I contratti bancari nella giurisprudenza della Cassazione del 2016

1. I contratti bancari. La valenza conformativa delle regole della buona fede e della diligenza si manifesta in modo significativo in tema di contratti bancari. Quanto alla rilevanza del principio di buona fede e correttezza, Sez. 1, n. 17291/2016, Genovese, Rv. 640946, ha evidenziato che il recesso di una banca da un rapporto di apertura di credito in cui non sia stato superato il limite dell’affidamento concesso, benché pattiziamente previsto anche in difetto di giusta causa, deve considerarsi illegittimo, in ragione di un’interpretazione del contratto secondo buona fede, ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, contrastando, cioè, con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale di quelli in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e non sia, dunque, pronto alla restituzione, in qualsiasi momento, delle somme utilizzate. Il debitore, il quale agisce per far dichiarare l’arbitrarietà del recesso, ha l’onere di allegare l’irragionevolezza delle giustificazioni date dalla banca, dimostrando la sufficienza della propria garanzia patrimoniale così come risultante a seguito degli atti di disposizione compiuti.
Il richiamo al rispetto del criterio della diligenza è invece presente in Sez. 1, n. 00806/2016, Acierno, Rv. 638492, secondo cui, ai fini della valutazione della responsabilità contrattuale della banca per il caso di utilizzazione illecita, da parte di terzi, di carta bancomat trattenuta dallo sportello automatico, non può essere omessa, a fronte di un’esplicita richiesta della parte, la verifica dell’adozione da parte dell’istituto bancario delle misure idonee a garantire la sicurezza del servizio da eventuali manomissioni, nonostante l’intempestività della denuncia dell’avvenuta sottrazione da parte del cliente e le contrarie previsioni regolamentari; infatti, la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve valutarsi tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento, assumendo come parametro la figura dell’accorto banchiere. (Così statuendo, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata,

ritenendola priva di un’effettiva verifica del comportamento della banca, da effettuarsi ex art. 1176, comma 2, c.c., in ordine al riscontrato difetto di manutenzione e custodia del servizio bancomat, nonché alla condotta del responsabile presente in sede a seguito della segnalazione di spossessamento della carta da parte del cliente).
Numerose sono poi le sentenze emesse in tema di conto corrente bancario. Sez. 1, n. 12953/2016, Acierno, Rv. 640117, si occupa, in particolare, della disposizione di cui all’art. 1853 c.c. (a mente della quale, se tra la banca ed il correntista esistono più rapporti o più conti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente salvo patto contrario), che, dettata allo di scopo di garantire la banca contro ogni scoperto non specificamente pattuito che risulti a debito del cliente quale effetto di un qualsiasi rapporto o conto corrente fra le due parti, prevede che la compensazione tra saldi attivi e passivi, anche a favore del correntista, sia attuata mediante annotazioni in conto, e, in particolare (alla luce del principio dell’unità dei conti), attraverso la immissione del saldo di un conto, come posta passiva, in un altro conto ancora aperto (con le modalità proprie di tale tipo di operazione), salva manifestazione di volontà di segno contrario da parte del cliente.
Il meccanismo compensativo di cui all’art. 1853 c.c. è preso in considerazione anche da Sez. 1, n. 00512/2016, Nappi, Rv. 638260, per precisare che la compensazione tra i saldi attivi e passivi di più rapporti di conto corrente tra banca e cliente presuppone non che si tratti di conti chiusi, ma solo che siano esigibili i contrapposti crediti. Ne deriva che, in caso di giroconto da un rapporto con saldo attivo e, come tale, immediatamente disponibile per il cliente (salvo patto contrario ex art. 1852 c.c.), ad uno ancora aperto ma con saldo passivo già esigibile per la banca, l’estinzione di tale debito non consegue ad un pagamento revocabile ai sensi dell’art. 67 l.fall. ma alla compensazione, ammessa dall’art. 56 l.fall., tra il credito della banca verso il cliente poi fallito ed il debito della stessa banca nei confronti di quest’ultimo.
La questione dell’efficacia probatoria dell’estratto di saldo conto costituisce il nucleo argomentativo centrale in Sez. 3, n. 08944/2016, Pellecchia, Rv. 639911, secondo cui l’estratto può essere utilizzato, fino a prova contraria, anche nei confronti del fideiussore del correntista non soltanto per la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche nel giudizio di opposizione allo stesso e in ogni altro procedimento di cognizione, perché, ove il debitore principale sia decaduto a norma dell’art. 1832 c.c. dal diritto di

impugnare gli estratti di saldo conto, il fideiussore chiamato in giudizio dalla banca medesima per il pagamento della somma dovuta non può sollevare contestazioni in ordine alla definitività di quegli estratti.
Il meccanismo di approvazione disciplinato dall’art. 1832 c.c. è richiamato anche da Sez. 1, n. 00817/2016, Nazzicone, Rv. 638496, con la precisazione che sono qualificabili come “estratti- conto di chiusura”, ai fini di cui all’art. 1832, comma 2, c.c., le comunicazioni al cliente sulla situazione finale del conto, inviate dalla banca non solo allo scioglimento del rapporto, ma anche alle scadenze periodiche contrattualmente previste, quando non si limitino a contenere l’indicazione del saldo, con il calcolo delle spese e degli interessi, ma portino anche un preciso riferimento alle partite di dare ed avere che hanno condotto a quel risultato. Tuttavia, a tali fini, la riproduzione di tutte le partite contabili non è necessaria quando l’estratto conto finale faccia seguito e richiami espressamente precedenti estratti parziali inviati al cliente con l’indicazione di tutte le operazioni afferenti il relativo periodo – in sé idonea a soddisfare l’esigenza di porre il cliente in condizione di riscontrare ogni eventuale vizio incidente sul saldo finale – poiché in tal caso è sufficiente, affinché decorra il termine semestrale di decadenza di cui all’art. 1832 c.c., che l’estratto conto relativo alla liquidazione di chiusura offra al correntista la comunicazione del saldo definitivo riflettente il periodo considerato, comprensivo delle spese e degli interessi.
Deve poi segnalarsi, sempre in tema di documenti bancari, Sez. 1, n. 07972/2016, Didone, Rv. 639462, che ha escluso che la banca possa sottrarsi all’onere di provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione, in quanto tale obbligo, volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all’attività imprenditoriale, non può sollevarla dall’onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore.
Diverse sono poi le sentenze che hanno avuto modo di pronunciarsi sugli snodi problematici più rilevanti in tema di interessi sui crediti bancari. Sez. 1, n. 17150/2016, Genovese, Rv. 641046, ricorda che ove il cliente lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000, il giudice, dichiarata la nullità della predetta clausola, per

contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c., deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione.
Sempre in tema di capitalizzazione trimestrale, Sez. 1, n. 10713/2016, Lamorgese, Rv. 639791, ha ribadito che l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola relativa agli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti sono stati eseguiti in pendenza del rapporto, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.
Di sicuro rilievo è la pronuncia Sez. 1, n. 12965/2016, Ferro, Rv. 640110, che ha chiarito che la commissione di massimo scoperto (CMS), applicata fino all’entrata in vigore dell’art. 2 bis del
d.l. 29 novembre 2008, n. 185, introdotto con la legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2, è in thesi legittima, almeno fino al termine del periodo transitorio, fissato al 31 dicembre 2009, posto che i decreti ministeriali che hanno rilevato il tasso effettivo globale medio (TEGM) – dal 1997 al dicembre del 2009 – sulla base delle istruzioni diramate dalla Banca d’Italia, non ne hanno tenuto conto al fine di determinare il tasso soglia usurario (essendo ciò avvenuto solo dall’1 gennaio 2010); ne consegue che l’art. 2 bis del d.l. n. 185, cit. non è norma di interpretazione autentica dell’art. 644, comma 3, c.p., ma disposizione con portata innovativa dell’ordinamento, intervenuta a modificare – per il futuro – la complessa disciplina, anche regolamentare (richiamata dall’art. 644, comma 4, c.p.), tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari. Ne deriva, inoltre, che, per i rapporti bancari esauritisi prima dell’1 gennaio 2010, allo scopo di valutare il superamento del tasso soglia nel periodo rilevante, non deve tenersi conto delle CMS applicate dalla banca, ma occorre procedere ad un apprezzamento nel medesimo contesto di elementi omogenei della rimunerazione bancaria, al fine di pervenire alla ricostruzione del tasso soglia usurario, come sopra specificato.

 

Estratto dalla “Rassegna della giurisprudenza di legittimità”, dell’Ufficio del Massimario, anno 2016, pag. 409 e ss.


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