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Talvolta le motivazioni delle sentenze sono incredibili. Se poi si tratta di una sentenza resa da una delle Corte d’appello più autorevoli d’Italia, cioè quella di Roma, si rimane basiti.
Ebbene, nella sentenza cassata dalla Suprema Corte (27574/2017), si legge che la CTU medica non era stata ammessa per i seguenti (inconsistenti) motivi:
- l’attore non aveva prodotto perizie giurate
- i medici che avevano redatto i certificati erano “privati”
- la perizia era stata prodotta in fotocopia
Ci vuole davvero coraggio per scrivere certe cose. Inevitabile la cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 4, per violazione dell’art. 132, secondo comma n. 4.
Bravo il Collega del ricorrente che ha saputo censurare correttamente detta pronuncia. Secondo un risalente e consolidato orientamento della Corte, affermatosi anteriormente alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (operata con D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134), in caso di richiesta di una consulenza tecnica di ufficio, laddove questa risulti l’unico possibile mezzo di accertamento e/o di valutazione sul piano tecnico dei fatti allegati dalla parte, la sentenza che si limiti a rigettare la richiesta con l’affermazione che i fatti in questione devono essere provati dalla parte che li allega è viziata sul piano della motivazione (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1618 del 23/02/1985, Rv. 439600 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 4472 del 15/05/1987, Rv. 453187 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 10938 del 09/12/1996, Rv. 501127 – 01; Sez. L, Sentenza n. 4927 del 10/03/2004, Rv. 570955 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 4853 del 01/03/2007, Rv. 595177 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10007 del 16/04/2008, Rv. 603465 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 72 del 03/01/2011, Rv. 615839 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 20695 del 10/09/2013, Rv. 627911 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 1190 del 22/01/2015, Rv. 633974 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17399 del 01/09/2015, Rv. 636775 – 01).
Rimane però un dubbio. La sentenza è stata cassata in base al n. 5 o in base al n. 4?
Purtroppo non è ancora stata fatta sufficiente chiarezza se in casi come questi si debba far valere la nullità del procedimento oppure l’omissione del fatto. Nè la sentenza sembra di aiuto; leggiamo infatti che: “Dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si è affermato che in siffatta situazione sussisterebbe comunque il vizio indicato nella nuova formulazione della disposizione, se il rigetto dell’istanza probatoria si risolva nell’omesso esame di uno specifico fatto storico, decisivo e controverso, ovvero laddove esso sia fondato su motivazione apparente o perplessa, di modo che resti preclusa alla parte la possibilità di assolvere l’onere probatorio su lei gravante”.
In pratica, a seconda dei casi tanto il n. 4, quanto il n. 5.
Nel dubbio si censurino entrambi (ma in via alternativa, non cumulativa).
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 25380 dell’anno 2014, proposto da:
B.R., (C.F.: (OMISSIS));
U.C., (C.F.: (OMISSIS));
B.S., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentati difesi, giusta
procura a margine del ricorso, dall’avvocato Luigi Mancini (C.F.:
(OMISSIS)));
– ricorrenti –
nei confronti di:
ISTITUTO FIGLIE DEL DIVINO ZELO SCUOLA “ANNIBALE MARIA DI FRANCIA”
(P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,
Suor S.N. rappresentata e difesa, giusta procura in
calce al controricorso, dall’avvocato Tommaso Spinelli Giordano
(C.F.: (OMISSIS));
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n.
3444/2014, pubblicata in data 22 maggio 2014;
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 25
ottobre 2017 dal Consigliere TATANGELO Augusto.
FATTI DI CAUSA
B.R. e U.C., in proprio e quali genitori legali rappresentanti del figlio minore B.S., hanno agito in giudizio nei confronti dell’Istituto Figlie del Divino Zelo “Scuola Annibale Maria di Francia” per ottenere il risarcimento dei danni subiti da quest’ultimo in conseguenza di un incidente avvenuto durante l’orario scolastico.
La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Roma.
La Corte di Appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorrono B.R., U.C. e B.S. (che ha raggiunto la maggiore età in corso di giudizio), sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso l’Istituto Figlie del Divino Zelo “Scuola Annibale Maria di Francia”.
Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 – bis c.p.c., comma 1.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., comma 1.
Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “nullità del procedimento e della sentenza – per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – in punto di mancata ammissione della CTU medico legale ritualmente richiesta dagli attori/appellanti, per essere la relativa motivazione del tutto mancante, quanto a uno degli accertamenti che il CTU avrebbe dovuto effettuare (volto a stabilire la durata della inabilità temporanea conseguente alle lesioni) e meramente apparente, perchè manifestamente incoerente, illogica e contraddittoria, quanto agli altri accertamenti (volti a stabilire la sussistenza o meno di postumi permanenti; l’opportunità o meno di sottoporre il minore infortunato a un intervento riparatore di chirurgia plastica, al fine di eliminare o attenuare il danno fisiognomico e i costi di tale eventuale intervento), stante la totale assenza di un ragionamento atto a manifestare il fondamento logico giuridico della decisione: vizio che emerge dal testo della sentenza impugnata; ciò, mentre la CTU costituiva, nel caso in esame, l’unico possibile mezzo per accertare i fatti suddetti, determinanti ai fini della decisione”.
Con il secondo motivo si denunzia “nullità del procedimento e della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul capo della domanda formulata dagli attori in primo grado – che era stata integralmente riproposta in grado di appello – con la quale essi, in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore, avevano chiesto il risarcimento del “danno biologico da invalidità temporanea” e del “danno morale””.
I due motivi del ricorso sono connessi, e possono quindi essere esaminati congiuntamente.
Essi sono fondati.
I ricorrenti lamentano che la corte di appello, dopo avere espressamente affermato la responsabilità dell’istituto convenuto per l’incidente occorso al piccolo B.S. durante l’orario scolastico, e di fronte alla allegazione di un conseguente danno biologico permanente, oltre che di un danno morale e di un danno da invalidità temporanea, pur avendo dato atto che era stato dimostrato che questi aveva subito una operazione chirurgica presso la struttura ospedaliera pubblica dove era stato ricoverato in occasione del fatto (nel corso della quale gli era stata praticata la sutura a strati della ferita lacero contusa riportata, in anestesia locale), non ha ritenuto di prendere neanche in esame le due relazioni mediche prodotte (nelle quali si dava atto dei postumi permanenti residuati, sia estetici che funzionali, e si indicava la necessità di una operazione di chirurgia plastica per eliminare almeno il danno estetico), sulla base di motivi del tutto incongrui (e cioè la mancanza della asseverazione con giuramento di dette relazioni, redatte da medici “privati”, e il fatto che una di esse fosse stata prodotta solo in copia fotostatica, pur in mancanza di contestazioni sulla sua conformità all’originale, ai sensi dell’art. 2719 c.c.), ed ha così rigettato la domanda per difetto di prova del (solo) danno biologico permanente, senza valutare le allegazioni e le prove tecniche da essi fornite, mediante una consulenza tecnica di ufficio che pure era stata regolarmente richiesta, e omettendo del tutto di considerare che era stato altresì chiesto il risarcimento del danno da invalidità temporanea e del danno morale.
Orbene, secondo un risalente e consolidato orientamento di questa Corte, affermatosi anteriormente alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (operata con D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134), in caso di richiesta di una consulenza tecnica di ufficio, laddove questa risulti l’unico possibile mezzo di accertamento e/o di valutazione sul piano tecnico dei fatti allegati dalla parte, la sentenza che si limiti a rigettare la richiesta con l’affermazione che i fatti in questione devono essere provati dalla parte che li allega è viziata sul piano della motivazione (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1618 del 23/02/1985, Rv. 439600 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 4472 del 15/05/1987, Rv. 453187 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 10938 del 09/12/1996, Rv. 501127 – 01; Sez. L, Sentenza n. 4927 del 10/03/2004, Rv. 570955 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 4853 del 01/03/2007, Rv. 595177 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10007 del 16/04/2008, Rv. 603465 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 72 del 03/01/2011, Rv. 615839 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 20695 del 10/09/2013, Rv. 627911 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 1190 del 22/01/2015, Rv. 633974 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17399 del 01/09/2015, Rv. 636775 – 01).
Dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si è affermato che in siffatta situazione sussisterebbe comunque il vizio indicato nella nuova formulazione della disposizione, se il rigetto dell’istanza probatoria si risolva nell’omesso esame di uno specifico fatto storico, decisivo e controverso, ovvero laddove esso sia fondato su motivazione apparente o perplessa, di modo che resti preclusa alla parte la possibilità di assolvere l’onere probatorio su lei gravante (cfr., rispettivamente, Cass., Sez. 1 -, Sentenza n. 7472 del 23/03/2017, Rv. 644826 – 02 e Sez. 3, Sentenza n. 12884 del 22/06/2016, Rv. 640419 01).
Nella specie, non vi è dubbio che la consulenza tecnica di ufficio era l’unico mezzo possibile per accertare e valutare il danno permanente che era stato specificamente allegato dagli attori, e finanche da questi documentato con le relazioni mediche prodotte.
La corte di merito, invece, non ha neanche preso in esame e valutato gli elementi di prova documentale forniti a sostegno di tali allegazioni, ritenendo che ciò fosse in radice impedito dal fatto che le predette relazioni non erano asseverate con giuramento, erano redatte da medici “privati” e una di esse era stata prodotta solo in copia fotostatica.
Ma è evidente che tanto la provenienza della certificazione medica da una struttura pubblica quanto la sua asseverazione con giuramento non costituiscono requisiti necessari perchè essa possa essere presa in considerazione quale elemento di prova documentale a sostegno dei fatti allegati che richiedano un accertamento e/o una valutazione di tipo tecnico – scientifico sul piano sanitario, potendo al più incidere sull’attendibilità del suo contenuto, e che la produzione del documento in copia fotostatica, in mancanza di specifiche contestazioni ai sensi dell’art. 2719 c.c. (che nella specie non risultano avanzate), ha la stessa valenza probatoria dell’originale.
Di conseguenza, i giudici di merito non avrebbero potuto del tutto omettere di prendere in esame i documenti prodotti dagli attori (come invece hanno fatto), ma avrebbero al più potuto valutare negativamente la loro efficacia probatoria, all’esito del loro esame. In tale ultimo caso, poi, trattandosi di una situazione in cui l’unico mezzo per accertare e valutare i fatti allegati era effettivamente la consulenza tecnica di ufficio (peraltro espressamente richiesta), avrebbero dovuto certamente disporla, e non avrebbero potuto rigettare la domanda sulla base della constatazione del difetto di prova del danno permanente, perchè in tal modo è stata effettivamente preclusa agli attori la possibilità di assolvere il relativo onere probatorio su di essi gravante.
Inoltre, anche al di là della prova del danno permanente, la sentenza impugnata risulta del tutto priva di motivazione in relazione alla richiesta di risarcimento del danno da invalidità temporanea e del danno morale (il quale ultimo costituisce un pregiudizio non patrimoniale al pari di quello biologico, ma non è ricompreso in quest’ultimo e va liquidato autonomamente: cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20292 del 20/11/2012, Rv. 624502 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 22585 del 03/10/2013, Rv. 628153 – 01; Sez. L, Sentenza n. 9770 del 23/04/2013, Rv. 626209 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1361 del 23/01/2014, Rv. 629364 – 01; Sez. L, Sentenza n. 687 del 15/01/2014, Rv. 629252 – 01; Sez. L, Sentenza n. 21917 del 16/10/2014, Rv. 632667 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11851 del 09/06/2015, Rv. 635701 – 01; Sez. L, Sentenza n. 23793 del 20/11/2015, Rv. 637826 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7766 del 20/04/2016, Rv. 639582 – 01), avanzata dagli attori con l’atto di citazione (le cui conclusioni risultano specificamente trascritte nel primo motivo del ricorso, a pag. 6, laddove si dà atto che erano stati chiesti “i danni tutti subiti e subendi dagli istanti, in proprio e nella qualità… e segnatamente: il danno biologico da invalidità temporanea e da invalidità permanente, il danno fisio – gnomico, il danno morale, oltre al rimborso delle spese mediche sostenute e da sostenere”) e riproposta in sede di appello.
La sentenza impugnata va quindi cassata affinchè in sede di rinvio possa provvedersi a valutare i documenti prodotti dalle parti a sostegno dei fatti allegati (e, in particolare, del danno permanente) e, laddove tali documenti non siano ritenuti sufficienti, possa provvedersi all’accertamento ed alla valutazione delle predette allegazioni mediante una consulenza tecnica di ufficio, e possa altresì prendersi in considerazione la richiesta di risarcimento del danno morale e di quello derivante dall’invalidità temporanea.
3. Il ricorso è accolto.
La sentenza impugnata è cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie il ricorso per quanto di ragione e cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Motivazione Semplificata.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2017
Tutti i miei articoli sul ricorso per cassazione.
La supervisione del ricorso per cassazione.
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