Cogliere la ratio decidendi nel ricorso per cassazione

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Uno degli errori più frequenti (che comporta l’inammissibilità del ricorso per cassazione) è quello relativo alla mancata individuazione della ratio decidendi.

Ne troviamo un esempio in Cass. 24790/2017. Il giudice aveva dichiarato la nullità di una clausola contrattuale in quanto attribuiva ad una parte il potere discrezionale di determinare la prestazione del debitore.

Il ricorrente, però, sbaglia nel cogliere la ratio decidendi, impostando il ricorso mediante denunzia della falsa applicazione degli artt. 1346 e 1418 c.c. sul presupposto della determinabilità della clausola.

Ecco le parole della Corte:

“In tal modo, però, il ricorso dimostra di non tenere in considerazione che l’impugnata sentenza si fonda essenzialmente sull’affermazione che la clausola in questione è nulla in quanto consente ad una delle parti di determinare in modo arbitrario la prestazione a carico dell’altro contraente. E’, dunque, l’arbitrarietà a determinarne la nullità, mentre non ha rilievo il fatto che la prestazione sia in concreto determinabile.

D’altra parte l’impugnata sentenza (ed anche l’ordinanza di inammissibilità pronunciata dal Tribunale) hanno fatto corretta applicazione del principio di cui alla sentenza 29 febbraio 2008, n. 5513, secondo cui il requisito della determinatezza o della determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione esprime la fondamentale esigenza di concretezza dell’atto contrattuale, avendo le parti la necessità di conoscere l’impegno assunto ovvero i criteri per la sua concreta determinazione, il che può essere pregiudicato dalla possibilità che la misura della prestazione sia discrezionalmente determinata, sia pure in presenza di precise condizioni legittimanti, da una soltanto delle parti”.

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La supervisione del ricorso per cassazione.

Contatti.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15453/2016 proposto da:
MARINA BLU SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 39, presso lo
studio dell’avvocato ADRIANO GIUFFRE’, rappresentata e difesa
dall’avvocato BEATRICE BELLI;
– ricorrente –
contro
G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FAUSTO
PUCILLO;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 465/2014 del Tribunale di Rimini, depositata
il 12/12/2015 e la sentenza del Giudice di pace di Rimini n. 1522
del 2013 depositata il 9/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 13/09/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA
CIRILLO.

Fatto
FATTI DI CAUSA
1. G.R. propose opposizione, davanti al Giudice di pace di Rimini, avverso il decreto ingiuntivo col quale era stato condannato a pagare alla Marina blu s.p.a. una somma, poi ridotta nel corso del giudizio di opposizione, a titolo di rideterminazione del corrispettivo annuo del compenso per il contratto di ormeggio di un’imbarcazione Nel giudizio si costituì la società opposta, chiedendo il rigetto dell’opposizione.
Il Giudice di pace accolse la domanda, dichiarò nulla la clausola contrattuale per indetetnlinatezza dell’oggetto, revocò il decreto ingiuntivo e condannò la Marina blu s.p.a. al pagamento delle spese di lite.
2. La pronuncia è stata impugnata dalla società soccombente e il Tribunale di Rimini, con ordinanza ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., ha dichiarato l’appello inammissibile siccome privo di ragionevoli probabilità di essere accolto, condannando la società appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
3. Contro l’ordinanza del Tribunale e la sentenza del Giudice di pace propone ricorso la Marina blu s.p.a. con atto affidato ad un solo motivo.
Resiste G.R. con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c. e la società ricorrente ha depositato memoria, insistendo per l’accoglimento.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo ed unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1346 e 1418 c.c., sostenendo che i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere nulla per indeterminatezza la clausola in questione.
1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Il ricorso, infatti, dando atto che la decisione del giudice di primo grado ha rilevato d’ufficio la nullità della clausola per indeterminatezza, cerca di dimostrare che, nella specie, tale nullità non sussisterebbe, rilevando che la prestazione contestata sarebbe comunque determinabile.
In tal modo, però, il ricorso dimostra di non tenere in considerazione che l’impugnata sentenza si fonda essenzialmente sull’affermazione che la clausola in questione è nulla in quanto consente ad una delle parti di determinare in modo arbitrario la prestazione a carico dell’altro contraente. E’, dunque, l’arbitrarietà a determinarne la nullità, mentre non ha rilievo il fatto che la prestazione sia in concreto determinabile.
D’altra parte l’impugnata sentenza (ed anche l’ordinanza di inammissibilità pronunciata dal Tribunale) hanno fatto corretta applicazione del principio di cui alla sentenza 29 febbraio 2008, n. 5513, secondo cui il requisito della determinatezza o della determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione esprime la fondamentale esigenza di concretezza dell’atto contrattuale, avendo le parti la necessità di conoscere l’impegno assunto ovvero i criteri per la sua concreta determinazione, il che può essere pregiudicato dalla possibilità che la misura della prestazione sia discrezionalmente determinata, sia pure in presenza di precise condizioni legittimanti, da una soltanto delle parti.
2. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono inoltre le condizioni di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
PQM
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.000, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 13 settembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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2 commenti:

  1. Paola

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