Pubblichiamo una sentenza del Tribunale di Schiacca ed una nota dell’Avv. Ivan Sole, in tema di giurisidizione in relazione ai diritti del soggetto disabile nell’ambito dell’organizzazione scolastica
TRIBUNALE DI SCIACCA
Il Giudice, dott.ssa Giovanna Nozzetti
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esaminati gli atti e i documenti di causa e sentiti i procuratori delle parti;
sciogliendo la riserva assunta all’udienza 7 novembre 2006, ha emesso la seguente
ordinanza
con ricorso depositato in data 10.10.2006, notificato all’Istituto Comprensivo Statale Caiano di Sciacca, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, il successivo 25.10.2006, Tizia, nella qualità di genitore affidatario esercente la potestà sul figlio minore Sempronio, ha esposto che quest’ultimo – cui, con provvedimento della Commissione Medica presso l’AUSL 1 di Agrigento, è stato riconosciuto lo status di portatore di handicap ai sensi dell’art. 3 comma III legge 104/92, in quanto affetto da cerebropatia prenatale con tratti autistici e grave ritardo psicomotorio e del linguaggio – ha usufruito, fin dalla frequenza della scuola materna, di un insegnante di sostegno ed ha frequentato, nell’anno scolastico 2005/2006, la classe Ia B della scuola primaria, conseguendo, nonostante le serie difficoltà di inserimento, importanti miglioramenti; che in data 30.6.2006 il Collegio dei Docenti dell’Istituto ha approvato i nuovi criteri per la formazione delle classi prime della scuola primaria e secondaria di primo grado e ha deliberato di procedere allo sdoppiamento della classe 1a A in due nuovi gruppi classe (A e C), composti da n. 15 alunni ciascuno, e di ridistribuire i tre alunni portatori di handicap in modo tale che in ciascuno dei tre gruppi classe fosse presente un solo alunno svantaggiato; che, poiché nella classe 1a B, già frequentata dal proprio figlio minore, era stato certificato un secondo caso di disabilità, il Collegio dei Docenti – con delibera del 6/7 settembre scorso – ha deciso di trasferire il minore Sempronio, il quale presentava la certificazione di disabilità meno recente, nel gruppo classe 2a A di nuova formazione, estrapolandolo quindi dal contesto didattico in cui era stato fino a quel momento inserito; che, essendo rimasti vani i tentativi bonari volti ad ottenere la revoca di tale provvedimento, essa ricorrente – consapevole che i risultati positivi conseguiti dal piccolo Sempronio avrebbero potuto essere consolidati e potenziati solo in presenza dell’ambiente educativo e relazionale al quale il medesimo si era faticosamente adattato e soltanto con l’ausilio della medesima equipe psicopedagogica dalla quale era stato in precedenza seguito – si era vista costretta a non inviare Sempronio a scuola al fine di non esporlo a nuove frustrazioni.
Ciò premesso, ravvisando il fumus boni iuris – ricollegabile alla esigenza di tutelare il diritto soggettivo assoluto ed incomprimibile del minore disabile all’adeguato inserimento scolastico ed alla continuità educativa e di sostegno– ed il periculum in mora – consistente nel rischio di vedere irreparabilmente pregiudicati i miglioramenti già raggiunti dal bambino e di esporlo a situazioni per lui stressanti e traumatiche, e preannunciando un’azione risarcitoria nei riguardi del resistente per il ristoro dei danni medio tempore patiti, la ricorrente ha instato affinché, previa disapplicazione del provvedimento amministrativo sopra indicato, venisse disposto l’immediato reinserimento del minore nella classe di provenienza per l’anno in corso ovvero adottato ogni altro provvedimento idoneo a tutelare, in via d’urgenza, gli invocati diritti.
Si è costituito l’Istituto scolastico convenuto, col patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, eccependo preliminarmente l’irritualità della notifica del ricorso introduttivo, il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario e l’incompetenza territoriale del Tribunale adito e deducendo nel merito l’infondatezza del ricorso, anche per l’insussistenza del periculum in mora, essendo frattanto intervenuta la revoca del provvedimento contestato da controparte.
All’udienza fissata per la comparizione delle parti, la difesa della ricorrente ha chiesto darsi atto della sopravvenuta cessazione della materia del contendere in dipendenza del disposto ritrasferimento del minore nella classe 2a B, di provenienza ed ha insistito nella condanna del resistente alle spese del giudizio.
Premesso che ogni vizio o irregolarità afferente la notifica del ricorso introduttivo e del pedissequo decreto emesso il 17-19.10.06 risulta sanato per effetto della regolare costituzione dell’Istituto scolastico, la natura pregiudiziale dell’eccezione relativa al difetto di giurisdizione ne impone l’esame in via preliminare rispetto ad ogni altra questione.
In proposito non appare superfluo rammentare che la regola tradizionale che presiede al riparto tra le giurisdizioni, già espressa dagli artt. 2 e 4 Legge 2248/1865 all. E (abolitrice del contenzioso amministrativo) e recepita dagli artt. 24, 103 e 113 della Carta Costituzionale, è quella secondo la quale la natura di diritto soggettivo o di interesse legittimo della posizione giuridica soggettiva azionata fonda rispettivamente la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo. Ne è corollario il carattere eccezionale della giurisdizione amministrativa esclusiva, limitata a singolari fattispecie nelle quali l’intersecarsi di diritti ed interessi renderebbe difficoltosa al cittadino leso l’individuazione dell’autorità giudiziaria “competente”.
Il secolare criterio generale di distribuzione della giurisdizione sembrava, invero, ridotto a mera regola suppletiva a seguito dell’introduzione dell’art. 33 del D. L.vo 80/98 che, nel testo novellato dall’art. 7 lett. a) della legge 205/00, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del G.A. “tutte le controversie in materia di pubblici servizi” ed, in particolare, per quanto di interesse, quelle “riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona o a cose e delle controversie in materia di invalidità”, aveva di fatto previsto una nuova specie di giurisdizione esclusiva, ancorata a settori dell’ordinamento caratterizzati dalla rilevante presenza di un pubblico interesse.
E però, con la nota sentenza n. 204/04, la Corte Costituzionale – affermando che non è sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella materia perché questa possa essere interamente devoluta al G.A. e ribadendo la necessità che si verta in fattispecie nelle quali la Pubblica Amministrazione agisce come autorità e adotta atti amministrativi a carattere provvedimentale ed in cui la giurisdizione naturale sugli interessi legittimi attragga la cognizione dei diritti soggettivi strettamente connessi e concorrenti – ha sostanzialmente ridisegnato l’ambito della giurisdizione esclusiva, dichiarando la parziale incostituzionalità del comma II del citato art. 33 e del comma I nella parte in cui prevede che siano devolute al G.A. “tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli..” anziché “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relativi a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7.8.1990 n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore”.
Una lettura coordinata del dictum contenuto nella pronuncia di incostituzionalità e delle considerazioni con le quali la Consulta ha esplicitato l’iter argomentativo seguito induce però a discostarsi dall’indirizzo, che pure è stato sostenuto da alcuni commentatori e che sembra adombrato dalle difese della ricorrente, secondo il quale con riferimento alle controversie tra erogatore del servizio pubblico e singolo utente si imporrebbe sempre l’utilizzo, ai fini del riparto di giurisdizione, del consueto criterio fondato sulla natura della situazione giuridica soggettiva coinvolta.
Vero è piuttosto che (e in questo senso si è espressa Cass. 13659/06, citata in ricorso) che la tutela contro l’agire illegittimo della P.A. spetta al G.O. quante volte il diritto del privato non sopporti compressione per effetto di un potere esercitato in modo illegittimo o, se la sopporti, quante volte l’azione della P.A. non trovi rispondenza in un precedente esercizio del potere che sia riconoscibile come tale, perché a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o come provvedimento e non come mera via di fatto. Spetta, ancora, al G.O. quando si controverta su questioni attinenti l’esecuzione di una prestazione contrattuale che non abbiano alcuna connessione funzionale con l’ordinamento del servizio pubblico e coinvolgano esclusivamente profili di carattere negoziale; ci si riferisce alle controversie che attengono a rapporti individuali di utenza (di norma caratterizzati dalla “patrimonialità” della prestazione) con soggetti erogatori di un pubblico servizio le quali involgono esclusivamente comportamenti della P.A. privi di ogni interferenza con atti autoritativi che, per tale ragione, non possono essere considerati, in quanto insuscettibili di connettersi ad un atto o provvedimento amministrativo, espressione dell’esercizio di un potere pubblico.
Laddove, invece, oggetto specifico del contendere sia la legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, ossia quando l’atto amministrativo sia assunto quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, la giurisdizione è del G.A. a nulla rilevando che l’istante non ne chieda l’annullamento (potere che sarebbe comunque alieno alla giurisdizione ordinaria, ex artt. 4-5 L.A.C.) ma la mera disapplicazione ed avanzi pretese di natura risarcitoria.
Fatte queste premesse di carattere generale, occorre adesso osservare, con specifico riferimento alla fattispecie in esame, che la ricorrente ha negato la sussistenza della giurisdizione amministrativa, ex adverso invocata dall’Avvocatura Distrettuale, sul presupposto che si vertesse in materia di diritti soggettivi assoluti ed inviolabili, qual è quello del minore disabile “all’adeguato inserimento scolastico” in vista dello sviluppo delle potenzialità che costui esprime nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione. Il giudizio circa l’adeguatezza di tale inserimento andrebbe effettuato alla stregua del rispetto del diritto, parimenti inviolabile, alla continuità educativa, introdotto dall’art. 14 lett. c) legge 104/92.
Ebbene, premesso che non sono contestati tra le parti né il diritto soggettivo di Sempronio all’istruzione ed all’integrazione scolastica né quello a fruire di un insegnante di sostegno (del quale anzi, il medesimo, ha usufruito, per stessa ammissione della ricorrente, sin dalla scuola materna), appare chiaramente che la cautela richiesta è volta a soddisfare in via d’urgenza la pretesa del minore a permanere nel gruppo – classe di provenienza, e quindi nel medesimo contesto educativo e relazionale in cui il bambino era già inserito, nonostante la compresenza nella classe originaria di due disabili e l’intervenuto “sdoppiamento” della stessa in due gruppi – classe nuovi, composti da un minor numero di alunni e da un solo elemento svantaggiato per ciascuno. A tal fine Tizia – sul presupposto della irragionevolezza e della illegittimità (nonché del carattere discriminatorio) del provvedimento amministrativo con il quale il proprio figlio era stato “estrapolato” dal gruppo classe di provenienza per essere inserito nella classe 2a A di nuova formazione – ha infatti chiesto che, previa disapplicazione del medesimo, fosse ordinato l’immediato reinserimento del minore nella classe 2a B di provenienza, per l’anno scolastico in corso.
Ritiene, pertanto, questo Decidente che l’odierno procedimento – proprio in considerazione del petitum proposto con la domanda cautelare – riguardi l’attività di pubblico servizio svolta dall’amministrazione scolastica, atteso che il provvedimento richiesto, oltre che diretto alla tutela del diritto fondamentale all’istruzione ed all’educazione del minore portatore di handicap, è inevitabilmente destinato ad incidere sulle concrete modalità di erogazione del servizio stesso, non soltanto nei confronti del disabile ma anche nei riguardi dei soggetti diversamente svantaggiati e degli altri utenti; si lamenta, infatti, l’inadeguatezza dell’organizzazione con riferimento alle modalità di integrazione ed assistenza, in ambito scolastico, del soggetto portatore di handicap.
Ed invero, le vigenti disposizioni attuative dei principi generali fissati dalla legge 104/92, legge- quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, pur fissando gli obiettivi ineliminabili cui il servizio scolastico offerto ai portatori di handicap deve essere preordinato, non vincolano in maniera puntuale e specifica l’esercizio discrezionale dei poteri pubblicistici attribuiti all’amministrazione scolastica, ed anzi quella discrezionalità presuppongono ed enfatizzano. Rilievo assume al riguardo l’art. 40 comma I legge 449/97 il quale stabilisce che sia assicurata l’integrazione scolastica degli alunni handicappati con interventi adeguati al tipo e alla gravità dell’handicap (con ciò implicando percorsi formativi individualizzati), compreso il ricorso all’ampia flessibilità organizzativa e funzionale delle classi prevista dall’art. 21 commi 8 e 9 legge 15.3.1997 n. 59. Tali disposizioni, nell’attribuire autonomia organizzativa e didattica alle istituzioni scolastiche dotate di personalità giuridica autonoma, stabiliscono che “8. L’autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale. Essa si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell’unitarietà del gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali, fermi restando i giorni di attività didattica annuale previsti a livello nazionale, la distribuzione dell’attività didattica in non meno di cinque giorni settimanali, il rispetto dei complessivi obblighi annuali di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi che possono essere assolti invece che in cinque giorni settimanali anche sulla base di un’apposita programmazione plurisettimanale.
9. L’autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del diritto di apprendere. Essa si sostanzia nella scelta libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento, da adottare nel rispetto della possibile pluralità di opzioni metodologiche, e in ogni iniziativa che sia espressione di libertà progettuale, compresa l’eventuale offerta di insegnamenti opzionali, facoltativi o aggiuntivi e nel rispetto delle esigenze formative degli studenti. A tal fine, sulla base di quanto disposto dall’articolo 1, comma 71, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, sono definiti criteri per la determinazione degli organici funzionali di istituto, fermi restando il monte annuale orario complessivo previsto per ciascuna delle discipline ed attività indicate come fondamentali di ciascun tipo o indirizzo di studi e l’obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi”.
Le norme esaminate inducono a ritenere che le scelte dell’istituto in vista dell’inserimento e dell’integrazione scolastica degli alunni disabili siano il risultato di attività connotata da discrezionalità pura o mista, perché espressione dell’autonomia organizzativa e didattica di cui si è detto, legata al contemperamento dei diversi obiettivi ed interessi coinvolti ed al correlato razionale impiego delle risorse finanziarie ed umane. Si condivide pertanto l’indirizzo – espresso da Tribunale Torino 8.3.2005, Tribunale Firenze 12.9.2005, Tribunale Perugia 18-29.4.2006 (indicati dalla difesa del resistente – secondo il quale, nel settore in questione, l’attività della P.A. è caratterizzata da una “discrezionalità prevalentemente tecnica nel senso che non può prescindere dalla fondamentale valutazione medico legale sulle caratteristiche specifiche ed il grado di invalidità del singolo alunno, ma alla quale si accompagna e si aggiunge una discrezionalità amministrativa pura nel senso che le esigenze del singolo alunno diversamente abile devono essere comunque contemperate con le esigenze generali del comparto scuola … e con le esigenze generali di bilancio del settore scuola ed in generale della finanza pubblica”.
Ed invero, il servizio – istruzione, in quanto offerto alla generalità degli utenti, rientra, indipendentemente dalla qualità del soggetto fruitore, tra i servizi pubblici; nell’ambito di esso la Pubblica Amministrazione agisce certamente come autorità, esercita poteri discrezionali, adotta atti tipicamente amministrativi. Nei riguardi dell’utente disabile, poi, l’amministrazione scolastica opera secondo moduli procedimentali che prevedono la partecipazione di altri soggetti pubblici, di specialisti, delle famiglie in guisa da realizzare un’offerta formativa il più possibile personalizzata e mirata in relazione ai bisogni ed alle peculiarità espresse dal singolo caso concreto.
Per tale ragione è indubitabile la presenza, nella materia de qua, di quell’inestricabile intreccio (che ne giustifica la devoluzione alla giurisdizione amministrativa esclusiva) tra la posizione di diritto soggettivo assoluto ed incomprimibile dell’alunno portatore di handicap all’istruzione ed all’integrazione scolastica ed alla fruizione dell’assistenza di un insegnante di sostegno e le posizioni di interesse legittimo (pretensivo, perché volto all’ottenimento di una prestazione positiva da parte dell’ente pubblico) ad un inserimento adeguato e confacente alle esigenze peculiari del singolo utente, il soddisfacimento delle quali è il risultato di scelte discrezionali intese a contemperare tutti gli interessi coinvolti nella organizzazione del servizio scolastico.
E d’altra parte, della qui ritenuta natura provvedimentale degli atti attraverso i quali l’autonomia organizzativa dell’istituto resistente si esplica deve essere stata ben consapevole la stessa ricorrente nel momento in cui ha invocato il diritto di accesso previsto dalla legge 241/90 ed ha chiesto la disapplicazione del “provvedimento” con il quale l’amministrazione scolastica aveva disposto il trasferimento del minore ad altra classe della scuola primaria del medesimo istituto.
Nessun pregiudizio può, peraltro, risentire l’utente, pur se portatore di handicap, dalla sottrazione della materia alla giurisdizione ordinaria, potendo egli azionare strumenti analoghi di tutela cautelare ed urgente dinanzi al G.A. (il nuovo comma VII dell’art. 21 della legge 1034/71, nel testo novellato dall’art. 3 del D. L.vo 205/00 contempla infatti la concedibilità di “misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma, che appaiono secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”; con ciò prevedendo la possibilità di adottare provvedimenti cautelari, anche atipici, differenziati rispetto alla mera sospensiva).
Il ricorso dev’essere pertanto dichiarato inammissibile stante il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria adita.
La peculiarità delle questioni affrontate e l’esistenza al riguardo di contrastanti orientamenti giurisprudenziali nonché la posteriorità della revoca del provvedimento contestato rispetto alla proposizione della domanda giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Dichiara il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario adito con riferimento al ricorso proposto in data 10.10.2006 da Tizia, nell’indicata qualità, nei confronti dell’Istituto Scolastico Caiano, in persona del legale rappresentante p.t;
dichiara le spese di lite integralmente compensate tra le parti.
Manda alla Cancelleria per le comunicazioni.
Sciacca, lì 14 novembre 2006
Il Giudice designato
Giovanna Nozzetti
NOTA
La tutela dei diritti del soggetto disabile nell’ambito dell’organizzazione scolastica spetta al Giudice Amministrativo, integrando un’ipotesi di giurisdizione esclusiva ex art. 33 del D.lgs. 31 marzo 1998 n. 80; ed infatti, il servizio- istruzione, indipendentemente dalla qualità del soggetto fruitore, costituisce un servizio pubblico nel cui ambito la P.A. agisce come autorità, esercitando un potere discrezionale.
Con l’ordinanza in rassegna il Tribunale di Sciacca affronta il problema del riparto di giurisdizione con il Giudice Amministrativo, con riferimento ad una questione particolarmente delicata: un bambino portatore di handicap grave ex art. 3 comma 3, L. 104/92 era stato, a seguito di una riorganizzazione delle classi effettuata dal Collegio dei Docenti, trasferito in un’altra classe dell’istituto scolastico che aveva frequentato, venendo così improvvisamente estrapolato dal contesto didattico e, soprattutto, umano ove era stato fino ad allora inserito.
Ricorrevano ex art. 700 c.p.c. i genitori, denunciando la sussistenza di un pericolo di danno grave ed irreparabile ricollegabile alla violazione del diritto soggettivo, assoluto ed incomprimibile, del minore all’adeguato inserimento scolastico ed alla continuità educativa e di sostegno e richiedendo, previa disapplicazione della delibera del Collegio, che venisse disposto dal giudice l’immediato reinserimento del minore nella classe di provenienza.
Tuttavia, nelle more del giudizio, l’istituto ha provveduto a revocare il provvedimento ritenuto lesivo, ragion per cui l’impatto pratico della decisione è limitato all’ambito, meramente patrimoniale, della condanna alle spese di giudizio. Ciò non implica che il provvedimento sia meno interessante, in quanto il giudice non entra nel merito della questione ma, ritenendo fondata l’eccezione preliminare sollevata dall’istituto scolastico di difetto di giurisdizione del giudice adito, si confronta con una problematica da sempre particolarmente spinosa e cioè quella della giurisdizione in presenza di diritti assoluti “inaffievolibili”.
A sostegno della propria decisione, e dopo aver ripercorso sinteticamente nel proprio iter motivazionale il percorso seguito dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n° 204 del 6 luglio 2004 , che ha portato ad una riformulazione del testo dell’art. 33 comma 1 del D.lgs. 80/98 e, conseguentemente, ad una ridefinizione dell’ambito di giurisdizione esclusiva del G.A., il giudice tenta di declinare i principi guida espressi dal giudice delle leggi, con riferimento al caso sottoposto al suo esame.
Anzitutto, è opportuno sottolineare che la natura di diritto soggettivo della pretesa fatta valere dai ricorrenti non costituisce oggetto di controversia: al contrario il giudice individua in generale nella Legge n°104/92 (legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) e più in particolare nell’art. 40 comma 1 della legge 449/97 (che assicura l’integrazione scolastica degli alunni handicappati) i riferimenti normativi da cui poter inferire la sussistenza di un diritto alla continuità educativa e di sostegno del minore portatore di handicap. Né mancano altri riferimenti normativi che consentono di qualificare il diritto de qua come species del più ampio diritto di tutti i bambini a crescere in un ambiente favorevole allo sviluppo della loro personalità e delle loro attitudini: si pensi agli artt. 15 e 17 della Carta sociale europea ratificata con legge n. 30/1999 ed all’art. 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che riconosce il diritto all’inserimento sociale dei disabili.
Pur riconosciuta l’esistenza di tale diritto, il giudice ritiene che non possa trovare immediata applicazione l’ordinario criterio basato sulla causa petendi, che avrebbe determinato la sussistenza della propria giurisdizione; infatti, l’art. 33 D.lgs. 80/98 individua un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.A. nella materia dei “servizi pubblici” (pur nelle forme e nei limiti che vedremo), e la controversia in esame, riguardando il servizio-istruzione, rientra certamente tra i servizi pubblici.
Tuttavia, alla luce delle recente pronuncia della Corte, occorre previamente verificare se nell’ambito di esso la P.A. agisce come autorità esercitando un potere.
Ed infatti la Consulta ha, da un lato, abrogato il comma 2 e riscritto il comma 1 dell’art. 33 D.lgs. 80/98, prevedendo che siano devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A. “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi escluse quelle concernenti indennità canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore” anziché “tutte le controversie in materia di pubblici servizi…”. Dall’altro, in motivazione, ha esplicitato il criterio che consente di ritenere costituzionalmente legittime le ipotesi di giurisdizione esclusiva: e cioè che si tratti di “particolari materie” che si caratterizzano per la presenza di un particolare intreccio tra posizioni di diritto ed interesse; intreccio che trova la sua giustificazione in quanto, in quel determinato settore, la P.A. agisce come autorità, esercitando un potere. In altri termini la giurisdizione esclusiva è costituzionalmente ammissibile, laddove il G.A. sia già titolare di una giurisdizione di legittimità, proprio in quanto esercita quel potere che, se male esercitato, può cagionare la violazione di interessi legittimi.
Ora, ritiene il Tribunale di Sciacca che, nella materia inerente al servizio-istruzione, la P.A. sia autorizzata all’esercizio discrezionale di pubblici poteri, come si evince dalle disposizioni di cui all’art. 21 commi 8 e 9 della legge 59/1997 (c.d. legge Bassanini) in tema di autonomia organizzativa e didattica, ragion per cui può scorgersi quell’inestricabile intreccio tra la posizione di diritto soggettivo assoluto ed incomprimibile dell’alunno all’istruzione ed all’integrazione e le posizioni di interesse legittimo ad un inserimento adeguato, il soddisfacimento delle quali è il risultato di scelte discrezionali della P.A.; la giurisdizione, dunque, spetta al G.A..
La correttezza della soluzione adottata dal giudice, perfettamente coerente rispetto alla ratio espressa dalla pronuncia costituzionale, non può di certo essere messa in dubbio sulla base del riferimento operato dai ricorrenti alla dottrina dei diritti “non suscettibili di degradazione”.
Ed infatti, tale concezione assolve alla funzione di individuare una serie di diritti fondamentali che non possono essere intaccati dal potere della P.A. per il particolare rango ad essi riconosciuto nella Carta Fondamentale; tra questi, in primis, il diritto alla salute. In sostanza, l’eventuale esplicazione di un potere amministrativo, attraverso il compimento di atti illegittimi, non sarebbe in grado di mutare la natura dei diritti soggettivi coinvolti in interessi legittimi. Il logico corollario di tale intangibilità si apprezza proprio in tema di giurisdizione che, secondo il criterio della causa petendi, spetta al Giudice Ordinario quale giudice naturale dei diritti.
Tuttavia, anche a tacere delle critiche che, autorevolmente , sono state mosse alla dottrina dell’affievolimento, che rappresenta il presupposto concettuale della teoria in esame, è comunque evidente che i riflessi di tale teoria in tema di riparto, si apprezzino soltanto in materia di giurisdizione di legittimità; infatti l’assolutezza del diritto comporta l’inaffievolimento dello stesso in interesse legittimo, ragion per cui non vi sarà ragione che giustifichi una giurisdizione del G.A. data l’assenza di una posizione individuale qualificabile sub specie di interesse legittimo. Ma in presenza di una giurisdizione esclusiva, è l’ordinamento ad affidare al G.A. la tutela, oltre che degli interessi, anche dei diritti soggettivi senza che la qualifica degli stessi in termini di assolutezza possa avere alcuna rilevanza.
Nondimeno, la soluzione fornita dal giudice saccense, potrebbe essere considerata innovativa rispetto al precedente quadro giurisprudenziale, formatosi prima della summenzionata pronuncia del giudice delle leggi.
Infatti, prima che la Consulta lo espungesse dal nostro ordinamento, il 2 comma lett. e) dell’art. 33 del d.lgs. 80/98 (così come modificato dalla L. 205/00) escludeva dalla devoluzione al G.A. i “rapporti individuali di utenza con i soggetti privati”. Ed il caso in esame, avrebbe potuto essere ricondotto in tale categoria, almeno secondo la lettura data a tale disposizione da una parte della giurisprudenza .
In particolare, quale esempio di tale orientamento, si segnala una recente pronuncia di merito in cui, in un caso del tutto simile ( anche in quel caso si trattava di un’ordinanza ex art. 700 c.pc. riguardante l’attività di sostegno in una scuola di un soggetto handicappato) il giudice capitolino ritenne sussistente la propria giurisdizione, ritenendo operante la clausola di esclusione prevista dal comma 2 dell’art. 33 cit., ed in considerazione della natura del diritto (fondamentale) del privato, inidoneo a subire affievolimento.
In altri termini, nel precedente contesto normativo, il G.O. in quanto giudice “del rapporto individuale di utenza” trovava il proprio spazio per conoscere dei limiti che devono essere rispettati dal potere della P.A. a fronte di un diritto inviolabile .
Resta da capire se con l’eliminazione del comma citato, la Consulta abbia davvero voluto determinare un effetto “espansivo” sulla giurisdizione esclusiva.
Il dubbio è legittimo dato che la Corte in motivazione sembra essere mossa, tutt’al contrario, dalla preoccupazione di “restringere” l’ambito della giurisdizione esclusiva a “particolari materie”. In altri termini, come è stato sottolineato in dottrina , il dispositivo della sentenza può essere sviante, proprio rispetto alle controversie in materia di servizi pubblici, rispetto alle chiare indicazioni provenienti dalla motivazione.
Ora, sembra a chi scrive che una tale “volontà espansiva” possa essere esclusa in quanto, da un punto di vista generale, la portata concreta della declaratoria d’illegittimità non può essere determinata sulla base del solo dispositivo, ma va stabilita proprio alla luce delle argomentazioni stabilite in motivazione ; e da tale opzione ermeneutica muove, tra l’altro, il giudicante della pronuncia in commento.
Inoltre, già prima della riscrittura dell’art. 33, una diversa lettura si contrapponeva rispetto al orientamento summenzionato, ritenendo esclusi dalla giurisdizione amministrativa solo i rapporti “contrattuali” di utenza, interamente assoggettati al diritto privato, con esclusione di quelli regolati in forma amministrativa, tra cui certamente il rapporto di utenza inerente al servizio scolastico.
La Consulta avrebbe dunque confermato la correttezza di tale impostazione. Il nuovo art. 33, infatti, da un lato non menziona più i rapporti di individuali di utenza, dall’altro include espressamente nella giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie “relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione …”, restando evidentemente esclusi i rapporti di natura meramente contrattuale.
In conclusione, la pronuncia in commento va segnalata sia per la soluzione cui perviene, concettualmente corretta oltre che rispettosa delle ultime acquisizioni frutto del recente dictum costituzionale, sia per il contributo offerto, utile a fare chiarezza su un tema complesso quale quello della giurisdizione nei pubblici servizi.
Gaetano Ivan Sole
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