DI REDDITO
Con riferimento alla liquidazione del danno patrimoniale futuro di soggetti non ancora produttivi di reddito a causa della giovane (o giovanissima) età sussistono in dottrina e giurisprudenza opinioni non sempre coincidenti.
Certamente è indubbia la validità generale del principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) e del principio secondo cui (ex art. 1226 cod. civ.) è consentita la liquidazione equitativa del danno solo se il quest’ultimo è provato (o non è contestato) nella sua esistenza e non dimostrabile, se non con grande difficoltà, nel suo preciso ammontare (cfr. su quest’ultimo punto, tra le altreCass. sent. 12545 del 08/07/2004).
Però l’intenzione di applicare con rigore tali due principi ha talora condotto a rendere in sostanza la liquidabilità del danno in questione meramente teorica ma non concretamente realizzabile in pratica.
E’ in realtà ovvio che è (quasi) sempre impossibile dare la prova rigorosa, precisa ed incontestabile di un danno futuro (e ciò è stato giustamente affermato da molto tempo da parte della giurisprudenza; cfr. tra le tante: Cass. Sentenza n. 495 del 20/01/1987: “Per la risarcibilità del danno patrimoniale futuro è sufficiente la prova che il danno si produrrà secondo una ragionevole e fondata attendibilità, non potendosene pretendere l’assoluta certezza”); infatti, persino se il danneggiato produceva un reddito al momento del sinistro, l’evoluzione successiva della sua capacità di produrlo (ovviamente nell’eventualità che il sinistro medesimo non si fosse verificato) può essere oggetto solo di un giudizio prognostico basato su presunzioni; la più importante e basilare delle quali è certamente costituita dall’entità del reddito già prodotto.
E’ palese che tale impossibilità è ancora più evidente nell’ipotesi di danneggiato che al momento del sinistro non produceva reddito, in quanto in tal caso viene meno anche quell’essenziale elemento presuntivo che è costituito dall’entità del reddito prodotto.
Ciò non significa però che tale danneggiato debba restare privato (applicando un errato “rigore” interpretativo che porterebbe in concreto ad escludere sempre la liquidabilità in questione) del risarcimento del danno patrimoniale; che ben può essere liquidato invece in base ad una corretta interpretazione della normativa in questione (in particolare in tema di presunzioni).
Va precisato a questo punto che è nell’ordine naturale delle cose che un soggetto ancora in età scolastica, qualora non abbia particolari deficienze, in futuro produrrà un reddito.
Si potrà discutere in ordine all’entità di tale presumibile reddito futuro in relazione agli elementi prognostici offerti, con riferimento allo specifico soggetto in questione, dalle risultanze processuali della particolare causa di cui si tratta (cfr. tra le altre: Cass. SENT. 23298 DEL 14/12/2004: “Quando un minore, non svolgente attività lavorativa, subisca, in conseguenza di un sinistro stradale, lesioni personali con postumi permanenti incidenti sulla specifica capacità lavorativa futura, il relativo danno da risarcire consistente nel minor guadagno che il minore percepirà rispetto a quello che avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata – può esser determinato dal giudice in base al tipo di attività che presumibilmente il minore eserciterà, secondo artieri probabilistici, tenendo conto degli studi intrapresi e delle inclinazioni manifestate dal minore, nonchè della posizione economico – sociale della famiglia. Ove il giudice di merito non ritenga di avvalersi di tale prova presuntiva, può ricorrere, in via equitativa, al criterio del triplo della pensione sociale. La scelta tra l’una o l’altro, di merito, è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata”); ma (salvo che sussistano elementi di convincimento in senso contrario) deve considerarsi come evento normale e prevedibile la produzione di un qualche reddito e non la non produzione del medesimo (come è stato giustamente affermato da questa Corte Suprema anche recentemente: “In tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito al momento dell’infortunio per non avere il soggetto leso ancora raggiunta l’età lavorativa può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che proiettandosi per il futuro verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà una attività remunerata. Tale danno può anche liquidarsi in via equitativa tenendo presente l’età dell’infortunato, il suo ambiente sociale e la sua vita di relazione”; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3539 del 15/04/1996; con riferimento ai danni consistenti in spese future di cura ed assistenza, cfr. anche Cass. Sentenza n. 752 del 21/01/2002).
Sulla base di tali argomentazioni, la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto:
“Quando un minore, non svolgente attività lavorativa, subisca, in conseguenza di un sinistro, lesioni personali con postumi permanenti che il Giudice di merito ritiene destinati ad incidere sulla sua specifica capacità lavorativa futura (in base ad una valutazione che ben può essere basata – in assenza di specifici elementi di convincimento in senso contrario – anche semplicemente su presunzioni fondate sull’id quod plerumque accidit, in relazione alla particolarità della fattispecie concreta; senza che sussista invece la necessità di una prova specifica e assolutamente rigorosa, di regola impossibile), il relativo danno da risarcire – consistente nel minor guadagno che il minore percepirà rispetto a quello che avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata – può esser determinato ex art. 1226 c.c., dal Giudice predetto in base al tipo di attività che presumibilmente il minore eserciterà, secondo criteri probabilistici, tenendo conto soprattutto degli studi intrapresi e delle capacità ed inclinazioni manifestate dal minore, nonchè (secondariamente) della posizione economico-sociale della famiglia. Ove il giudice di merito non ritenga di avvalersi di tale prova presuntiva, in quanto non sono emerse risultanze istruttorie idonee a costituire valide basi per la valutazione stessa, può ricorrere, sempre in via equitativa, al criterio del triplo della pensione sociale. La scelta tra l’una o l’altro, costituisce in giudizio tipicamente merito, ed è pertanto insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata”.
Estratto da Cass. civ. 24331/2008
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