Questione davvero interessante quella decisa dal Tribunale di Salerno. Come è noto il primo comma dell’art. 155 c.c. stabilisce che
“Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
Tale norma ha avuto il pregio di riconoscere il diritto del minore a conservare rapporti con i parenti ed in particolare con i propri nonni, spesso resi difficili dall’accesa conflittualità dei genitori.
Ma detta norma, autorizza quindi i nonni ad intervenire in giudizio per far valere il loro diritto?
Il Tribunale di Salerno (uno dei primi a quanto ci consta) affronta la questione, giungendo ad una soluzione negativa – in linea con la dottrina maggioritaria – con queste argomentazioni:
- oggetto del giudizio di separazione è l’accertamento della sussistenza dei presupposti della autorizzazione a cessare la convivenza coniugale e la determinazione degli effetti che da tale cessazione derivano nei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi e nei rapporti dei coniugi stessi con i figli minori (o maggiorenni e, senza loro colpa, non autosufficienti);
- necessaria conseguenza della indicata delimitazione dell’oggetto del giudizio è perciò l’attribuzione della legittimazione ad agire esclusivamente ai coniugi (art. 150 c.c.);
- dall’individuazione dell’oggetto del giudizio e dalla regola della legittimazione esclusiva ad agire dei coniugi, deriva che non esistono diritti relativi all’oggetto o dipendenti dal titolo dedotto nel processo di separazione né interesse a sostenere le ragioni di una delle parti che possa legittimare un intervento dei terzi;
- nel nostro ordinamento non è tutelata in maniera immediata e diretta l’aspirazione dei nonni ad avere rapporti con i nipotini.
- il nostro ordinamento offre una tutela soltanto indiretta all’interesse dei parenti ad avere rapporti con i minori, mediante il riconoscimento della legittimazione (art. 336 c.c.) a sollecitare il controllo giudiziario sull’esercizio della potestà dei genitori, i quali non possono senza motivo plausibile vietare i rapporti dei figli con i parenti più stretti (Cassazione civile, sez. I, 17 gennaio 1996, n. 364; Cass. Cass. N. 3904/1957; Cass. N. 1115/1981);
- perciò, non può essere riconosciuta la qualità di parte nel giudizio di separazione ai parenti, ai quali la legge espressamente riconosce uno specifico potere processuale, da esercitare in sede diversa, per perseguire la soddisfazione delle proprie aspirazioni, in ipotesi, coincidenti con l’interesse oggettivo del minore.
Tribunale Salerno, 29 aprile 2008, sez. I
Svolgimento del processo e motivi della decisione
P.R.G. depositò il 2 novembre 2001 ricorso per separazione personale nei confronti del coniuge M.A.M.; matrimonio contratto il 7/8/1999 e trascritto nel Registro degli atti di matrimonio del Comune di Serre (Salerno) all’atto num. 5, anno 1999, Parte II, serie A. Le parti, dopo due rinvii su loro istanza dell’udienza presidenziale, comparivano quindi da ultimo davanti al Presidente all’udienza del 4 novembre 2003, all’esito della quale venivano dati gli opportuni provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole con ordinanza del 4 MARZO 2004. L’ordinanza di fissazione dell’udienza davanti al Giudice istruttore veniva poi comunicata al pubblico ministero. Rigettata la deduzione di prova per testi, ed acquisita invece rilevazione dei Servizi Sociali del Comune di Serre concernente la situazione familiare dei coniugi, all’udienza del 21 gennaio 2008 le parti precisavano le conclusioni e la causa passava in decisione. Con comparsa del 21 novembre 2007 era peraltro intervenuta in causa E.F., madre di M.A.M., la quale chiedeva che venissero disciplinati con la propria nipote M.M., aderendo alle ragioni di M.A.M..
In difetto assoluto di mutamenti nelle circostanze, come di risultanze di acquisizioni processuali che inducano ad una diversa valutazione dei medesimi elementi di fatto già noti al Presidente (risultando inammissibili perché tardive rispetto alla maturate preclusioni ex art. 183 e 184 c.p.c. le allegazioni di fatti nuovi compiute in comparsa conclusionale dall’attrice, essendo invece tali circostanze sempre deducibili ai fini delle modificabilità ex art. 710 c.p.c.), pare inevitabile confermare anche in sede di decisione della causa i provvedimenti presidenziali adottati ex art. 708 c.p.c. sia quanto all’affidamento della figlia minore M.M. ed a tempi e modalità della presenza della stessa presso ciascun genitore, che quanto all’assegnazione della casa coniugale ed all’assegno di mantenimento in favore della minore stessa.
Va peraltro ritenuto allo stato conforme all’interesse della minore la permanenza dell’affidamento monogenitoriale alla madre, disposto con l’ordinanza presidenziale del 4 MARZO 2004, stante anche il consolidarsi dell’assetto determinato dai provvedimenti provvisori, sicché pare da escludersi l’utilizzabilità dell’affidamento condiviso, ex art. 155, comma 2, c.c., come novellato dall’art. 1, comma 1, l. 8 febbraio 2006, n. 54. Né però pare opportuno eliminare ogni tempo di permanenza della minore col padre, nei termini fissati nei provvedimenti provvisori presidenziali, e con la garanzia della presenza di assistenti sociali, visto il pregiudizio che ne risentirebbe altrimenti la relazione educativa della bambina in rapporto alla figura paterna. Depongono in questo stesso anche le risultanze della relazione dei Servizi Sociali del Comune di Serre, che attestano una persistente rabbiosa acredine del M.A.M. nei confronti della P.R.G., una rapporto tuttora difficile tra la figlia ed i padre e il perdurante stato di tossicodipendenza di M.A.M., che ne impone altresì periodi di ricovero in comunità per procedere alla disintossicazione; ma non va sottaciuta l’affettuosità del rapporto tra padre e figlia che evidenzia l’assistente sociale, e la necessità di una migliore integrazione della bambina con il padre medesimo.
Per il resto, la P.R.G., dopo aver formulato in ricorso domanda di addebito della separazione al M.A.M., deducendo la commissione da parte di questo di atti di maltrattamento e di ingiuria, ha al riguardo prodotto sentenza di questo Tribunale del 14 novembre 2007, con la quale M.A.M. è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui agli artt. 572 e 609 bis cod. pen. commessi a far data dal 29 ottobre 2001 in poi in danno della moglie. Com’è noto, peraltro, in tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi (nella specie, allegandosi dalla convenuta l’inosservanza degli obblighi di assistenza familiare da parte del marito, che si rendeva autore di maltrattamenti e di violenze in danno della moglie), ma impone l’accertamento circa l’efficacia causale di tale violazione nella determinazione della crisi coniugale. Alla luce delle emergenze della sentenza penale, può dirsi raggiunta la prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio tenuto dal M.A.M., che percuoteva la moglie abitualmente e la costringeva a subire violenze sessuali, sia stato la causa del fallimento della convivenza, sicché deve essere pronunciata la separazione con addebito al convenuto. Un reiterato atteggiamento di minaccia e la mancanza di ogni pur minimo rispetto per la dignità del coniuge, evidenziano invero il venir meno ad ogni dovere di collaborazione tra i coniugi e l’assenza di sensibilità per l’assistenza morale e materiale, sino a configurare una volontà di umiliazione del coniuge stesso tale da giustificare l’accoglimento della domanda di addebito. D’altro canto, sulla base di quanto dedotto dall’attrice e riscontrato nel giudizio penale, le condotte violente e di persecuzione morale perpetrate dal M.A.M. non risultano specifiche ed isolate, ma collocate in un unico contesto, e quindi riferibili all’atteggiamento complessivamente tenuto dal marito nell’arco dell’intera vita matrimoniale.
Deve da ultimo considerarsi l’intervento compito in limine litis da E.F., nonna paterna della minore Martina, intervento volto a regolamentare il suo diritto di visita nei confronti della nipote.
Ora, in tema di provvedimenti connessi all’affidamento dei figli in sede di separazione personale dei coniugi, la mancanza di un’espressa previsione di legge non è sufficiente a precludere al giudice la possibilità di riconoscere e regolamentare, nel precipuo interesse del minore, le facoltà di incontro e frequentazione dei nonni con il minore stesso, né a conferire a tale possibilità carattere solo “residuale”, presupponente cioè la ricorrenza di gravissimi motivi. Anche la collocazione del minore presso i nonni, nonostante la recenti modifiche legislative, può comunque ammettersi come provvedimento atipico nell’interesse dei minori in base alla clausola di riserva contenuta nell’ultima parte del comma 2 del riformato art. 155 c.c.. (cfr. Cassazione civile, sez. I, 25 settembre 1998, n. 9606; Tribunale Salerno, sez. I, 20 giugno 2006, in Juris data).
Ciò non di meno, resta da verificare se sia proprio ammissibile l’intervento di un terzo in un giudizio di separazione tra coniugi, nella specie per chiedere che siano determinate condizioni tali da garantire la continuazione del loro rapporto con i minori.
Ora, com’è noto, oggetto del giudizio di separazione è l’accertamento della sussistenza dei presupposti della autorizzazione a cessare la convivenza coniugale e la determinazione degli effetti che da tale cessazione derivano nei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi e nei rapporti dei coniugi stessi con i figli minori (o maggiorenni e, senza loro colpa, non autosufficienti). Necessaria conseguenza della indicata delimitazione dell’oggetto del giudizio è perciò l’attribuzione della legittimazione ad agire esclusivamente ai coniugi (art. 150 c.c.).
Dall’individuazione dell’oggetto del giudizio e dalla regola della legittimazione esclusiva ad agire dei coniugi, deriva che non esistono diritti relativi all’oggetto o dipendenti dal titolo dedotto nel processo di separazione né interesse a sostenere le ragioni di una delle parti che possa legittimare un intervento dei terzi.
D’altra parte, l’interventrice E.F. assume che il suo intervento sia diretto a ottenere che le condizioni per l’esercizio della potestà da parte dei coniugi siano tali da assicurare la continuità del proprio rapporto con la minore. Non può certo negarsi che secondo le scienze psicologiche il contatto dei minori con i nonni debba ritenersi benefico per i nipotini, permettendo loro, nel rapporto con gli adulti, un momento distensivo e rassicurante caratterizzato da prevalente indulgenza e tenerezza. Tuttavia, a differenza di quanto avviene in altri paesi che hanno espressamente previsto il “diritto di visita” dei nonni, nel nostro ordinamento non è tutelata in maniera immediata e diretta l’aspirazione dei nonni ad avere rapporti con i nipotini. Il nostro ordinamento offre una tutela soltanto indiretta all’interesse dei parenti ad avere rapporti con i minori, mediante il riconoscimento della legittimazione (art. 336 c.c.) a sollecitare il controllo giudiziario sull’esercizio della potestà dei genitori, i quali non possono senza motivo plausibile vietare i rapporti dei figli con i parenti più stretti (Cassazione civile, sez. I, 17 gennaio 1996, n. 364; Cass. Cass. N. 3904/1957; Cass. N. 1115/1981). Del resto, la stessa tutela degli interessi dei figli minori nel processo di divorzio e di separazione, e l’obbligo del loro ascolto ex art. 155 sexies c.c., non impongono il riconoscimento della loro qualità di parte processuale; al più, si riconosce il diritto di intervenire nel giudizio di separazione al figlio maggiorenne che voglia veder soddisfatto il proprio diritto al versamento diretto dell’assegno di mantenimento ex art. 155 quinquies c.c.. Perciò, non può essere riconosciuta la qualità di parte nel giudizio di separazione ai parenti, ai quali la legge espressamente riconosce uno specifico potere processuale, da esercitare in sede diversa, per perseguire la soddisfazione delle proprie aspirazioni, in ipotesi, coincidenti con l’interesse oggettivo del minore. In conseguenza, va dichiarata l’inammissibilità dell’intervento di E.F..
Le spese processuali vanno regolate secondo la regola di soccombenza, e quindi poste a carico solidale del convenuto e dell’interventrice.
P.Q.M.
Il Tribunale di Salerno, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando in ordine alla causa in epigrafe specificata,
pronuncia la separazione personale dei coniugi P.R.G. e M.A.M., in relazione al matrimonio contratto il 7/8/1999 e trascritto nel Registro degli atti di matrimonio del Comune di Serre (Salerno) all’atto num. 5, anno 1999, Parte II, serie A, dichiarando la separazione addebitabile a M.A.M. ;
autorizza i coniugi a vivere separatamente con l’obbligo del mutuo rispetto, liberi di fissare ove credano la loro residenza;
affida la figlia minore M.M. alla madre P.R.G., confermando tempi e modalità della sua presenza presso il padre M.A.M. già stabiliti in sede di provvedimenti temporanei ed urgenti adottati dal Presidente con ordinanza del 4 MARZO 2004;
determina in euro 250,00 l’importo dell’assegno mensile che M.A.M. corrisponderà a far tempo dalla domanda per il mantenimento della minore M.M. a P.R.G. nel suo domicilio a mezzo di vaglia postale entro i primi cinque giorni di ciascun mese, adeguandosi automaticamente l’assegno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria;
assegna a P.R.G. la casa coniugale sita in Serre, alla via Nazionale n. 8;
ordina all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Serre (Salerno) di procedere all’annotazione della presente sentenza di separazione a margine dell’atto di matrimonio;
dichiara inammissibile l’intervento di E.F.;
condanna M.A.M. ed E.F. in solido tra loro a rimborsare a P.R.G. le spese processuali sostenute, che liquida in complessivi euro 3.000,00 per diritti ed onorari, oltre IVA e CAP.
Salerno, 29 aprile ’08
Il Presidente
Il Giudice estensore

Caro Collega, condivido pienamente il tuo pensiero e aggiungo che, al solito, è lasciata troppa discrezionalità su decisioni cruciali. Mi è stato risposto, da Viterbo, che loro non sono autorizzati a scansionare i verbali scritti a mano! Quanto è durato il processo societario che avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema processuale italiano? Un cordiale saluto. LO
Aggiungo che mancano sanzioni civili per i casi di discrezionalità sulle scelte ingiuste prese dai cancellieri. Un cordiale saluto. G D V
Esimio Avvocato,
in una causa di riconoscimento di diritti di risarcimento di danni patrimoniali di 297.800 euro e non per 1.000.000, scaturenti da responsabilità contrattuali ed aquiliane d’una banca on line italiana, sebbene si sia richiesta CT a cura di un “perito con comprovata esperienza in materia di complessi sistemi informatizzati e piattaforme utilizzate dalla banche on line”, l’incarico è stato assunto da un “dottore commercialista” che si è fatto immediatamente autorizzare l’ausilio di un tizio che s’occupa genericamente di “servizi di consulenza informatica” (senza alcun curriculum specifico)…Le lascio immaginare con quali esiti…
Il parere che, in questa sede, intendevo richiederLe dipende dalla valutazione delle seguenti circostanze:
– “l’accorto commercialista” ha pensato bene di far rientrare un’indagine basata su due quesiti molto ben identificati di tipo informatico nell’alveo applicativo della tabella ex art. 2 DM 30.05.2002 ad esso più favorevole;
– non ha applicato in ogni caso la riduzione prevista dal successivo art. 3;
– ha ottenuto un faraonico decreto di liquidazione di 16.500 euro basato su una assurda richiesta di 27.200 euro !!! frutto, tuttavia, d’una palese induzione in errore del G.I., sol che si pensi alla distorta applicazione della tabella ex art. 2 DM 30.05.2002, solo prima facie conforme a quella di legge, tant’è che è pervenuto a compensi lunari, “minimo” di 9.364 /“massimo” di 18.765 euro!!!! calcolati su un valore della causa di 1.297.800 Euro !!!, oltre ai quali ha considerato l’ulteriore compenso di 7.500 (ivati) fattosi fatturare addirittura “ante liquidazione” dall’ausiliario (avrà ritenuto di far rientrare entro il 40 % della propria richiesta il valore di quella dell’ausiliario);
Secondo Lei sono esperibili anche rimedi in sede penale per il CT e il suo degno compare ausiliario?
La ringrazio d’anticipo.