CORTE DI APPELLO DI ANCONA
R.G. xxx/2011
COMPARSA CONCLUSIONALE
PER
Prof. A. TIZIO = Avv. Mirco Minardi
CONTRO
AVV. CAIO
UNIPOLSAI SPA
*******
Con atto di citazione ritualmente notificato, il professor A. TIZIO impugnava la sentenza n. 311/2011, resa dal Tribunale Civile di Ancona in data 07 marzo 2011. Con essa il Giudice di primo grado aveva respinto la domanda di risarcimento danni, variamente articolata, proposta dal professor TIZIO contro l’avvocato CAIO, fondata sulla responsabilità professionale di quest’ultimo nell’ambito di un contratto di prestazione professionale (consulenza, assistenza e quant’altro in relazione e a seguito di due querele).
Il primo Giudice aveva altresì respinto la domanda riconvenzionale avversaria, compensando tutte le spese di lite.
Rimaneva assorbita la domanda che, in via subordinata, l’avvocato CAIO aveva proposto nei confronti dell’assicuratore per la responsabilità civile.
Questi i fatti.
Il professor TIZIO aveva proposto due querele nei confronti del sig. M. Leonardo (funzionario del provveditorato agli studi) e del signor B. Ugo (ispettore ministeriale).
I fatti di cui alle querele erano di competenza rispettivamente del Tribunale e del Giudice di Pace. I pubblici ministeri dei due procedimenti penali avevano chiesto l’archiviazione ed avverso tali richieste l’avvocato CAIO, quale difensore della persona offesa, odierno appellante, aveva proposto due distinte opposizioni.
Nonostante le opposizioni, tanto il Giudice per le indagini preliminari quanto il Giudice di Pace, avevano emesso il decreto di archiviazione.
L’avvocato CAIO aveva reso edotto il professor TIZIO che l’unico rimedio esperibile in relazione ad entrambi i provvedimenti di archiviazione era il ricorso per Cassazione.
I ricorsi erano predisposti dal predetto avvocato CAIO, il quale, a seguito del pagamento del prof. TIZIO, emetteva fattura n. 03/2003 con la causale di “assistenza nel procedimento penale davanti alla Corte di Cassazione in Roma redazione e deposito numero 1955/02”.
Sennonché, i ricorsi venivano dichiarati inammissibili dalla Corte di Cassazione in quanto sottoscritti personalmente dalla persona offesa, anziché da un avvocato iscritto all’albo dei patrocinanti in Cassazione. Per l’effetto, la S.C. condannava il ricorrente alle spese e al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende.
Per tale ragione il professor TIZIO aveva convenuto in giudizio l’avvocato CAIO, stante la mancata informazione circa l’esistenza della pronuncia delle Sezioni Unite e quindi del sicuro rigetto dei ricorsi.
In sede di interrogatorio formale, l’avvocato CAIO aveva dichiarato: “non è vero, preciso che la parte è stata ampiamente informata del rischio di inammissibilità, con ausilio di documentazione giurisprudenziale”. La circostanza era confermata dalla collega di studio, avvocato A. V., la quale dichiarava: “ho assistito personalmente a tutti gli incontri che sono avvenuti tra il professore e il collega CAIO… perché abbiamo le scrivanie contigue”, anche se la teste non era in grado di precisare l’epoca esatta ed il numero degli incontri, limitandosi a dichiarare che erano avvenuti nel 2003.
Nell’atto di appello si evidenziava che l’aver prospettato l’esistenza di rischi non era sufficiente ad esimere da responsabilità per culpa l’avvocato CAIO, il quale avrebbe dovuto informare il proprio cliente del fatto che la pronuncia di inammissibilità da parte della Cassazione sarebbe stata pressoché certa. Inoltre si sottolineava che il professor TIZIO non avrebbe mai sottoscritto i ricorsi qualora fosse stato informato del sicuro rigetto. Al contrario, l’avvocato CAIO aveva redatto i ricorsi, li aveva fatti sottoscrivere personalmente alla persona offesa e l’aveva persino assistita nell’attività materiale per il loro deposito, accompagnandola e guidandola nelle Cancellerie competenti.
Ad avviso del Tribunale “l’attività istruttoria svolta ha permesso di accertare che il difetto di informazione lamentato dall’attore… non sussiste” e dunque “… non è ravvisabile in capo all’attore l’inadempimento allegato…”.
DIRITTO
È pacifico in giudizio:
- che l’Avv. CAIO abbia redatto nell’anno 2003 i due ricorsi per Cassazione che il Prof. TIZIO, in qualità di persona offesa, ha sottoscritto personalmente;
- che la Cassazione abbia dichiarato l’inammissibilità dei due ricorsi, per non essere stati sottoscritti da un avvocato cassazionista;
- che per tale ragione l’TIZIO sia stato condannato anche al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.
- che sin dal dicembre del 1998 le S.U. Penali erano intervenute per comporre il contrasto apertosi nella giurisprudenza delle sezioni semplici, affermando che la persona offesa non può sottoscrivere personalmente il ricorso per Cassazione;
- Che dopo il 1998 il principio è rimasto costantemente applicato.
Come poc’anzi visto nella narrativa, ad avviso del Tribunale non vi sarebbe in capo al Professionista alcuna responsabilità, atteso che il Prof. TIZIO era stato informato del rischio di una pronuncia di inammissibilità.
Detta prova sarebbe stata raggiunta tramite la testimonianza dell’Avv. V., la quale fu chiamata a rispondere sul seguente capitolo, articolato nella II memoria di parte convenuta:
…………………
Si noti che il “concreto rischio di una pronuncia di inammissibilità” di cui al capitolo di prova era riferito al “contrasto giurisprudenziale”, contrasto che però nel 2003 non esisteva!!!
Difatti, nella comparsa di costituzione in primo grado (come pure in appello) la difesa del Professionista parlava di un orientamento che prevedeva la possibilità per la persona offesa di sottoscrivere il ricorso (punto V).
Invero, nel caso di specie non si può parlare di rischio, ma di certezza. Difatti, sulla questione, come già detto, erano intervenute nel 1998 le Sezioni Unite, le quali erano state chiamate proprio a comporre il contrasto apertosi a seguito di alcune (poche) pronunce che, discostandosi dall’orientamento tradizionale, avevano affermato la possibilità, per la persona offesa, di sottoscrivere il ricorso per Cassazione.
«La disposizione di cui alla prima parte dell’art. 613 comma 1 c.p.p., secondo la quale, in deroga alla regola generale della necessaria sottoscrizione di un difensore iscritto nell’albo speciale, è consentito alla “parte” di sottoscrivere personalmente il ricorso per cassazione, è applicabile esclusivamente nei confronti dell’imputato, e ciò in quanto alla persona offesa non compete tale qualificazione soggettiva e le altre parti private diverse dall’imputato non possono stare in giudizio, ai sensi dell’art. 100 comma 1 c.p.p., se non “col ministero di un difensore munito di procura speciale”».
Cassazione penale, sez. un., 16/12/1998, n. 24
Tuttavia, da quella pronuncia erano passati oltre quattro anni e in quegli anni nessuna sentenza della S.C. si era più discostata dall’autorevole dictum del Collegio.
Dunque, non poteva essere considerato un semplice “rischio”, bensì di una certezza, tanto più considerando che nel ricorso non erano stati sviluppati argomenti giuridici tali da indurre la S.C. a discostarsi dal principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite.
Peraltro, l’imperizia dell’Avv. CAIO risulta per tabulas. Difatti, il documento n. 6, dallo stesso depositato, contiene una “confessione” dell’errore professionale, allorquando riporta testualmente:
……………….
Dunque, lo stesso Avv. CAIO, parlando di giurisprudenza minoritaria, ammette implicitamente di avere ignorato l’esistenza della pronuncia delle Sezioni Unite che quel contrasto aveva risolto oltre quattro anni prima.
Evidente, dunque, l’errore commesso dal Giudice di primo grado. Non vi può essere alcuna corretta informazione se l’informazione è sbagliata. Sarebbe come dire che il medico che effettua per colpa una diagnosi sbagliata non potrebbe rispondere dell’errore qualora abbia informato il paziente dei rischi derivanti dall’erronea malattia diagnosticata!
Se l’informazione è scorretta non vi può essere alcuna scelta consapevole e responsabile del cliente. Sembra banale doverlo sottolineare.
In altre parole, l’errore non vi sarebbe stato se fosse stato prospettato il fatto che quell’orientamento minoritario di cui parlava l’Avv. CAIO era stato superato dall’intervento del Massimo Consesso. Ma ciò non è accaduto. Quel che è accaduto è che è stata prospettata una possibilità di ammissibilità che, invece, in concreto non c’era.
In secondo luogo, l’affermazione secondo cui il Prof. TIZIO era stato informato dei “rischi”, di per sé non vuole dire niente. Un rischio può essere improbabile, possibile, remoto, concreto, probabile, più che probabile, altissimo.
In materia di investimenti finanziari, ad esempio, sarebbe del tutto inidoneo prospettare al cliente non professionale che “le obbligazioni subordinate sono rischiose”, per la semplice ragione che non viene specificato il tipo di rischio. Così in ambito medico e così in tutte le professioni, per la semplice ragione che la corretta informazione è funzionale all’autodeterminazione razionale e consapevole.
Poiché nel caso di specie erano intervenute le S.U., il Prof. TIZIO, se proprio vogliamo parlare di “rischio” (e non di quasi certezza), era sottoposto ad un “altissimo rischio”.
Ebbene, in giudizio non è stata raggiunta la prova dell’adeguata informativa sul (perlomeno) altissimo rischio.
Si tratta, allora, di capire sui chi gravava detto onere. In realtà, la risposta è semplicissima, posto che l’obbligo informativo grava sul professionista, come da diritto vivente:
«L’obbligo di svolgere l’incarico professionale con diligenza, ex artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c., impone all’avvocato di assolvere ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto ostative al raggiungimento del risultato o comunque produttive del rischio di effetti dannosi».
Cassazione civile, sez. VI, 13/09/2017, n. 21173
«L’obbligo di diligenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 1176, comma 2, e 2236 c.c. impone al legale di informare l’assistito di tutte le questioni in fatto e in diritto ostative al raggiungimento del risultato o, comunque, produttive del rischio di effetti dannosi. La semplice sottoscrizione della procura non è idonea a dimostrare una corretta informazione da parte del legale al proprio assistito delle scelte processuali. E’ onere dell’avvocato dimostrare di aver informato correttamente il proprio assistito sulle possibili conseguenze di una scelta processuale».
Cassazione civile, sez. II, 19/04/2016, n. 7708
Come si vede, l’obbligo informativo impone all’avvocato di “rappresentare tutte le questioni di diritto ostative al raggiungimento del risultato o comunque produttive del rischio di effetti dannosi”. Il semplice fatto di non avere rappresentato l’esistenza di una pronuncia delle Sezioni Unite (risalente ormai a quasi un lustro) chiamata a risolvere il contrasto, rappresenta di per sé violazione del canone di diligenza.
È ragionevole ritenere che qualora questa informazione fosse stata rappresentata correttamente il Prof. TIZIO non avrebbe presentato ricorso senza l’assistenza di un avvocato cassazionista.
Ma non basta.
Supponiamo che nel caso di specie fosse stata fornita la prova dell’adeguata e specifica informazione circa l’altissimo rischio; in realtà non sarebbe sufficiente per esimere dal responsabilità il Professionista, per la semplice ragione che in questi casi l’avvocato non può limitarsi a prospettare un rischio, ma deve spingersi fino al punto di tentare di dissuadere il cliente, specie in un caso come quello in esame in cui il ricorso sarebbe stato certamente rigettato (o “quasi certamente”, giusto per dare una possibilità meramente teorica).
«Per andare esente da responsabilità professionale l’avvocato che promuove una causa completamente infondata deve provare di aver adempiuto il proprio dovere di dissuasione a fronte di una irremovibile iniziativa del cliente e non già dimostrare la semplice esistenza di un consenso consapevole da parte della propria assistita».
Cassazione civile, sex. VI, 12/05/2016, n. 9695
«L’obbligo di diligenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 1176, comma 2, e 2236 c.c., impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto, anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente, essendo il professionista tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole. Incombe al professionista l’onere di fornire la prova della condotta mantenuta, e che al riguardo non è sufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all’esercizio dello ius postulandi, trattandosi di elemento che non è idoneo a dimostrare l’assolvimento del dovere di informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio».
Cassazione civile, sez. II, 19/04/2016, n. 7708
E tante altre ancora.
Ebbene, nel caso di specie l’opera di dissuasione non è stata provata in nessun modo. Lo stesso Tribunale non ne fa parola nella motivazione. Da ciò consegue che nel caso di specie la semplice informazione, quand’anche completa, non potrebbe essere ritenuta sufficiente.
Ma non è finita.
Supponiamo che fossero stati forniti elementi di prova del rischio altissimo e dell’attività di dissuasione, ci troveremmo al cospetto di un cliente che ha comunque proposto un ricorso per Cassazione che certamente sarebbe stato rigettato.
Ora, costituisce massima di esperienza quella per cui un soggetto sano di mente (e l’Ing. Prof. TIZIO indubbiamente lo è) non compie atti di autolesionismo. In altre parole, è ragionevole ritenere che in caso di adeguata informazione il Prof. TIZIO non avrebbe deciso di sottoscrivere e proporre ricorso personalmente, perché ciò avrebbe avuto ripercussioni economiche (come in effetti avvenuto).
Non sussistendo tra le prove libere una gerarchia, possiamo dunque ritenere che la massima di esperienza sopra enunciata ha un valore probatorio assai maggiore rispetto alla testimonianza dell’Avv. V..
In conclusione:
- grava su ogni avvocato l’obbligo di aggiornamento professionale;
- grava su ogni avvocato l’obbligo di fornire una informazione adeguata e specifica;
- prospettare l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale minoritario, ignorando l’esistenza di una sentenza delle Sezioni Unite che quel contrasto ha risolto, costituisce violazione del canone di diligenza;
- nel caso di specie, tanto più si imponeva attenzione e prudenza, considerando che l’Avv. CAIO non era ancora iscritto nello speciale albo dei Cassazionisti;
- l’informazione sui “rischi inammissibilità” sic et simpliciter è comunque di per sé è generica, non indicando né la tipologia del rischio, né il suo grado;
- allorquando l’azione si presenta manifestamente infondata, non basta l’informativa, in quanto l’avvocato ha il dovere di compiere una vera e propria attività di dissuasione;
- costituisce massima di esperienza quella per cui un soggetto sano di mente non introduce giudizi inutili e dannosi qualora debitamente informato.
* * * * * *
È del tutto evidente che il compenso elargito all’Avv. CAIO (pari ad euro 2.573,20) non è dovuto, in quanto il ricorso da lui predisposto sarebbe stato (come poi avvenuto) certamente rigettato.
Del pari, dovranno essere rimborsate le somme elargite alla Cassa delle Ammende (pari ad euro 2.016,00) e l’importo di euro 200,00 corrisposto per il rilascio delle copie.
Dovrà altresì essere riconosciuto il danno non patrimoniale, costituito dalla sofferenza contingente e dal turbamento dell’animo transeunte; in particolare nel caso che interessa, dagli stati d’ansia, dal patimento e dal disagio interiore determinati dal comportamento del Professionista appellato, per la ripetuta violazione degli obblighi di informazione nei confronti dell’appellante, il quale, senza sapere nulla, si è visto notificare gli avvisi di pagamento conseguenti alla dichiarata inammissibilità dei predetti ricorsi. Come pure il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di interessi di rango costituzionale, ovvero la sofferenza e le preoccupazioni personali provocate dalle vicende processuali.
Va qui ricordato che è stato violato il diritto di difesa e di azione, diritto inviolabile della persona riconosciuto dalla Costituzione.
SULLA COMPARSA DI RISPOSTA DELLA DIFESA DELL’AVV. CAIO
Nella propria comparsa di costituzione e risposta, al punto VII, pag. 3, la difesa di parte appellata scrive che il rischio di inammissibilità era stato prospettato “in costanza di un evidente contrasto giurisprudenziale”. Tuttavia, si è già evidenziato che nell’anno 2003, anno di presentazione dei ricorsi, le Sezioni Unite erano intervenute già da oltre quattro anni con la sentenza Messina del 15 dicembre 1998, citata peraltro nella sentenza 2049 (allegata doc. 21 fascicolo Avv. SEMPRONIO). Dunque non vi era alcun contrasto.
L’errore professionale è stato reiterato in sede giudiziale, in quanto sia in primo che in secondo grado, il Professionista ha continuato a parlare di contrasti giurisprudenziali in realtà inesistenti.
Sempre nello stesso punto, parte appellata afferma di avere sconsigliato il Prof. TIZIO. Tuttavia, si è già visto che quando una azione giudiziaria non ha alcuna seria probabilità di far conseguire il risultato voluto, come nel caso di specie, non basta il semplice sconsigliare, ma occorre una vera e propria opera di dissuasione che invece qui è mancata.
Nel punto VIII parte appellante afferma che nella lettera del 7/2/2003 (doc. 8 fascicolo Avv. SEMPRONIO) l’Avv. CAIO aveva sconsigliato di proporre ricorso personalmente. In realtà non è così, perché in quella lettera si dice semplicemente che non vi era sicurezza dell’accoglimento, che è un’altra cosa:
……………..
Tra l’altro, il contenuto di questa lettera smentisce la circostanza secondo cui l’Avv. CAIO avrebbe informato il cliente della necessità di farsi assistere da un cassazionista, stante la mancanza dei requisiti di legge. Difatti, nella suddetta missiva il Professionista conclude in questo modo: “Dal momento che tale strada è molto onerosa e non è detto che comporti automaticamente la riapertura del procedimento, La prego cortesemente di comunicarmi al più presto la Sua volontà in tal senso. In caso di mancato riscontro a breve, stante la ristrettezza dei termini per la presentazione del ricorso considererò terminato il mandato attribuitomi”.
In realtà, l’Avv. CAIO avrebbe dovuto scrivere qualcosa del genere: “Poiché l’unico rimedio esperibile è il ricorso per Cassazione e poiché il sottoscritto non è ancora abilitato, La invito a consultare un Avvocato Cassazionista”.
Il mandato, dunque, doveva considerarsi terminato a prescindere dalla risposta del Cliente. Al contrario, la lettera lascia intendere che il mandato avrebbe potuto continuare, mentre, invece, non era così.
Sorprende, dunque, che il Tribunale abbia accordato maggior valore alla testimonianza della Collega di studio, rispetto alla “confessione”, per così dire, contenuta in quella missiva.
Nel punto IX si afferma che il Prof. TIZIO avrebbe potuto sanare il vizio di costituzione, nominando un avvocato Cassazionista. In realtà, è noto che il vizio de quo, essendo originario, è irrimediabilmente insanabile, in quanto in Cassazione non è ammessa la ratifica, mediante rilascio di successiva procura.
Infondate sono poi le accuse mosse al Prof. TIZIO di aver voluto deliberatamente danneggiare l’immagine dell’Avv. CAIO (pag. 5) o di aver intentato il giudizio per sottrarsi pretestuosamente al pagamento delle prestazioni. In realtà, come già visto, l’errore dell’Avv. CAIO risulta per tabulas.
Irricevibili sono poi le argomentazioni relative alle azioni “mosse nei confronti di persone che cercano di svolgere al meglio il proprio lavoro” (pag. 5), specie tenuto conto che quelle azioni sono state esercitate proprio attraverso l’Avv. CAIO, il quale, dunque, avrebbe dovuto sconsigliare di proporre querela qualora avesse ritenuto le stesse manifestamente infondate.
Ovviamente, non si può parlare né di inerzia, né di disinteressamento da parte del Prof. TIZIO, tenuto conto che non spetta al cliente che si è rivolto e domiciliato presso un avvocato, sapere come avverranno le comunicazioni di cancelleria e comunque il Cliente non è tenuto a conoscere le regole del processo; è per questa ragione che è obbligatoria la difesa tecnica.
SULLA COMPARSA DI COSTITUZIONE DI PARTE UNIPOLSAI
La difesa di parte UNIPOL vorrebbe trarre argomenti di prova dalla dichiarazione a sé favorevole dell’Avv. CAIO, resa in sede di interrogatorio formale. In realtà essa è priva di qualsivoglia efficacia probatoria per la stessa parte che la resa.
A pag. 5 la difesa appellante parla di “copiosa documentazione” depositata dall’Avv. CAIO, confermata dalla dichiarazione testimoniale. In realtà, non esiste un solo documento scritto di provenienza dell’Avv. CAIO ed indirizzato al Prof. TIZIO in cui si cerca di dissuadere il medesimo dal deposito del ricorso.
Sempre a pagina 5, la difesa UNIPOL richiama incomprensibilmente decisioni della Cassazione, successive ai fatti di causa, e dunque irrilevanti, che peraltro hanno ribadito il tradizionale orientamento!!!
Questo, ad esempio, è quanto si legge in Cass. 7956/2010 citata da controparte:
Il ricorso è inammissibile perchè, in via pregiudiziale, è stato proposto personalmente dal P. nella sua delineata qualità di persona offesa e/o danneggiata dai denunciati reati.
Invero per la valida instaurazione del giudizio di legittimità trova applicazione la regola dettata dall’art. 613 c.p.p., secondo cui – ad eccezione delle parti processuali in senso tecnico – l’atto di impugnazione deve essere sottoscritto da difensori inseriti nell’apposito albo sociale della Corte di Cassazione, poichè alla persona offesa non può riconoscersi la qualificazione soggettiva di parte processuale e le altre parti private diverse dall’imputato non possono stare in giudizio (art. 100 c.p.p., comma 1) se non col ministero di un difensore munito di specifico mandato defensionale, pur se non integrato da procura speciale (cfr.: Cass. Sez. 4, 1.4.2004, n. 37562, p.o. in proc. Birolo, rv. 229139; Cass. S.U. 27.9.2007 n. 47473, Lo Mauro, rv. 237854: “Il ricorso per Cassazione proposto avverso il provvedimento di archiviazione nell’interesse della persona offesa dal reato deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensore iscritto nell’albo dei patrocinati dinanzi alle giurisdizioni superiori, che sia stato nominato mediante dichiarazione resa o consegnata dallo stesso all’autorità procedente ovvero ad essa inviata con raccomandata, non occorrendo peraltro il conferimento al predetto difensore di procura speciale “ad hoc” ai sensi dell’art. 122 c.p.p.”).
Nel processo penale la «parte» legittimata a presentare personalmente ricorso per cassazione, secondo la previsione dell’art. 613 comma 1 c.p.p., è soltanto l’imputato mentre gli altri soggetti, portatori di interessi diversi, sottostanno alla regola generale secondo cui il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione. (Fattispecie relativa a ricorso presentato personalmente dall’interessato, avvocato in autotutela dei propri interessi civili, avverso il provvedimento del tribunale che aveva dichiarato inammissibile l’opposizione al decreto di liquidazione dei compensi professionali spettanti per l’espletato patrocinio a spese dello Stato).
Cass. 37170/2004
Anche la difesa UNIPOL parla di informativa sul rischio, a pag. 6, dimenticandosi che in caso di sicuro rigetto non basta l’informativa, ma occorre una vera e propria opera di dissuasione che nel presente caso non solo non è stata provata, ma prima ancora non è mai stata allegata.
Da pagina 7 a pagina 11 controparte ripete costantemente lo stesso concetto: l’appellante si è assunto un rischio volontario. Tuttavia si è già osservato che le cose non stanno affatto così, in quanto l’informativa è stata carente, essendo riferita ad un rischio dovuto ad un contrasto giurisprudenziale inesistente. Non è un caso che il doc. n. 2 prodotto dalla difesa CAIO (una pagina estratta da un non meglio precisato codice commentato) riporti una sentenza del mese di maggio 1998 e dunque anteriore a quella delle Sezioni Unite, emessa nel mese di dicembre del 1998.
Alla luce di quanto sopra, lo scrivente insiste nelle già formulate conclusioni con vittoria di spese e compensi, del precedente grado (come da nota depositata dall’Avv. SEMPRONIO) e del presente, come da seguente nota:
Fine modulo
Senigallia, Ancona 04/10/2017
Avv. Mirco Minardi
Tutti i miei articoli sul ricorso per cassazione.
La supervisione del ricorso per cassazione.
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