Giorgio Nardone è un grandissimo psicoterapeuta, ma definirlo così potrebbe essere riduttivo visto che, tra le altre cose, è chiamato spesso a risolvere problemi aziendali. Il motivo è molto semplice: pochi altri, come lui, hanno approfondito il legame esistente tra soluzione e problema. Ho scritto “soluzione e problema” e non il contrario. Non è un caso.
Spesso, infatti, il problema, che magari tale non è, è prodotto proprio dalle tentate soluzioni errate. Detto altrimenti, ci si concentra sul problem solving, senza aver prima affrontato il problem setting, cioè la definizione del problema, ovvero ci si incaponisce sulle soluzioni sbagliate come se, per magia, d’un tratto potessero cominciare a funzionare.
Perchè parlo di ciò? Perchè ogni volta che osservo il legislatore intervenire sul processo civile o sul processo penale, noto che, proprio come dice Nardone, i problemi vengono creati dalle soluzioni sbagliate.
Prendiamo il problema della lentezza dei processi. Iniziamo dal penale. Evitando di analizzare il problema, il legislatore si concentra sulle soluzioni. Dice: “i processi durano troppo“. Rimedio: modifichiamo il processo penale, introduciamo riti alternativi, amnistiamo i reati. Insomma, la nave imbarca acqua e anzichè chiudere la falla ci si concentra su come svuotarla. Fuor di metafora: finchè il nostro legislatore continuerà a sfornare norme penali per punire anche chi respira troppo a lungo, tutti i rimedi saranno inutili, perchè la madre delle norme penali sgrava a ogni sospiro.
Prendiamo il processo civile. Il processo dura troppo. Il legislatore dice: “accorciamo i termini per le parti (perentori) e per i giudici (ordinatori)”. Ma mentre modifica continuamente il processo, non si accorge che le continue modifiche, frettolose, imprecise, lacunose, sbagliate, provocano esse stesse l’incertezza del diritto, e quindi i contrasti di giurisprudenza, quindi le impugnazioni e così il contenzioso.
Quando il ministro Mastella, pertanto, si scaglia contro il processo e i suoi protagonisti, dimentica che è proprio il potere politico uno dei massimi fattori del contenzioso e ciò sia con le azioni, sia con le omissioni.
Ho scritto fino alla noia che un semplice modo per evitare i contrasti di giurisprudenza, che, per chi non lo avesse notato, rappresentano l’applicazione del principio secondo cui la legge non è uguale per tutti, è quello di fare una legge di interpretazione autentica che ponga fine ai contrasti.
Facciamo un esempio. C’è attualmente un feroce contrasto tra giurisprudenza di merito e giurisprudenza di legittimità in merito alla procedura da adottare per chiamare in causa un terzo, nei giudizi in opposizione a decreto ingiuntivo. Questione dunque di mera forma. La giurisprudenza di merito prevalente, con il sostegno della dottrina, afferma che l’opponente debba citare direttamente il terzo; la Cassazione dice che non è possibile, dovendo l’opponente, che è convenuto sostanziale, chiedere al giudice l’autorizzazione in udienza. Quanto dovremo continuare ad assistere a questo balletto? Con processi che vanno avanti ed indietro su questioni bagatellari di forma?
Se i ministri fossero manager si farebbero delle domande, prima di arrivare alle risposte e si chiederebbero:
- da che cosa è provocata la lentezza dei processi?
- quanto incide sul contenzioso le riforme in appello e le cassazioni in sede di legittimità?
- quale dovrebbe essere la produttività media di un magistrato?
- quale dovrebbe essere la appellabilità media delle sentenze di un magistrato?
- quanto incide sulla lentezza del processo l’incertezza legislativa?
- quanto incidono sulla lentezza del processo le continue modifiche legislative?
- quanto incide sul numero dei processo la progressiva estensione dei diritti soggettivi?
Mi fermo qua.
Uno dei presupposti della Qualità e la presa di decisioni sulla base di informazioni. Ma la Qualità non è per questo legislatore.
Ultimi commenti