“A come Avvocato” di Paolo Marcozzi

Mirco Minardi

A come AVVOCATO
di Paolo Marcozzi

PREFAZIONE

Trentacinque anni fa il giovane avvocato Marcozzi si iscriveva al defunto Albo dei Procuratori; da modesto civilista, che sa scrivere meglio di quanto parli, affido a questo “abbeccedario” il compito di esprimere il senso del tempo trascorso.
A ricordarli ora, quei tempi sembrano la preistoria.
In trentacinque anni tante sono state le emozioni, le gioie, le delusioni provocate da una professione che non ti lascia mai solo con te stesso né di giorno né di notte né la domenica né in vacanza ed il cui principio fondamentale è quello di non fare mai oggi ciò che puoi rimandare a domani (perché il lavoro fatto potrebbe rivelarsi inutile o tutto da rifare).
Puoi veramente chiamarti avvocato solo quando ti svegli di notte sapendo per certo che il giorno dopo ti scade un termine fissato sei mesi prima e che non hai segnato sull’agenda; quando capisci al volo se la persona, tanto ammodino, che è venuta a chiederti di fare una causa che durerà dieci anni, alla fine pagherà o no la tua parcella; quando, avendo constatato che vinci le cause perse e perdi le cause vinte, cominci a fare soltanto le cause perse.
Molti mi avranno già inteso esporre le riflessioni che seguono ma penso che rifletterci ogni tanto e confrontare le diverse esperienze non faccia mai male. In fondo gli anniversari servono proprio a questo: a voltarsi un attimo indietro per vedere a che punto siamo arrivati.
Però guai a fermarsi: bisogna subito riprendere a guardare avanti per ricominciare a correre.
Ad maiora!

A come ASSISTITI

Ogni generazione di praticanti è stata perseguitata da assistiti “topici”: il dossier C. non dirà nulla a quelli che trattarono il caso P., così come i libretti di risparmio di M.G. non saranno noti ai cultori dell’epopea B.; le vicissitudini di C.P. lasceranno indifferenti chi ebbe a che fare con la F.C., così come le paranoie della Sig.ra B. non interesseranno più di tanto coloro che si scontrarono con il caso C.
Mai consigliare due volte al cliente di transigere la causa: una volta basta, altrimenti penserà che ti sei messo d’accordo con la controparte. Meglio limitarsi a fare il proprio diligente compitino. Alla fine saranno tutti più contenti: la controparte che ha vinto la causa, il cliente che darà la colpa all’avvocato e tu che potrai chiedere un congruo onorario (v. le eccezioni alla voce O come ONORARI).
Ricordarsi sempre: i colleghi restano, i clienti passano (a volte, però, ritornano).

B come BISOGNI CORPORALI

Una volta il consiglio dell’ordine disse al presidente del tribunale che i gabinetti senza la carta igienica erano un’indecenza ed il presidente rispose: “Avete proprio ragione, farò provvedere immediatamente”.
Fu così che vennero chiusi i gabinetti.

C come COPIE

Trentacinque anni fa le fotocopie erano ai primordi: negli studi avevamo dei trabiccoli con due fessure sovrapposte, nella superiore delle quali si inserivano gli originali e nella inferiore dei fogli di carta sensibile.
Se andava tutto bene, si recuperavano il primo in un raccoglitore superiore ed il secondo in uno inferiore. Se andava storta la copia, poco male, si buttava via e si rifaceva. Se andava storto l’originale, erano cazzi: molti, in crisi mistica, invocavano la madonna; altri bussavano alla porta dei conventi per un periodo di meditazione; come minimo toccava precettare la mamma per stirare la fisarmonica che ne era uscita.
La mancanza di fotocopiatrici comportava tutta una serie di cose oggi impensabili: ad esempio, quando si depositava un decreto ingiuntivo, bisognava anche compilare le copie, con tanto di autentica che poi il cancelliere firmava; gli spogli dei processi penali o le copie dei verbali venivano fatte mediante copiatura a macchina da parte del personale di cancelleria, di pomeriggio, fuori orario d’ufficio (v. anche: V come VELINA). Un altro mondo.

D come DOMINUS

Il dominus per il praticante è come la mamma, è il demiurgo che ti forgia, è quello che ti dice che cosa devi fare, quando lo devi fare, come lo devi fare. Il dominus è quello che ti manda in udienza dicendo “deducono loro, chiedi termine” e invece ti ritrovi in udienza che tutti aspettano di sapere quello che fai tu; il dominus è quello che si incazza quando hai fatto male e mugugna quando hai fatto bene. Guai a cambiare una parola delle formule da lui usate: le ha collaudate prima di lui il suo dominus (tuo nonno-di-pratica) ed il dominus del suo dominus (tuo bisnonno-di-pratica) e così risalendo l’albero genealogico fino a Bartolo da Sassoferrato; una parola in più o in meno o messa in un altro posto può far perdere la causa o provocare chissà quali eccezioni.
Ripenso con terrore alla prima causa impostata senza la supervisione del dominus, ma ricordo anche con soddisfazione la prima causa vinta da solo: ero fiero di essere riuscito a far prevalere quella cosa inesistente che tutti chiamano Giustizia (scusate il termine). In realtà, per l’avvocato (e per tutti), la Giustizia trionfa solo quando le cause le vince lui; se la sentenza gli dà torto, è profondamente ingiusta ed il giudice non ha capito niente. La conclusione è che non esiste la Giustizia (con la G maiuscola), ma solo la giustizia (con la G minuscola), che si identifica con quello che si legge dopo P.Q.M. (v. G come GIUDICE).

E come ELEZIONI

L’avvocato è molto attirato dalle elezioni, da quelle amministrative a quelle del consiglio dell’ordine, da quelle delle associazioni di volontariato a quelle della camera arbitrale, da quelle del club alpino italiano a quelle del condominio.
Pochi le hanno affrontate tutte.
Solo uno è riuscito ad essere eletto in tutte.

F come FORTUNA

L’avvocato ha la fortuna (non concessa a tutti) di poter lavorare anche quando sta male, di non essere costretto ad andare in pensione, di poter trapassare a miglior vita seduto alla propria scrivania (v. anche O come ONORARI): lo dimostra il consiglio dell’ordine che premia gli avvocati con cinquanta anni di servizio (mica è l’INPS)!
Durante i primi dieci anni di professione pensavo di cambiare mestiere almeno dieci volte al giorno (quando litigavo col cliente, coi giudici, con gli avversari, quando facevo le dichiarazioni dell’IVA, il 740, il 770, il 309, quando mi svegliavo di notte perché avevo sognato la guardia di finanza, quando mi era scaduto il termine perché avevo sbagliato i conti, quando mi dimenticavo un’udienza, quando avevo notificato un atto senza firma, quando un cliente non pagava, quando c’era da comprare le marche da bollo, quando veniva il lunedì, quando finivano le ferie, quando dovevo andare in Ancona, e via smadonnando). Il mestiere più ambito era la guardia forestale: pensare di essere isolato dalla neve con l’unica preoccupazione di dover portare da mangiare ai daini era troppo bello per essere vero. Infatti mi sono rassegnato quando gli agenti della guardia forestale hanno cominciato ad essere utilizzati come agenti di polizia giudiziaria per verificare gli scarichi abusivi di mondezza.
Però l’avvocato ha anche la fortuna di poter rimanere veramente libero e di non dover scendere a compromessi con la propria coscienza, sempre che abbia la volontà di farlo e la forza per ottenerlo.

G come GIUDICI

Un aforisma molto conosciuto in ambiente forense narra di quel vecchio avvocato che, rivolgendosi al giovane che si accinge ad iniziare la pratica, gli dice: “Figliolo, se sai scrivere ma non sai parlare, fai il civilista, se sai parlare ma non sai scrivere, fai il penalista; se non sai né parlare né scrivere, fai il giudice”.
Il giudice detiene un potere enorme, essendo l’unico fabbricante di giustizia: la giustizia, infatti, altro non è che quello che, nelle sentenze, viene dopo il P.Q.M. (v. F come FORTUNA).
Non vedo l’ora di andare in pensione per poter fare il giudice di pace: così potrò dare ragione a chi ha torto e torto a chi ha ragione. Pensate che soddisfazione: “Tu hai ragione? Ti condanno! Tu hai torto? Hai vinto la causa!”
Però sempre con compensazione parziale delle spese. Perché? Perché sono il Giudice, no?

H come HI-TECH

Cominciò con un’Olivetti manuale a doppio carrello acquistata da un fallimento. Poi vennero le elettriche Olympia, le Olivetti Editor 3 e 4 e la mitica Lexicon con la pallina (resa tri-stemente nota dalle brigate rosse al tempo del rapimento Moro). Delle fotocopiatrici ho già detto (vedi C come Copie). Le calcolatrici manuali avevano la manovella che dovevano essere abbassate ad ogni cifra; le prime calcolatrici elettriche, quando facevano una moltiplicazione, assomigliavano al passaggio del treno.
Poi fu la volta dell’elettronica e la vita cambiò: non più veline (v.), non più gomme rotonde per cancellare gli errori di battitura, non più fogli da bollo sprecati. Via i grossi volumi di giurisprudenza, che ora sta tutta in un dischetto (le ricerche giurisprudenziali, che prima nessuno voleva fare, sono diventate perfino piacevoli). Via le schede di aggiornamento delle Leggi d’Italia, incubo e dannazione di segretarie e praticanti.
Ora, appena si arriva alla mattina, si fa una carezza a quell’aggeggio infernale che pare un televisore (ma televisore non è), tentando di ingraziarselo, nella recondita speranza che tutto funzioni bene. Sennò son cazzi.

I come IN VIAGGIO PER ANCONA

Trentacinque anni fa non c’era la superstrada (che ti permette di arrivare in appena 45-60 minuti): per andare in Ancona, si seguiva la direttrice Jesi-Chiaravalle-Ancona (con la quale si arrivava in ben 30-35 minuti).
Si partiva da Jesi e, tanto per incominciare, in fondo al Viale della Vittoria si doveva imboccare Via Ancona, in quanto Viale del Lavoro non esisteva, si costeggiava l’ex aeroporto (la ZIPA era di là da venire ed il suo ruolo era svolto dal Montirozzo) e, dopo aver passato la villa Balleani a velocità sostenuta (la Polizia era dall’altra parte, sul piccolo piazzale della villa, e preoccupava solo al ritorno), si superava la Rusticanella ed il “passo” di Monsano, per poi lanciare la macchina sul rettilineo di Chiaravalle. Quivi giunti, si doveva scegliere se “passare per Castelferretti” (per evitare il passaggio a livello di Falconara) o attraversare Chiaravalle: generalmente si sceglieva quest’ultima soluzione e si imboccava il Corso Matteotti (praticabile in ambedue i sensi) per poi percorrere con pru-denza (a causa della presenza della Polizia) il rettilineo della Manifattura. Poi, annunciati da un bel viale di platani, apparivano come per incanto la Rocca ed il mare; dopo il ponte sul fiume Esino, si passava davanti all’API e ci si fermava al passaggio a livello (regolarmente chiuso); se non si era perso molto tempo, ci si poteva fermare per un caffè da Bedetti, al centro di Falconara, e poi, col mare sulla sinistra, si arrivava a Torrette (ante frana) ed infine in Ancona. Al ritorno era la stessa cosa con sensazioni invertite; anche con la fame dell’ora di pranzo e contrariamente a quello che succede ora, i minuti trascorsi per strada erano più rilassanti ed il ritorno a casa molto più piacevole.
Un giorno in cui vi troverete nello spirito giusto, magari al ritorno dal Tribunale, provate a ripercorrere quella strada: non impiegherete più tempo e godrete di un’incredibile sensazione di ritorno al passato. Più che un viaggio nello spazio, un viaggio nel tempo.

L come LO GIURO

1975: “Giuri di dire la verità null’altro che la verità, dica lo giuro”.
1990: “Consapevole della responsabilità che col giuramento assume davanti a Dio, se credente, e davanti agli uomini, giuri di dire la verità null’altro che la verità, dica lo giuro”.
2000: “Lei si deve imbegnare a dire la veridà, dica m’imbegno”.
Come dire: chi dice le bugie va all’inferno.

M come MALATTIE PROFESSIONALI

Qualcuno dovrebbe battersi perché il mal di fegato sia riconosciuto come malattia professionale.
L’avvocato è sempre nero, non per la toga né per l’abbronzatura ma per le incazzature: non posso fare a meno di pensare sempre all’ironia di uno come me, al quale non ha mai importato niente degli affari degli altri, che si ritrova a fare un mestiere che consiste nel prendersi gli affari degli altri. Se Dante avesse preso in considerazione gli avvocati, della cosa avrebbe fatto il loro contrappasso!
Un giorno chiesi al dottore se avesse qualche medicina per eliminare il giramento di zebedei. Il dottore mi rispose di prendermi tre mesi di ferie. Per quanto possibile, ho sempre seguito il consiglio, naturalmente non per tre mesi ma almeno il mese di agosto (visto che non c’è alternativa). E funziona: almeno per qualche settimana il numero dei giri diminuisce. Lo dimostra il fatto che, al ritorno dalle ferie, auguro buon anno a tutti.

N come NAPOLI

Fu lì che sostenni gli esami da procuratore. Ero sottotenente di commissariato militare (leggi: imboscato) e avevo voglia di due giorni di ferie, così feci domanda per sostenere l’esame: fui ammesso all’orale e lo superai nonostante fossi stato sottoposto per un’intera mezz’ora a domande di diritto tributario sulle tasse comunali (tassa sui cani, tassa sui cimiteri, e via ignorando). Il presidente di commissione, il mitico Prof. Tesauro, non mi mandò via a calci perché, evidentemente, gli avevo fatto pena.
Qualche tempo più tardi pensavo ancora che si fosse sbagliato e mi chiedesse indietro l’attestato di conferimento del titolo che, prudentemente, avevo ingoiato.

O come ONORARI

Punto dolente della professione di avvocato: per te saranno sempre pochi, per il cliente saranno sempre troppi.
Trentacinque anni fa, appena iniziata la professione, non sapevo neanche che cosa fossero; quando mi sposai (quattro anni dopo), l’unico guadagno era lo stipendio da insegnante. Ora passo il periodo fra capodanno e l’epifania di ogni anno ad archiviare le pratiche per le quali è ormai impossibile sperare ancora di essere pagato. Almeno evito di incazzarmi ulteriormente vedendomele davanti (v. M come MALATTIE PROFESSIONALI).
Allora si diceva che l’avvocato lavora dieci anni per gli altri, dieci anni per se e gli ultimi dieci anni fa l’avvocato. Ora ad ogni fase bisogna aggiungere almeno altri dieci anni. A novant’anni ti troveranno con la fronte appoggiata alla scrivania e penseranno che ti sei addormentato. Invece sarai morto. Sul posto di lavoro.

P come PRETURA

La Pretura di Jesi era una famiglia: i colleghi erano non più di 18 (e molti esercitano ancora); i pretori amministravano la giustizia da buoni padri di famiglia e le udienze penali erano l’occasione per passare una piacevole, istruttiva giornata a fare il pubblico ministero chiedendo il minimo della pena con i benefici di legge (a meno che qualche collega difensore, per fare bella figura, non ti chiedesse di fare richieste più severe).
Venticinque anni fa a Jesi c’era ancora il carcere ed erano micidiali gli interrogatori, alle ore 12, col profumo degli spaghetti al sugo. Poi sono venuti gli “arrosti” domiciliari.
I cancellieri erano della massima disponibilità e prodighi di consigli verso i giovani procuratori.
L’inizio della fine fu il diluvio degli scivolamenti e dei prepensionamenti, con i cancellieri diventati solamente esattori di bolli ed i giudici sempre più intrattabili. Il terremoto delle sezioni distaccate (della pretura circondariale prima e del tribunale poi) ha messo la parola fine ad una delle più gloriose istituzioni giudiziarie italiane.
Nella bufera, solo gli ufficiali giudiziari sono rimasti sempre coerenti con se stessi. Generazioni di praticanti sono là a testimoniarlo.

Q come QUATTROCENTOLIRE

Quattrocento lire era il costo la carta da bollo trentacinque anni fa. Ora costa 14,62 euro: un aumento del 7077%, quasi tutto concentrato in questi ultimi anni. Chissà dove arriveremo.
Per rendersi conto della considerazione in cui sono tenuti gli avvocati, basti pensare che, alle proteste dell’ordine perché le marche da bollo per gli atti giudiziari avevano pareggiato il costo di quelle per gli atti amministrativi (che, fino ad allora, erano sempre state di valore pressoché doppio), il ministero rispose che, se la giustizia è cara, non è certo per colpa delle marche (sottinteso: è colpa degli avvocati).
Comunque, se può consolarvi, pensate che negli Stati Uniti (d’America) la considerazione di cui godono gli avvocati è migliore solo di quella dei venditori di auto usate!
Trentacinque anni fa non si potevano usare le marche e quando si sbagliavano gli atti (anche a 400 lire) erano cazzi acidi, quasi quanto quelli degli originali incastrati nella fotocopiatrice (vedi C come COPIE) o quelli della carta carbone a rovescio (vedi V come VELINE) o quelli del fermo del computer (vedi H come HI-TECH).
Ma c’erano anche tanti altri balzelli: chi si ricorda ancora delle marche “Cicerone” per la cassa previdenza degli avvocati, da 3000 lire (per le cause in Pretura) in su? E della “chiamata di causa” che si doveva pagare all’ufficiale giudiziario? E della bollatura dei documenti (una marca da bollo per ogni documento prodotto in corso di causa). E delle 5000 lire per la “toga” che, in alcuni uffici, vengono ancora esatte da impuniti aiutanti uscieri?
Ora tutti i balzelli sono stati sostituiti da un unico balzellone all’inizio della causa. Ma non abbiate timore: a poco a poco ci stiamo accorgendo che molte cose non vi sono comprese (gli 8 euro per le fantomatiche notifiche) e stiamo ricominciando tutto da capo.
Che tristezza.

R come RITENUTO IMPUGNATIVAMENTE

Espressione gergale dell’avvocato civilista che non serve a niente ma che, appesantendo il periodare, fanno molto colpo su chi legge (finché non si stufa e non legge più niente).
Al pari di altre espressioni (quali: salvis iuribus, si opus, de visu, post hoc ergo propter hoc, id quod plerumque accidit, ecc.) potrebbero essere sostituite da espressioni più accessibili all’attuale livello culturale medio. Ad esempio, col collo torto (obtorto collo), tiratevi su con la corda (sursum corda), riferirò a Renata (relata refero), e via cazzeggiando.

S come STUDIO

Il mio primo studio lo misi su “fuori città” (era al Viale della Vittoria), dentro casa dei miei genitori, sconvolgendone la vita. Mai più commetterei tale errore: mentre mi radevo la barba alla mattina, già c’erano clienti che suonavano alla porta!
Il secondo studio mi è rimasto nel cuore: davanti a Bardi ero al centro del centro ed ero informato di tutto.
Del terzo posso dire che, fra andata e ritorno, per andare nell’ex pretura si fanno due chilometri. Nessuno potrà dire che l’avvocato fa una vita sedentaria!
Però ora, nel Corso di serie C (quello di serie A finisce alle Grazie; quello di serie B finisce da Ciro), sono isolato dal resto del mondo. E’ per questo che mi ero dedicato alla politica (v. E come ELEZIONI).

T come TRIBUNALE

Trentacinque anni fa il Tribunale era terremotato. Come ora, era popolato di spostasti, fossero essi avvocati, giudici, cancellieri o uscieri; a chi glielo faceva osservare l’allora presidente rispondeva: “Ma fiòlo mio, cusa ce posso fa’ se me mandano tutti matti?!”
Un esempio? Leggete il capo di imputazione che segue: “Corte d’Appello di Ancona – Imputato del delitto di cui all’art. 341 2° e 4° co. c.p. per aver offeso con scritto a lui diretto, a causa e nell’esercizio delle sue funzioni, il prestigio del dirigente di cancelleria della Pretura, minacciandogli ‘2.471.250 bastonate sulla testa’, con riferimento al debito di pari importo verso lo Stato, per il quale gli era stato notificato precetto, che rimetteva lacerato al fun-zionario. Con la recidiva specifica reiterata nel quinquennio”.
Grandioso.

U come URGENTE

Dopo trentacinque anni di scadenze, di cause che durano decenni, di termini perentori per gli avvocati e canzonatori per i giudici, non posso che dare ragione a quei grandi filosofi che sono i napoletani. C’è una sola cosa urgente: la cacata!

V come VELINA

La mancanza di fotocopiatrici (v. C come COPIE) comportava tutta una serie di operazioni oggi impensabili. La “velina” (termine impropriamente ancora in uso per indicare belle gnocche che ballano sopra i tavoli) regnava sovrana: si inserivano sotto la macchina per scrivere i fogli di bollo necessari per le notifiche, oltre a varie veline (per l’avversario, per lo studio, per l’ufficio, ecc.), tutti rigorosamente intercalati dalla carta carbone; l’ultima velina era praticamente illeggibile; per tacere di quando si dovevano cancellare gli errori di battitura su tutte le copie.
Le scene peggiori avvenivano quando ti dimenticavi di mettere una o più veline, oppure mettevi la carta carbone a rovescio: quasi si raggiungevano i livelli degli originali a fisarmonica dentro la fotocopiatrice (v. C come COPIE)

Z come ZZZ

“Indicazione grafica con cui si rappresenta il sibilo ronzante di una persona che russa” (vocabolario Treccani).
Se non vi siete addormentati fino ad ora, vuol dire che è ora che fate un salto al centro di igiene mentale (che, tra l’altro, si trova qui vicino al mio studio): una cura del sonno non ha mai fatto male a nessuno.
Ad maiora, siempre.

Paolo Marcozzi


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


2 commenti:

  1. Davide Zurlini

    complimenti, è decalogo da esporre non dico nei tribunali, ma quantomeno nei consigli dell’ordine.
    Complimenti ancora

  2. Stefania Carlini

    Non sono avvocato, ne niente di simile o correlato agli avvocati, mi posso connotare solo con A come Assistiti.
    Questo del commento è il pretesto per ringraziarti di esistere.
    Ora vado a fare il famoso salto all’istituto di igiene mentale.
    Ancora grazie



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