2. I contratti e gli strumenti di intermediazione finanziaria. Il problema generale della natura giuridica e della struttura dell’offerta pubblica di strumenti finanziari di cui agli artt.
94 e 95 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, è affrontato da Sez. 1, n. 03625/2016, Nazzicone, Rv. 638799, per precisare come venga in rilievo un contratto consensuale ad effetti reali che si perfeziona attraverso un procedimento a formazione progressiva di cui la volontà del proponente, manifestata attraverso il prospetto informativo approvato dalla CONSOB ed immodificabile in ragione della sua rilevanza pubblicistica, costituisce il primo atto e l’adesione dell’investitore, espressa in forma adeguata, integra l’accettazione. In tale contesto normativo, il promotore finanziario – che, in ragione della sua collocazione nell’organizzazione dell’impresa dell’intermediario, non ha il potere di rappresentanza di quest’ultimo – non partecipa alla determinazione del contenuto negoziale e, pertanto, non è in grado, di propria iniziativa, di introdurre clausole che determinino una deviazione dalla disciplina del modello invariabile predisposto nel prospetto informativo, sicché, ove prometta rendimenti più vantaggiosi rispetto a quelli indicati nel prospetto pubblicato, il terzo contraente non può invocare i principi dell’apparenza del diritto e, in particolare, la propria condizione di buona fede, per farne discenderne conseguenze a sé favorevoli, vincolando ad essi l’offerente, vertendo egli in una condizione di colpa inescusabile.
Numerose sono poi le sentenze che affrontano la questione della forma che i contratti di intermediazione finanziaria devono possedere. In particolare Sez. 1, n. 08395/2016, Acierno, Rv. 639486, ha statuito che la produzione in giudizio del modulo negoziale relativo al contratto quadro sottoscritto soltanto dall’investitore non soddisfa l’obbligo della forma scritta ad substantiam imposto, a pena di nullità, dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998 e, trattandosi di una nullità di protezione, la stessa può essere eccepita dall’investitore anche limitatamente ad alcuni degli ordini di acquisto a mezzo dei quali è stato data esecuzione al contratto viziato.
Sempre a proposito degli oneri formali di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, Sez. 1, n. 03950/2016, Lamorgese, Rv. 638817, ha evidenziato che la forma scritta, imposta dalla norma a pena di nullità per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, si riferisce solo ai contratti quadro e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è, invece, soggetta a requisiti formali, salvo che lo stesso contratto quadro li preveda anche per quelli. In tal caso, infatti, il principio di cui all’art. 1352 c.c., secondo cui la forma convenuta dalle parti per la futura stipulazione di un contratto si presume pattuita ad substantiam, è estensibile, giusta il richiamo operato dall’art. 1324 c.c., agli atti che seguono a quella stipulazione, come nell’ipotesi degli ordini suddetti.
Sulla questione della rilevabilità d’ufficio della nullità per mancata osservanza della forma scritta, Sez. 1, n. 05249/2016, Di Marzio, Rv. 639021, ha chiarito che, ove sia stata dedotta dall’investitore la nullità dei soli ordini di investimento, deve escludersi che il giudice, anche in sede di appello, possa rilevare d’ufficio la nullità del contratto quadro per difetto del requisito della forma scritta. Invero, da un lato, il rilievo officioso della nullità riguarda solo il contratto posto a fondamento della domanda e, quindi, i singoli contratti di investimento, dotati di una propria autonoma individualità rispetto al contratto quadro, sebbene con esso collegati; dall’altro, il principio del rilievo officioso della nullità va coordinato, nel giudizio di gravame, con quello del divieto di domande nuove, cosicché l’istanza, ivi formulata per la prima volta, di declaratoria della nullità non può essere esaminata, potendo solo convertirsi nella corrispondente eccezione: con la conseguenza che, nella specie, il giudice di appello non può dichiarare d’ufficio la nullità del contratto quadro, traducendosi tale pronuncia nell’inammissibile accoglimento di una domanda nuova.
Sempre in tema di oneri formali, secondo Sez. 1, n. 00612/2016, Scaldaferri, Rv. 638276, l’art. 60 del regolamento CONSOB 1 luglio 1998, n. 11522, che impone alla banca intermediaria di registrare su nastro magnetico, o altro supporto equivalente, gli ordini inerenti alle negoziazioni in valori mobiliari impartiti telefonicamente dal cliente, costituisce uno strumento atto a garantire agli intermediari, mediante l’oggettivo ed immediato riscontro della volontà manifestata dal cliente, l’esonero da ogni responsabilità quanto all’operazione da compiere, ma non impone, in assenza di specifica previsione, un requisito di forma, sia pure ad probationem, degli ordini suddetti, restando inapplicabile la preclusione di cui all’art. 2725 c.c.
Particolarmente costante ed intenso appare, poi, il confronto con la problematica delle asimmetrie informative. Richiama una distinzione di carattere generale Sez. 1, n. 08733/2016, Nazzicone, Rv. 639507, secondo cui la pubblicazione del “prospetto informativo” è prevista nelle ipotesi di sollecitazione all’investimento, ai sensi dell’art. 94, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 58 del 1998 (nel testo ratione temporis applicabile), caratterizzate per essere l’offerta comunque rivolta, secondo lo schema dell’art. 1336 c.c., ad un numero indeterminato ed indistinto di investitori in modo uniforme e standardizzato, cioè a condizioni di tempo e prezzo predeterminati. Quando, invece, la diffusione di strumenti finanziari presso il pubblico avvenga mediante la prestazione di “servizi di investimento” (art. 1, comma 5, d.lgs. n. 58 del 1998), cioè attività di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini, a condizioni diverse a seconda dell’acquirente e del momento in cui l’operazione è eseguita, la tutela del cliente è affidata all’adempimento, da parte dell’intermediario, di obblighi informativi specifici e personalizzati, ai sensi degli artt. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e 26 ss. del reg. CONSOB n. 11522 del 1998, anche nel caso in cui la negoziazione individuale avvenga nel periodo del cd. grey market, cioè prima che i titoli siano emessi ufficialmente.
Più in particolare, riguardo alla seconda ipotesi, Sez. 1, n. 17292/2016, Genovese, Rv. 641166, ha precisato che la rivendita di strumenti finanziari (nella specie, bond Cirio) da parte di operatori qualificati, presso i quali erano stati precedentemente collocati, nei confronti della propria clientela retail nel cd. mercato grigio (cioè, prima che i titoli siano emessi ufficialmente) comporta il radicarsi di obblighi informativi specifici da parte dei predetti operatori e costituisce una vendita lecita e legittima di cosa futura, consentita dall’art. 100 bis del d.lgs. n. 58 del 1998, sicché deve escludersi la nullità del negozio per non essere stato il collocamento dei titoli eseguito direttamente presso il pubblico dei risparmiatori.
Una puntuale enunciazione dei particolari obblighi informativi posti a carico dell’intermediario finanziario è presente in Sez. 1, n. 01376/2016, Valitutti, Rv. 638414, che ha affermato che la pluralità degli obblighi (di diligenza, di correttezza e trasparenza, di informazione, di evidenziazione dell’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere) previsti dagli artt. 21, comma 1, lett. a) e b), del d.lgs. n. 58 del 1998, 28, comma 2, e 29 del regolamento CONSOB n. 11522 del 1998 (applicabile ratione temporis) e facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie, convergono verso un fine unitario, consistente nel segnalare all’investitore, in relazione alla sua accertata propensione al rischio, la non adeguatezza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere (cd. suitability rule). Tale segnalazione deve contenere specifiche indicazioni concernenti: 1) la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto; 2) la precisa individuazione del soggetto emittente, non essendo sufficiente la mera indicazione che si tratta di un “Paese emergente”; 3) il rating nel periodo di esecuzione dell’operazione ed il connesso rapporto rendimento/rischio; 4) eventuali carenze di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo (situazioni cd. di grey market); 5) l’avvertimento circa il pericolo di un imminente default dell’emittente.
Significative poi sono le pronunce che si occupano dello specifico obbligo informativo concernente il grado di rischio connesso all’acquisto dello strumento finanziario. Riguardo a tale aspetto, Sez. 1, n. 17290/2016, Di Virgilio, Rv. 641163, ha statuito che nei contratti aventi ad oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari, gli obblighi di comportamento normativamente posti a carico dell’intermediario (art. 36 e ss. del reg. CONSOB n. 11522 del 1998) prevedono, tra l’altro – quale prescrizione vincolante, evincibile dall’Allegato 3, sub C), del menzionato regolamento, dettata al fine d’indicare le modalità di esecuzione dell’obbligo di fornire all’investitore un parametro oggettivo coerente del grado di rischio connesso alle singole gestioni – la preventiva indicazione del grado di rischio di ciascuna linea di gestione patrimoniale, sicché il solo fatto che l’intermediario professionale abbia comunicato al cliente il parametro di riferimento benchmark, che non costituisce un indicatore diretto del grado di rischio, ma fornisce unicamente la possibilità di confrontare i risultati del proprio investimento rispetto all’andamento del mercato, non costituisce valido adempimento del suo obbligo informativo circa le operazioni di investimento rispetto al profilo dell’investitore ed alla sua propensione al rischio.
In linea con tale pronuncia, Sez. 1, n. 24545/2016, Di Marzio, in corso di massimazione, ha evidenziato che il cd. benchmark non può rappresentare l’unico indicatore della correttezza della gestione dell’intermediario, essendo un elemento concorrente, ma non esclusivo a definire il grado di rischio.
La rilevanza del comportamento del cliente a fronte di asimmetrie informative imputabili all’intermediario è il tema preso in esame da Sez. 1, n. 08394/2016, Bernabai, Rv. 639561, per sostenere, in linea generale, che nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi, ed il cliente non rientri in alcuna delle categorie di investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non è configurabile alcun concorso di colpa di quest’ultimo, nella produzione del danno, per non essersi informato aliunde della rischiosità dell’acquisto, atteso che lo speciale rapporto di intermediazione implica necessariamente un grado di affidamento nella professionalità dell’intermediario – e, dunque, nell’adeguatezza delle informazioni da lui fornite – che sarebbe contraddittorio bilanciare con l’onere dello stesso cliente di assumere direttamente informazioni da altra fonte.
Diverso è, però, il caso in cui alla violazione, da parte del promotore finanziario, degli obblighi di comportamento che la legge pone a suo carico, corrisponda, da parte del cliente, un contegno significativamente anomalo ovvero quest’ultimo, sebbene a conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento, ometta di adottare comportamenti osservanti delle regole dell’ordinaria diligenza o avalli condotte del promotore devianti rispetto alle ordinarie regole del rapporto professionale con il cliente ed alle modalità di affidamento dei capitali da investire, così concorrendo al verificarsi dell’evento dannoso per inosservanza dei più elementari canoni di prudenza ed oneri di cooperazione nel compimento dell’attività di investimento. In tal caso, secondo Sez. 1, n. 09892/2016, Valitutti, Rv. 639656, non è esclusa la configurabilità di un concorso di colpa dell’investitore.
Diverso ancora è il caso in cui l’investitore, nel contratto quadro, si sia rifiutato di fornire informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio: in tale ipotesi, secondo Sez. 1, n. 05250/2016, Di Marzio, Rv. 638899, l’intermediario finanziario, convenuto nel giudizio di risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi, non è esonerato dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione di investimento, dovendo comunque compiere quella valutazione, in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui egli sia in possesso (come, ad esempio, l’età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la situazione di mercato).
Il problema del concorso di colpa è affrontato anche da Sez. 1, n. 04037/2016, Cristiano, Rv. 638800, precisandosi che l’intermediario finanziario non può invocare, quale causa di esclusione della responsabilità per i danni arrecati a terzi ex art. 23 del d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (applicabile ratione temporis) nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari, la semplice allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore le somme di denaro di cui quest’ultimo si è illecitamente appropriato con modalità difformi da quelle con cui lo stesso sarebbe legittimato a riceverle ai sensi dei vigenti regolamenti CONSOB (nella specie, versate con assegno bancario recante, in
bianco, il nome del prenditore invece che con assegni non trasferibili intestati al soggetto abilitato per conto del quale il promotore operava); né un tal fatto può essere addotto dall’intermediario come concausa del danno subito dall’investitore al fine di ridurre l’ammontare del risarcimento dovuto, atteso che le disposizioni regolamentari emanate dalla CONSOB, anche se inserite nel documento contrattuale sottoscritto dal cliente, sono dirette unicamente a porre a carico del promotore finanziario un obbligo di comportamento a tutela dell’interesse del risparmiatore, sicché non possono tradursi in un onere di diligenza a carico di quest’ultimo, tale da risolversi in un addebito di colpa nei confronti del danneggiato dall’altrui atto illecito, salvo che la condotta dell’investitore presenti connotati, se non di collusione, quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore (diventando, così, rilevante ai fini dell’art. 1227 c.c.).
Passando, quindi, in rassegna le sentenze che si sono occupate del problema del riparto dell’onere probatorio nelle azioni di responsabilità per danni subiti dall’investitore, aventi ad oggetto l’accertamento della corretta esecuzione, da parte dell’intermediario, delle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, Sez. 1, n. 00810/2016, Nazzicone, Rv. 638346, ha ritenuto necessario per l’investitore allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni, dovendo per converso l’intermediario dimostrare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito «con la specifica diligenza richiesta».
Con particolare riguardo al contenuto della prova liberatoria, poi, Sez. 1, n. 05089/2016, Nappi, Rv. 639056, ha precisato che il giudice di merito, per assolvere l’intermediario finanziario dalla responsabilità conseguente alla violazione degli obblighi informativi previsti dalla legge, non può limitarsi ad affermare che manca la prova della sua negligenza ovvero dell’inadempimento, ma deve accertare se sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico e, in mancanza di tale prova, che è a carico dell’intermediario fornire (art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998), questi sarà tenuto al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore. Ne consegue che, in caso di operazione non adeguata, l’intermediario può darvi corso solo a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.
La sottoscrizione, da parte del cliente, della clausola in calce al modulo d’ordine, contenente la segnalazione d’inadeguatezza dell’operazione sulla quale egli è stato avvisato, è tuttavia idonea a far presumere assolto l’obbligo previsto in capo all’intermediario dall’art. 29, comma 3, del reg. CONSOB n. 11522 del 1998; è quanto sostenuto da Sez. 1, n. 11578/2016, Nazzicone, Rv. 639884, con la precisazione che, a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi l’omissione di specifiche informazioni, grava sulla banca l’onere di provare, con qualsiasi mezzo, di averle specificamente rese.
Le conseguenze del mancato assolvimento degli obblighi informativi sono evidenziate da Sez. 1, n. 16820/2016, Mercolino, Rv. 640905, dovendosi, secondo tale pronuncia, distinguere a seconda che le inosservanze si siano verificate in epoca antecedente o successiva rispetto alle operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del “contratto quadro”, verificandosi, rispettivamente, la risoluzione dell’intero rapporto ovvero soltanto di quelli derivanti dai singoli ordini impartiti alla banca.
Proprio il rapporto tra il contratto quadro e le singole operazioni di investimento è il profilo specificamente preso in considerazione da Sez. 1, n. 08394/2016, Bernabai, Rv. 639562, che ha ritenuto che queste ultime, in quanto concretanti autonomi contratti, esecutivi del contratto quadro originariamente stipulato dall’investitore con l’intermediario, possono essere oggetto di risoluzione, ricorrendone i presupposti, indipendentemente dalla risoluzione di quest’ultimo, con conseguente diritto alla restituzione dell’importo pagato e all’eventuale risarcimento dei danni subiti, senza che la risoluzione del singolo contratto esecutivo integri una risoluzione parziale del contratto quadro.
I contratti finanziari nella giurisprudenza della Cassazione del 2016
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