Giudizio d’appello: cos’è la soccombenza teorica?

Mirco Minardi

Appello principale, appello incidentale, appello incidentale tardivo, appello incidentale adesivo, appello incidentale condizionato, soccombenza teorica, soccombenza pratica. Facile dire: appello! Districarsi in questa giungla è tutt’altro che semplice e richiede una preparazione approfondita.

Per poter impugnare occorre avere interesse. L’interesse ad impugnare sussiste quanto la domanda viene in tutto o in parte rigettata. In tal caso abbiamo la soccombenza. Tuttavia la soccombenza può essere pratica o teorica.

La soccombenza è pratica quando effettivamente la parte si è vista riconoscere in parte o per nulla il bene della vita.

La soccombenza è teorica quando la parte ha ottenuto tutto il bene della vita ma si è vista respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero taluni dei suoi sistemi difensivi, od anche abbia visto accolte le sue conclusioni per ragioni diverse da quelle prospettate.

I rimedi sono diversi. In caso di soccombenza pratica la parte ha l’onere di proporre appello principale o incidentale. In caso di soccombenza teorica la parte può limitarsi a richiamare le proprie difese ed eccezioni ai sensi dell’art. 346.

Nel caso che vi propongo Tizio aveva convenuto in giudizio l’assicurazione Alfa al fine di farsi indennizzare della somma di 180,000,000 di lire per un furto subito. In primo grado ottiene un risarcimento di circa 5 milioni, nonostante l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla convenuta che viene rigettata. In secondo grado la somma arriva a 65,000,000.

In Cassazione l’assicurazione convenuta si duole del fatto che la Corte d’appello aveva dichiarato intempestivo l’appello incidentale relativo alla pronuncia sulla giurisdizione, affermando che essa, essendo sostanzialmente vincitrice, visto che l’attore in primo grado aveva ottenuto solo 5 milioni, non era tenuta a proporre appello incidentale.

Ma la S.C. respinge l’eccezione posto che l’esiguità della somma non escludeva esservi una soccombenza pratica e non teorica della Assicurazione. Pertanto essa avrebbe dovuto proporre appello incidentale e non limitarsi a richiamare l’eccezione di giurisdizione. Diverso sarebbe stato qualora la domanda dell’attore fosse stata rigettata in toto nel merito; in questo Caso l’Assicurazione, totalmente vittoriosa, avrebbe potuto limitarsi a richiamare l’eccezione.

Cassazione civile , sez. un., 24 maggio 2007, n. 12067

Fatto

Con citazione dell’11.4.1997 davanti al tribunale di Mantova B. E. esponeva che aveva acquistato da una società tedesca una vettura Mercedes 600, assicurata contro ogni rischio con la compagnia Victoria Versicherung AG, società di diritto tedesco; che tale auto gli era stata rubata la notte del 5.2.1995 in Desenzano, come da denunzia ai Carabinieri. L’attore chiedeva che la convenuta fosse condannata al pagamento dell’indennizzo nella misura di L. 180 milioni. La convenuta eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice italiano; nel merito invocava l’applicazione del diritto tedesco al rapporto e contestava il legittimo acquisto della vettura da parte del B.; negava che esistesse la prova del furto ed assumeva che il valore della vettura era inferiore a quello richiesto.
Il Tribunale di Mantova, dopo aver ritenuto la giurisdizione del giudice italiano e l’applicabilità delle norme italiane, accoglieva la domanda nella misura di L. 5.750.000, limitatamente ai danni riportati dall’auto, che assumeva essere stata restituita dopo il furto.
Proponevano appello l’attore ed appello incidentale la convenuta assicuratrice.
La corte di appello di Brescia, con sentenza depositata il 12.11.2004, dichiarava inammissibile l’appello incidentale, perchè non tempestivo, e, quindi, riteneva coperte dal giudicato sia la questione relativa alla giurisdizione sia quella relativa alla legge applicabile. La Corte accoglieva parzialmente l’appello principale e condannava la convenuta al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 65.264,05, ritenendo che l’auto in questione aveva subito due furti, un primo in data 5.12.1994, a seguito del quale era stata rinvenuta dai carabinieri e restituita ed al quale episodio faceva riferimento il primo giudice, ed un secondo definitivo furto in data 5.2.1995, oggetto del giudizio.
Avverso questa sentenza proponeva ricorso per Cassazione la convenuta assicuratrice. Resiste con controricorso l’attore. Entrambe le parti hanno presentato memorie.

Diritto

1. Va, per priorità logico-giuridica, esaminato anzitutto il secondo motivo di ricorso, con cui la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 343 e 346 c.p.c., per avere la sentenza impugnata dichiarato inammissibile l’appello incidentale avverso la statuizione di primo grado, con cui veniva affermata la giurisdizione del giudice italiano. La ricorrente sostiene che ad impedire il giudicato sulla statuizione di rigetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione, espressamente resa dal giudice di primo grado, era, comunque, sufficiente la riproposizione dell’eccezione con la comparsa di risposta, anche se non depositata venti giorni prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ..
2.1. Il motivo è infondato.
La ricorrente, infatti, non si da carico del fatto che, a seguito della modifica apportata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 51 l’art. 343 c.p.c., comma 1, statuisce che “L’appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, all’atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell’art. 166”, mentre solo la precedente formulazione prevedeva che l’appello incidentale si proponeva nella prima comparsa, o, in mancanza di costituzione in cancelleria, nella prima udienza o in quelle previste dagli artt. 331 e 332 c.p.c..
2.2. In merito alla sostenuta non necessità dell’appello incidentale ed alla sufficienza della riproposizione dell’eccezione ex art. 346 c.p.c., la ricorrente assume che, essendo stata condannata in primo grado solo al pagamento della somma di 5.350.000, a fronte delle richieste L.. 180 milioni, essa è risultata praticamente vittoriosa.
L’assunto non può essere condiviso.
La giurisprudenza citata a questo fine non giova, poichè essa si riferisce al caso della cosiddetta soccombenza teorica nel giudizio di appello (diverse essendo le regole che governano, in parte qua il giudizio di Cassazione: v., Cass. 8 gennaio 2003, n. 30), ossia della parte totalmente vittoriosa nel merito, sfavorevolmente alla quale sia stata risolta una questione preliminare o pregiudiziale.
La richiamata giurisprudenza mette in luce tale ristretto ambito di applicazione del principio di sufficienza della riproposizione, in luogo di impugnazione, là dove fa esplicita menzione della necessità di espressa censura in caso “soccombenza pratica”Cass. n. 6229 del 1997) e limita l’utilizzabilità del rimedio di cui all’art. 346 all’eventualità della parte “del tutto vittoriosa nel merito”, spiegando che solo in mancanza di detta soccombenza difetta l’interesse a proporre appello sia pure incidentale sul capo di sentenza formatosi sulla questione pregiudiziale (v. Cass. S.U. 27.1.1993, n. 1005, riportata nello stesso ricorso).
2.3. In effetti, l’interesse ad impugnare sussiste solo in presenza della soccombenza, intesa come situazione di fatto nella quale la sentenza di primo grado abbia tolto o negato alla parte un bene della vita accordandolo all’avversario, ed abbia quindi concretamente determinato per la stessa una condizione di sfavore, a vantaggio della controparte.
Una situazione di soccombenza in primo grado che sia invece soltanto teorica – ravvisabile quando la parte, pur vittoriosa, abbia però visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero taluni dei suoi sistemi difensivi, od anche abbia visto accolte le sue conclusioni per ragioni diverse da quelle prospettate – non fa sorgere l’interesse ad appellare, e non legittima un’impugnazione, nè principale, nè incidentale, ma impone alla parte, vittoriosa nel merito, soltanto l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre le domande e ad eccezioni respinte o dichiarate assorbite nel giudizio di primo grado, onde superare la (v. presunzione di rinuncia, e quindi la decadenza di cui all’art. 346 c.p.c. (Cass. Sez. Unite, 02/07/2004, n. 12138; Cass. 2^, 06/05/2005, n. 9400).
2.4. Nella specie, come riferito in narrativa e come ricorda la stessa ricorrente, quest’ultima, rispetto alla sentenza di primo grado, versava in una situazione di soccombenza pratica, essendo stato accertato – pur in presenza della resistenza della convenuta, che aveva chiesto il rigetto della domanda nella sua interezza – il diritto dell’attore al risarcimento del danno, sia pure nei limitati termini disposti. Questa soccombenza pratica fondava l’interesse della Assicuratrice convenuta all’appello incidentale, con conseguente necessità dell’estensione del medesimo alla statuizione reiettiva dell’eccezione di difetto di giurisdizione, secondo i criteri suesposti: in difetto di tale impugnazione deve, dunque, ritenersi, sulla relativa statuizione ormai intervenuto il giudicato formale.
3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 24 del reg. CE n. 44/2001, che, secondo la sua interpretazione, legittima il convenuto a riproporre l’eccezione di giurisdizione, senza necessità di impugnazione incidentale, anche se in minima parte soccombente nel merito.
A tal fine chiede che sia preliminarmente sottoposto alla Corte di giustizia, a norma dell’art. 234, ult. e, del Trattato CE il seguente quesito: “Se l’art. 24 del reg. CE 44/2001 vada interpretato nel senso che in caso di rigetto della relativa eccezione in primo grado il convenuto, pur in minima parte soccombente nel merito, anche nel secondo grado non accetta la giurisdizione limitandosi a riproporre tale eccezione con la costituzione in appello senza servirsi di mezzi di impugnazione”.
4.1. Il motivo è infondato.
L’art. 24 del regolamento CE n. 44/2001 statuisce che “Oltre che nei casi in cui la sua competenza risulta da altre disposizioni del presente regolamento, il giudice di uno Stato membro davanti al quale il convenuto è comparso è competente. Tale norma non è applicabile se la comparizione avviene per eccepire l’incompetenza o se sussiste un altro giudice competente ai sensi dell’art. 22”.
Ne consegue che la predetta norma regola solo l’ipotesi della cosiddetta accettazione tacita della competenza (giurisdizionale) in primo grado ed i casi in cui essa è esclusa.
Non incide, invece, sulla diversa fattispecie, in cui, essendo stata eccepita tempestivamente la carenza di giurisdizione, sul punto il giudice si sia pronunziato e si ponga, quindi, un successivo problema del mezzo per riproporre la questione al giudice di appello, al fine di impedire che si formi un giudicato sulla giurisdizione.
Tale questione è all’evidenza estranea al contenuto di cui all’art. 24 del reg. n. 44/2001, tant’è che non ha mai costituito materia di controversie interpretative, sotto il profilo prospettato dalla ricorrente.
Quanto sopra detto trova riscontro nell’interpretazione che la Corte di Giustizia ha dato dell’art. 19 della Convenzione di Bruxelles, pressochè identico nel contenuto all’art. 25 del regolamento n. 44/2001.
L’art. 19 cit. così recita; “il giudice di uno Stato contraente, investito a titolo principale di una controversia per la quale l’articolo 16 prescrive la competenza esclusiva di un organo giurisdizionale di un altro Stato contraente, dichiara d’ufficio la propria incompetenza”.
La Corte di giustizia (15.11.1983, Duijnstee, C N 288/1982), nell’interpretare detta norma, ha statuito che solo se la controversia rientra tra quelle per cui è prevista una competenza esclusiva (art. 16 Conv. ed ora art. 22 reg.), il giudice nazionale deve dichiararsi incompetente d’ufficio, “anche se la norma processuale limita l’indagine del giudice nell’ambito di un ricorso per Cassazione ai mezzi dedotti dalle parti”.
Ciò comporta, a contrariis, che fuori dalle ipotesi delle competenze esclusive (e la fattispecie in questione non rientra tra i casi di competenza esclusiva), sussistono le limitazioni all’indagine del giudice dell’impugnazione in merito alla propria giurisdizione, derivanti dall’applicazione delle norme nazionali.
4.2. Ne consegue che da una parte il motivo di ricorso va rigettato, perchè manifestamente infondato e dall’altra che non si pone un problema di rimessione alla Corte di Giustizia.
Il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di rimettere alla Corte di giustizia delle Comunità europee la questione di interpretazione di una norma comunitaria rilevante ai fini della decisione sollevata da una delle parti, quando la corretta applicazione della stessa norma si impone con evidenza tale da non lasciar spazio a ragionevoli dubbi (Cass. 25/11/2003, n. 17953; Cass. 14/09/1999, n. 9813).
Infatti il detto giudice non deve rimettere la questione interpretativa alla Corte di Giustizia o quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione, o quando ritenga di essere in presenza di un acte claire, che, in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte, ovvero della “evidenza” dell’interpretazione, rende inutile (o non obbligato) il rinvio pregiudiziale (cfr. Corte Giustizia CE 6 ottobre 1982, C – 283/81, Cilfit).
5. Il rigetto del secondo e del terzo motivo di ricorso, risolvendosi nell’accertamento del giudicato interno sulla giurisdizione, rende inammissibile il primo motivo, inteso a riporre esattamente la stessa questione, cui tale giudicato si riferisce.
6. Esaurito in tali sensi lo scrutinio sulle questioni di competenza delle Sezioni unite, la causa va rimessa, ai sensi dell’art. 142 disp. att. c.p.c., al Primo Presidente per l’assegnazione del ricorso, limitatamente all’esame dei motivi ulteriori, ad una sezione semplice, la quale provvederà anche alla disciplina delle spese giudiziali.

P.Q.M

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta i primi tre motivi del ricorso e dispone la rimessione degli atti al Primo Presidente per l’assegnazione della causa ad una sezione semplice.
Così deciso in Roma, il 8 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2007


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


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