Atto di citazione in appello: la mancanza degli avvertimenti di cui all’art. 163 n. 7 c.p.c. non produce nullità.

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Alla fine le S.U. optano per la ragionevolezzanell’atto di citazione in appello notificato al procuratore non determina nullità la mancanza degli avvertimenti di cui al n. 163 n. 7 c.p.c. Questi, in sintesi, gli argomenti:

  • costituisce principio generale dell’ordinamento la conoscenza delle leggi, anche quelle processuali;
  • gli “avvertimenti” rappresentano pertanto eccezioni, tanto ciò è vero che nessun avvertimento è previsto per il ricorso in materia di lavoro (art. 414), né per la citazione avanti al giudice di pace;
  • se il legislatore ritiene che occorra rafforzare la consapevolezza di una regola processuale con un “avvertimento”, il contenuto di quest’ultimo, proprio per la finalità perseguita dalla prescrizione, non può che essere quello testualmente recato dalla prescrizione stessa piuttosto che quello risultante all’esito di un’attività interpretativa;
  • diversamente, la parte sarebbe costretta a completare le norme in via di interpretazione analogica;
  • l’art. 342 c.p.c., sia nella formulazione sostituita dall’art. 50 legge 26 novembre 1990 n. 353, sia in quella novellata dall’art. 54, comma 1, lett. 0a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, richiede sì che l’appello, proposto con citazione, contenga le indicazioni prescritte dall’art. 163 c.p.c., ma senza riformulare né riadattare l’onere dello specifico avvertimento di cui al n. 7 del terzo comma di tale ultima disposizione;
  • il carattere speciale e derogatorio della prescrizione che reca l’onere dell’avvertimento comporta che anche per l’appello avrebbe dovuto esserci un’espressa previsione analoga a quella prevista per il giudizio di primo grado;
  • anche perché l’onere di formulare l’appello incidentale e di riproporre eccezioni e questioni non accolte, è tipico del giudizio di gravame, e mal si concilia con le decadenze del giudizio di primo grado;
  • vi è poi la ratio della norma che è ben presente nell’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c., ma che non sarebbe parallelamente rinvenibile, negli stessi termini, nell’art. 342 c.p.c., in quanto l’atto di appello viene notificato al procuratore, e comunque anche in caso di appellato contumace non è possibile paragonare le situazioni.

Le S.U. hanno così affermato il seguente principio: “L’art. 342 c.p.c. – che, nel testo (applicabile ratione temporis) quale sostituito dall’art. 50 legge 26 novembre 1990, n. 353, e prima dell’ulteriore modifica di cui all’art. 54, comma 1, lett. 0a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, prevede che l’appello si propone con citazione che deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell’impugnazione, nonché “le indicazioni prescritte nell’art. 163” – non richiede altresì che, in ragione del richiamo di tale ultima disposizione, l’atto d’appello debba contenere anche lo specifico avvertimento, prescritto dal n. 7 del terzo comma dell’art. 163 c.p.c., che la costituzione oltre i termini di legge implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., atteso che queste ultime si riferiscono solo al regime delle decadenze nel giudizio di primo grado e non è possibile, in mancanza di un’espressa previsione di legge, estendere la prescrizione di tale avvertimento alle decadenze che in appello comporta la mancata tempestiva costituzione della parte appellata”.

 

 Corte di Cassazione, sez. Unite Civili

sentenza 4 dicembre 2012 – 18 aprile 2013, n. 9407

Presidente Preden – Relatore Amoroso

Svolgimento del processo

1. Con atto di citazione notificato il 28.02.2002, la Curatela del fallimento del Gruppo Sarplast spa conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Siracusa la società Tradex Colori s.r.l., esponendo che la società fallita aveva effettuato diversi pagamenti in favore della convenuta per un importo complessivo di L. 1.042.555.147 (pari ad Euro 538.434,80) (di cui alcuni nell’anno antecedente all’ammissione della Tradex Colori s.r.l. alla procedura di amministrazione controllata, altri durante la procedura suddetta ed altri ancora durante la successiva procedura di concordato preventivo) e chiedendo la revoca ai sensi dell’art. 67 legge fallimentare dei pagamenti effettuati nell’anno antecedente all’ammissione della Tradex Colori s.r.l. alla procedura di amministrazione controllata nonché la declaratoria di inefficacia di quelli effettuati nel corso delle due procedure concorsuali suddette, ai sensi degli artt. 167 e 188 legge fallimentare ed in subordine la revoca degli stessi ai sensi dell’art. 67 legge fallimentare.

Con sentenza n.1074 del 14/22.07.2008, il Tribunale di Siracusa, in parziale accoglimento delle domande attrici, dichiarava, nel contraddittorio delle parti, la inefficacia nei confronti della massa dei creditori dei pagamenti (pari alla somma di L. 8.743.250, equivalenti ad Euro 4.515,51) effettuati nel corso della procedura di amministrazione controllata per debiti contratti anteriormente alla stessa e dei pagamenti (pari alla somma di L. 224,926.284, equivalenti ad Euro 116.164,73) effettuati nel corso della procedura di concordato preventivo; condannava, quindi, la società convenuta al pagamento di tali somme con gli interessi legali; rigettava nel resto le domande attrici e compensava per intero le spese giudiziali.

2. Con sentenza del 15.01-31.05.2010, la Corte di appello di Catania, dichiarata la contumacia della Curatela fallimentare del Gruppo Sarplast s.p.a., in parziale riforma della sentenza di primo grado, appellata dalla Tradex Colori s.r.l. (con atto notificato il 12.02.2009) rigettava la domanda della curatela relativa alla declaratoria d’inefficacia dei pagamenti eseguiti dalla società Tradex Colori nel corso della procedura di concordato preventivo, ad eccezione di quello effettuato il 29.07.1996.

3. Avverso questa sentenza la curatela fallimentare del gruppo Sar.Plast S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo illustrato da memoria, e notificato il 4.02.2011.

La intimata Tradex Colori S.r.l.. L’Azelis Italia S.r.l., quale società incorporante l’intimata, ha resistito con controricorso notificato il 1.03.2011.

4. La Prima Sezione di questa Corte, innanzi alla quale inizialmente è stata chiamata la causa, ha pronunciato l’ordinanza interlocutoria del 26 marzo 2012, n. 4778, con cui – ravvisando un contrasto di giurisprudenza in ordine alla questione di diritto posta dalla società ricorrente con il suo unico motivo di ricorso – ha investito le Sezioni unite della Corte.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso la Curatela fallimentare denunzia “violazione e falsa applicazione del combinato disposto dagli artt. 342 c.p.c., nel testo successivo alla riforma di cui alla l. n. 353 del 1990, e art. 163 c.p.c., nel testo successivo alla detta riforma; violazione dell’art. 164 c.p.c., nel testo novellato, in relazione all’art. 359 c.p.c; nullità del procedimento”.

La ricorrente deduce che la citazione introduttiva del grado di appello, redatta dalla Tradex Colori, non conteneva anche l’avvertimento, a lei rivolto, che la costituzione oltre il termine di giorni 20 prima dell’udienza fissata comportava le decadenze di cui agli artt. 167 e 343 c.p.c., ma recava solo l’invito a costituirsi in giudizio nei modi e nei termini di legge, con l’avvertimento che in caso di mancata comparizione si sarebbe proceduto in sua contumacia.

Sottolinea la ricorrente che dette omissioni avrebbero dovuto essere rilevate d’ufficio dalla Corte adita, la quale, invece, aveva illegittimamente dichiarato la contumacia della Curatela, non costituitasi, procedendo oltre nel giudizio di impugnazione, poi definito con l’impugnata sentenza.

2. La società controricorrente a sua volta sostiene che era sufficiente l’invito a costituirsi nei modi e nei termini di legge e che comunque, essendo stato l’atto d’appello notificato (non personalmente alla parte appellata ma) al suo procuratore, la sanzione di nullità dell’atto stesso si rivelerebbe sproporzionata, considerato lo scopo sotteso all’avvertimento in relazione alle specifiche competenze professionali del destinatario della notificazione dell’impugnazione.

3. Va premesso che la censura, mossa dalla ricorrente nell’unico motivo di ricorso, non è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c. atteso che da una parte può dirsi in astratto – secondo la prospettazione difensiva della ricorrente – che essa sia riconducibile ad una violazione dei principi regolatori del giusto processo e d’altra parte non è certo manifestamente infondata, come mostra il denunciato contrasto di giurisprudenza sul punto.

4. Il ricorso non è fondato.

5. La questione interpretativa che pone il ricorso all’esame di questa Corte riguarda la portata del richiamo che l’art. 342 c.p.c. fa alle “indicazioni prescritte nell’art. 163” e si focalizza nel quesito se l’atto di appello debba contenere, o no, anche “l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167” con la conseguenza, in caso di inosservanza, della nullità della citazione (ex art. 164 c.p.c.) ove il convenuto in appello non si costituisca in giudizio, come appunto verificatosi nel caso di specie; avvertimento che, in caso di risposta positiva al quesito, va riadattato alle decadenze del giudizio di appello per il quale – prescrive residualmente l’art. 359, primo comma, c.p.c. – si osservano, in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale se non sono incompatibili con le disposizioni/specificamente per il giudizio d’appello.

Segnatamente l’art. 342 c.p.c. – nel testo sostituito dall’art. 50 legge 26 novembre 1990, n. 353, e prima dell’ulteriore modifica apportata recentemente dall’art. 54, comma 1, lett. 0a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134 (testo applicabile nel presente giudizio ratione temporis) – prevede che l’appello si propone con citazione che deve contenere, oltre all’esposizione sommaria dei fatti ed ai motivi specifici dell’impugnazione, in particolare – per quanto rileva al fine dell’esame del denunciato contrasto di giurisprudenza – “le indicazioni prescritte nell’art. 163”. Disposizione quest’ultima che – oltre a definire il contenuto della citazione nei suoi elementi essenziali (l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; i dati identificativi dell’attore e del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono; la determinazione della cosa oggetto della domanda; l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni; l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione; i dati identificativi del procuratore con specificazione della procura) – prescrive in particolare, al n. 7 del terzo comma, nel testo sostituito dall’art. 7 l. 26 novembre 1990, n. 353, alcune indicazioni necessarie per il promuovimento del giudizio (il giorno dell’udienza di comparizione e l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’art. 168-bis); e poi aggiunge: “con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167”. E quindi rispettivamente: a) la decadenza contemplata dall’art. 38 c.p.c. che, nel testo sostituito dall’art. 4 l. 26 novembre 1990, n. 353, prevedeva che l’incompetenza per territorio, fuori dei casi previsti dall’art. 28 c.p.c., era eccepita, a pena di decadenza appunto, nella comparsa di risposta, ed attualmente, nel testo sostituito dall’art. 45, comma 2, legge 18 giugno 2009, n. 69, prevede che l’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza appunto, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata; b) le decadenze contemplate dall’art. 167 c.p.c. che, nel testo modificato dall’art. 23, lett. b-ter), d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con mod., dalla l. 14 maggio 2005, n. 80, prescrive che il convenuto, nella comparsa di risposta, deve, a pena di decadenza appunto, proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio.

Nella formulazione sostituita dalla citata novella del 2012 è ancora prescritto che l’appello si propone con citazione “contenente le indicazioni prescritte dall’art. 163”. È mutato invece il contenuto dell’atto di citazione quanto all’esposizione dei motivi dell’appello, che ora deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, nonché l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Ma questo diverso e particolare rilievo dato alla motivazione dell’appello non incide sulla portata del richiamo delle “indicazioni prescritte dall’art. 163” sicché la questione interpretativa in ordine alla quale è insorto il contrasto di giurisprudenza si pone negli stessi termini.

In passato invece, prima della riforma del 1950, in luogo di questo avvertimento l’originario n. 7 del terzo comma dell’art. 163 c.p.c. prescriveva “l’esplicita avvertenza [al convenuto] che, non costituendosi, sarà proceduto in sua contumacia”.

Il successivo art. 164 c.p.c., che disciplina i casi di nullità della citazione, prevede espressamente, al primo comma, nel testo sostituito dall’art. 9 l. 26 novembre 1990, n. 353, che la citazione è nulla, tra l’altro, se manca l’avvertimento previsto dal n. 7 dell’art. 163. In tal caso, se il convenuto non si costituisce in giudizio, il giudice, rilevata la nullità della citazione, ne dispone d’ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio. Se invece il convenuto si costituisce e deduce la mancanza dell’avvertimento previsto dal n. 7 dell’art. 163 c.p.c., il giudice fissa una nuova udienza.

L’art. 342 nel richiamare le “indicazioni prescritte nell’art. 163” richiederebbe – secondo la tesi della difesa della società ricorrente – che l’atto d’appello contenga anche l’avvertimento prescritto dal n. 7 del terzo comma di tale ultima disposizione in ordine alle decadenze conseguenti alla tardiva costituzione in giudizio con la conseguenza delle nullità dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione, sancita dall’art. 164 c.p.c in caso di mancata costituzione dell’appellato; disposizione applicabile al giudizio d’appello in ragione del generale rinvio fatto dal citato art. 359, primo comma, c.p.c..

Può subito notarsi – nel porre la questione oggetto del contrasto di giurisprudenza – che la necessità di dover adattare tale “avvertimento” al giudizio di appello, nel senso che le decadenze di cui è avvertita la parte appellata per l’ipotesi della tardiva o mancata costituzione non sono certo quelle previste dagli artt. 38 e 167 c.p.c. che riguardano solo il giudizio di primo grado, ma sono “altre”, già mostra quanto più difficile sia il percorso interpretativo per pervenire ad una risposta affermativa al quesito suddetto con il corollario della predicata nullità della citazione in appello priva di tale avvertimento, così come sostenuto dalla difesa della società ricorrente.

6. In ordine all’interpretazione dell’art. 342 c.p.c. si fronteggiano in giurisprudenza due orientamenti dei quali si viene ora a dire, non senza aver innanzi tutto rilevato che la questione interpretativa come sopra posta, è sorta solo a seguito della riforma al codice di rito contenuta nella l. 26 novembre 1990, n. 353, che in particolare (agli artt. 7 e 9) ha introdotto, nel n. 7 del terzo comma dell’art. 163 c.p.c., “l’avvertimento” in esame ed ha sanzionato la sua omissione con la nullità della citazione (art. 164, primo comma, c.p.c.).

In precedenza invece l’eventuale omissione dell'”avvertenza” prescritta dallo stesso n. 7 del terzo comma dell’art. 163 c.p.c., nella sua originaria formulazione (ossia l’avvertenza al convenuto che, non costituendosi, si sarebbe proceduto in sua contumacia), non era sanzionata, prima della riforma del 1990, con la nullità della citazione, dall’art. 164 c.p.c. che, all’epoca, la prevedeva solo nel caso di mancanza dei requisiti di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell’art. 163, ma non anche del numero 7.

E la giurisprudenza dell’epoca rifuggiva da un approccio formalistico; cfr. Cass., sez. II, 26 marzo 1971, n. 876, che ha affermato che la vocatio in jus, prescritta dall’ari 163, terzo comma, n. 7, c.p.c. (nella sua originaria formulazione), consistente nell’invito al convenuto a costituirsi entro il termine stabilito dalla legge, con l’avvertenza delle conseguenze derivanti dalla mancata costituzione, pur essendo condizione necessaria perché l’atto di citazione raggiungesse il suo scopo, non richiedeva l’impiego di formule sacramentali; ed ha precisato che, qualora nell’atto di citazione in primo grado, o in appello, fosse mancato un esplicito invito al convenuto (o all’appellato) di costituirsi nei termini di legge, non si aveva nullità della citazione poiché tale omissione non rientrava nei casi previsti dall’art. 164 c.p.c. Cfr. anche Cass., sez. II, 21 marzo 1962, n. 581.

La questione interpretativa, ora all’esame di questa Corte, si è invece posta a seguito della riforma del 1990.

7. Un primo orientamento è quello espresso da Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2007, n. 970, che ha affermato che per effetto delle innovazioni introdotte dalla l. n. 353 del 1990, tra gli elementi che la citazione in appello deve contenere – in virtù del richiamo operato dall’art. 342, primo comma, c.p.c. – vi è anche l’avvertimento di cui all’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c. che la costituzione tardiva implica le conseguenti decadenze, le quali, pur se non possono consistere nelle situazioni previste per il giudizio di primo grado in quanto non vi è luogo in appello per l’applicabilità dell’art. 167 c.p.c., consistono invece nelle decadenze proprie del giudizio di gravame (in particolare con riferimento al diritto di proporre impugnazione incidentale e alla facoltà di riproporre le eccezioni disattese nonché le questioni non accolte o ritenute assorbite nel primo giudizio); ne consegue che, essendo esso posto a garanzia della parte appellata, quando l’atto introduttivo del giudizio d’appello non contiene l’avvertimento che la costituzione tardiva implica le conseguenti decadenze di cui all’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c., il giudice, in mancanza di costituzione dell’appellato, ne dichiara la nullità e ne ordina la rinnovazione.

Questa pronuncia, che valorizza il dato formale del richiamo che l’art. 342 c.p.c., comma 1, fa alle prescrizioni dell’art. 163 c.p.c. in toto, si colloca sulla scia di Cass., sez. III, 13 maggio 2002, n. 6820, e Cass., sez. Ili, 24 gennaio 2003, n. 1116, che però si riferivano entrambe ad ipotesi in cui il vizio era stato sanato.

In particolare Cass. n. 6820 del 2002, cit., ha affermato che qualora l’atto introduttivo del giudizio di appello non contenga l’avvertimento previsto dall’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c., il giudice (in mancanza di costituzione dell’appellato) ne dichiara la nullità e ne ordina la rinnovazione, anche dopo la prima udienza di trattazione (prevista dall’art. 350, secondo comma, c.p.c., ma non costituente limite preclusivo, potendo e dovendo il giudice rilevare la nullità dell’atto anche in sede di decisione e disporne, quindi, la rinnovazione prevista in via generale dall’art. 162 c.p.c.); la rinnovazione dell’atto comporta la sanatoria della nullità con effetto retroattivo ai sensi dell’art. 164, secondo comma, c.p.c. (nel testo modificato dall’art. 9 l. 26 novembre 1990 n. 353, che non è incompatibile con la disciplina del procedimento di appello). Cfr. anche Cass., sez. III, 16 ottobre 2009, n. 22024.

Parimenti Cass. n. 1116 del 2003, cit., ha ritenuto che la nullità dell’atto introduttivo del giudizio di appello derivante dalla mancanza dell’avvertimento previsto dall’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c, deve ritenersi sanata dalla costituzione dell’appellato, ove questi, nella comparsa di risposta, si sia limitato ad eccepirne genericamente la nullità, indicando le ragioni del vizio, tardivamente, soltanto nella comparsa conclusionale.

Più recentemente Cass., sez. Ili, 17 gennaio 2007, n. 970, ha precisato che, non essendovi luogo in appello per l’applicabilità né dell’art. 38 né dell’art. 167 c.p.c., l’oggetto dell’”avvertimento”, di cui è onerata la parte appellante in ragione del richiamo che l’art. 342 c.p.c. fa alle indicazioni prescritte nell’art. 163, consiste, invece, nelle decadenze proprie del giudizio di gravame. Successivamente in senso conforme cfr. Cass., sez. I, 20 febbraio 2009, n. 4208, secondo cui le decadenze sono individuabili in particolare nel diritto di proporre impugnazione incidentale e nella riproponibilità delle eccezioni disattese, oltre che delle questioni non accolte o ritenute assorbite nel primo giudizio; e ciò comporta che pure nel giudizio di secondo grado l’avvertimento in questione si pone a garanzia della parte appellata per cui, in caso di omissione, ne deriva la nullità dell’atto. Tale pronuncia precisa altresì che anche nel giudizio di appello la costituzione tardiva determina decadenze, individuabili in particolare nel diritto di proporre l’impugnazione incidentale e nella riproponibilità delle eccezioni disattese, oltre che delle questioni non accolte o ritenute assorbite nel primo giudizio.

8. Un secondo, più recente, orientamento è invece quello espresso da Cass., Sez. II, 23 dicembre 2011, n. 28676, che, ponendosi in consapevole contrasto con Cass. n. 970 del 2007, ha affermato che in tema di giudizio di appello, ove l’atto di impugnazione venga notificato, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., al procuratore dell’appellato, un’interpretazione costituzionalmente orientata, alla luce anche del principio del giusto processo e della durata ragionevole (art. 111 Cost.), impedisce di ritenere la nullità dell’anzidetto atto introduttivo del gravame in assenza dell’avvertimento di cui all’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c. (cui rinvia l’art. 342 c.p.c.) in ordine ai termini di costituzione ed alle decadenze conseguenti alla sua tardività (artt. 166 e 167 c.p.c), posto che il soggetto che concretamente riceve la notificazione è in grado, per le cognizioni tecnico-giuridiche delle quali deve presumersi sia professionalmente dotato, di apprezzare adeguatamente il contenuto dell’atto, anche se in esso non siano stati trascritti elementi che, tuttavia, possano agevolmente desumersi dai richiami normativi ivi contenuti, come quello, seppur generico, all’art. 166 c.p.c.. La pronuncia critica Cass. 970 del 2007, ritenendo che la ratio sottesa all’avvertimento ex art. 163 c.p.c. non è condivisibile nel caso del giudizio d’appello se in primo grado la parte era costituita; in quest’ultimo caso non opera la prescrizione dell’avvertimento

In senso conforme v. anche Cass., Sez. II, 30 dicembre 2011, n. 30603, che ha affermato che non sussiste nullità dell’atto di appello, allorché esso manchi dell’avvertimento secondo cui l’appellato, in caso di mancata costituzione nel termine, decade dal diritto di proporre l’appello incidentale, in quanto l’art. 342 c.p.c., nel richiamare l’art. 163 c.p.c., non prevede che tale avvertimento, nel giudizio di gravame, debba riferirsi espressamente alla possibilità di proporre appello incidentale, tenuto anche conto che l’atto di appello viene notificato al procuratore della parte, ove costituita, dunque a soggetto professionalmente attrezzato a conoscere le decadenze comminate dalla legge in caso di ritardata costituzione. In particolare tale pronuncia rimarca la mancanza di tipicità giacché la norma non fa riferimento all’appello incidentale e alle eccezioni non riproposte. Peraltro nella specie, vi era stata la sanatoria per mancata opposizione in sede di costituzione dell’appellato.

Altresì in senso conforme è Cass., Sez. II, 30 dicembre 2011, n. 30652, che ha affermato che – nell’ipotesi in cui venga proposto ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., denunciandosi, dalla parte rimasta contumace in secondo grado, l’omissione dell’avvertimento a comparire, di cui all’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c., nell’atto di citazione di appello notificato al difensore dell’appellato costituito in primo grado, e dunque a soggetto che deve essere a perfetta conoscenza degli obblighi e delle facoltà inerenti la difesa in appello – il denunciato error in procedendo non acquista rilievo idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata e la conseguente rinnovazione della citazione d’appello disposta dal giudice di rinvio, ove il ricorrente non indichi lo specifico e concreto pregiudizio subito per effetto di detta omissione, e perciò non consenta di ricondurre il censurato vizio processuale alla violazione dei principi del giusto processo. Ha osservato la S.C. che vi sarebbe altrimenti un'(inammissibile) integrazione piuttosto che un adattamento al giudizio d’appello. Inoltre ha considerato che l’avvertimento non ha senso in caso di appellato costituito in primo grado; occorre comunque che vi sia un pregiudizio effettivo; in ogni caso non è una violazione riconducibile ai principi del giusto processo.

9. La maggiore persuasività di quest’ultimo orientamento induce a comporre in tal senso il contrasto di giurisprudenza dando ad esso continuità con le puntualizzazioni che si vengono a fare.

10. In generale può considerarsi che la conoscenza delle regole processuali per la parte che agisce o che è evocata in giudizio – quali sono, nella fattispecie in esame, quelle che prevedono determinate decadenze nel caso di mancata costituzione in giudizio nel termine prescritto – discende dalla generale regola della legale conoscenza della legge e quindi della tendenziale, ancorché non assoluta, inescusabilità dell’errore di diritto; canone questo che rimane come principio generale anche se mitigato sotto vari aspetti: nella materia penale, dalla fondamentale pronuncia di incostituzionalità dell’art. 5 c.p. (C. cost. n. 364 del 1988) nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile; nella materia civile, dalla eccezionale rilevanza dell’errore di diritto nel contratto sia in generale (art. 1429 c.c.)

che in particolare (art. 1969 c.c.); nella materia processuale civile, dalla rimessione in termini ove la parte dimostri di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile (art. 184 bis e 153, secondo comma, c.p.c.) come nel caso di errore (di diritto) commesso dalla parte a causa dell’affidamento su un orientamento giurisprudenziale consolidato oggetto di successivo revirement (Cass., sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144).

A fronte di questo canone generale – che nella materia processuale civile è stato enunciato come “principio della legale conoscenza delle norme legislative” (C. cost. n. 61 del 1980) – le prescrizioni di “avvertimenti” che ricordano alla parte il contenuto di una determinata regola processuale, che comunque appartiene alla legge la cui ignoranza non scusa, costituiscono altrettante deroghe a tale principio ed, in quanto disposizioni speciali, esse non rappresentano norme di sistema e mal si prestano all’estensione in via interpretativa da una fattispecie ad un’altra.

Se si considera l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, l’espresso avvertimento di cui al n. 7 del terzo comma dell’art. 163 c.p.c. è previsto nell’ordinario giudizio di primo grado promosso con citazione innanzi al tribunale. Ma siffatta prescrizione non trova applicazione, pure con riferimento al giudizio di primo grado, nelle controversie di lavoro e di previdenza, atteso che l’art. 414 c.p.c., che al pari dell’art. 163 c.p.c., disciplina il contenuto della domanda introduttiva del giudizio, non contiene, a differenza di quest’ultima, alcun avvertimento simile a quello di cui al n. 7 del terzo comma dell’art. 163 c.p.c.. E un tale “avvertimento” neppure è contenuto nel decreto di fissazione dell’udienza di cui all’art. 415 c.p.c. anche se nelle controversie di lavoro parimenti possono determinarsi, per la parte convenuta, decadenze in relazione alla possibilità di eccepire l’incompetenza territoriale ovvero di proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio (Cass., sez. lav., 18 ottobre 2002, n. 14829). Cfr. anche C. cost. n. 61 del 1980 che ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell’art. 415 c.p.c. in riferimento all’art. 416 c.p.c., nella parte in cui non è previsto l’obbligo di portare a conoscenza del convenuto, con la notifica del ricorso introduttivo, che dieci giorni prima dell’udienza dovrà egli costituirsi indicando specificamente – a pena di decadenza – i mezzi di prova dei quali intende avvalersi.

Né tale avvertimento è prescritto dall’art. 318 c.p.c. che regola il contenuto della domanda nel giudizio innanzi al giudice di pace (Cass., sez. I, 11 luglio 2003, n. 10909). Cfr. C. cost. n. 154 del 1997 che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 318, primo comma, c.p.c. nella parte in cui non prevede che l’atto di citazione nel procedimento davanti al giudice di pace debba contenere l’avvertimento che la costituzione del convenuto oltre i termini di cui al successivo art. 319 c.p.c. implica le decadenze di cui all’art. 167 c.p.c..

Parimenti si è ritenuto (Cass., sez. I, 7 febbraio 2000, n. 1332) che nel giudizio di divorzio, la cui fase contenziosa inizia con la prima udienza davanti al giudice istruttore, non va formulato, né nel ricorso introduttivo né nel decreto presidenziale, l’avvertimento di cui all’art. 163, n. 7, c.p.c., la cui omissione non da quindi luogo ad alcuna nullità.

Tutte queste “fattispecie escluse” mostrano il carattere circoscritto della regola speciale contenuta nell’art. 163 c.p.c. nella parte in cui onera l’attore di includere, nell’atto di citazione, l’avvertimento per il convenuto che “la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167”.

11. Tale carattere circoscritto dell’ambito di applicazione di disposizioni speciali in deroga al suddetto canone generale della conoscenza delle regole del processo si accompagna alla testualità del contenuto dell’avvertimento stesso, che è quello specificamente ed espressamente previsto dalla legge. Se il legislatore ritiene che occorra rafforzare la consapevolezza di una regola processuale con un “avvertimento”, il contenuto di quest’ultimo, proprio per la finalità perseguita dalla prescrizione, non può che essere quello testualmente recato dalla prescrizione stessa piuttosto che quello risultante all’esito di un’attività interpretativa. Nella fattispecie in esame il n. 7 del terzo comma dell’art. 163 c.p.c. definisce testualmente il contenuto dell’avvertimento: la citazione in giudizio deve contenere l’avvertimento che la costituzione oltre i termini di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166 c.p.c, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, comporta le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c, ossia la decadenza dall’eccezione di incompetenza, che deve essere proposta a pena di decadenza nella comparsa di risposta; nonché la decadenza dal proporre eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. Questo, e non altro, è lo specifico contenuto dell’avvertimento a garanzia del convenuto affinché sia ben consapevole di questo particolare regime delle decadenze processuali.

Quindi l’altra connotazione peculiare di tali prescrizioni di “avvertimenti”, oltre al loro carattere speciale e derogatorio, è che risulta – de ve risultare – testualmente indicato nella norma stessa (in tal caso, nel n. 7 del terzo comma dell’art. 163 c.p.c.) il contenuto dell’avvertimento stesso; onere questo che, quando posto a carico di una parte, rischierebbe di alterare l’equilibrio delle posizioni delle parti nel processo se il suo contenuto non fosse ben identificato e richiedesse un’attività di completamento in via di interpretazione analogica o anche meramente sistematica. In tal caso la prescrizione dell’avvertimento tutela sì la parte destinataria dello stesso, ma non può costituire, per la parte onerata di comunicare l’avvertimento, un onere che, ove fosse di contenuto non testualmente definito, sarebbe già per ciò solo, in quanto sanzionato dalla nullità dell’atto, non proporzionato all’esigenza di tutela della controparte.

12. Il carattere specifico delle prescrizioni che prevedono la comunicazione di avvertimenti di natura processuale ed il loro contenuto testualmente definito e puntuale emergono come tratto comune dal complesso di tale normativa speciale e derogatoria, che è riferita sempre a fattispecie ben circoscritte. Quando il legislatore ha ritenuto di rafforzare la consapevolezza di una parte in ordine ad alcune conseguenze processuali potenzialmente per essa pregiudizievoli lo ha previsto espressamente ed ha indicato il contenuto dell’avvertimento prescritto.

Varie sono le disposizioni che prescrivono “avvertimenti” rilevanti nel processo. Di queste quelle più significative, al fine della questione interpretativa posta nel presente giudizio, sono proprio quelle che, in simmetria con la fattispecie dell’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c. prescrivono l’avvertimento alla parte convenuta o intimata in ordine a possibili decadenze quali conseguenze della sua non tempestiva costituzione in giudizio. Ciò che conferma il carattere speciale di siffatte disposizioni processuali: ubi lex voluit, dixit.

Può ricordarsi, in materia di procedimento sommario di cognizione, l’art. 702-bis c.p.c. che – nel prevedere che il ricorso introduttivo del giudizio deve recare le indicazioni di cui ai nn 1), 2), 3), 4), 5) e 6) del terzo comma dell’art. 163 c.p.c. – prescrive espressamente che esso debba contenere anche l’avvertimento di cui al n. 7) di tale ultima disposizione.

Così anche, in materia di procedimento di separazione personale dei coniugi, l’art. 709 c.p.c., nel disciplinare il contenuto dell’ordinanza con la quale il presidente fissa l’udienza di comparizione davanti al giudice istruttore, prescrive, altrettanto espressamente, che essa contenga l’avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all’art. 167 c.p.c. e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.

Può ricordarsi in proposito anche l’art. 186-ter c.p.c. che, nel prevedere l’ordinanza di ingiunzione di pagamento o di consegna emessa dal giudice istruttore nel corso dell’ordinario processo di primo grado, prescrive che essa debba anche contenere l’espresso avvertimento che, ove la parte non si costituisca cntro il termine di venti giorni dalla notifica, diverrà esecutiva ai sensi dell’art. 647 c.p.c..

In materia di procedimento monitorio l’art. 641 c.p.c. richiede che il giudice, nell’ingiungere alla parte debitrice di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose chieste o invece di queste la somma di cui all’art. 639 c.p.c. nel termine di quaranta giorni, deve contenere l’espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione a norma degli articoli seguenti e che, in mancanza di opposizione, si procederà a esecuzione forzata. Anche la citazione per la convalida di fratto deve contenere, con l’invito a comparire nell’udienza indicata, l’avvertimento che se non comparisce o, comparendo, non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto (art. 660).

Ed inoltre, con riferimento al processo di esecuzione ed in particolare alla forma del precetto, l’art. 480 c.p.c. prescrive che il precetto deve contenere l’avvertimento che, in mancanza di pagamento, si procederà a esecuzione forzata. Parimenti – prevede l’art. 492 c.p.c. – il pignoramento deve contenere l’avvertimento che il debitore può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti.

Insomma, sono queste tutte fattispecie ben circoscritte da cui non è possibile sussumere un principio generale di sistema, che le unifichi; ma da cui all’opposto risulta confermato che il canone generale è invece quello della ordinaria conoscenza della legge processuale e della tendenziale non scusabilità della sua ignoranza e dell’eventuale errore di diritto su di essa. Cfr. C. cost. n. 389 del 2005 che – nel dichiarare manifestamente infondata questione di legittimità costituzionale dell’art. 619 c.p.c., nella parte in cui non dispone che il ricorso introduttivo di tale procedimento debba contenere, a pena di nullità, l’invito all’opposto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza fissata dal giudice dell’esecuzione con pedissequo decreto ovvero, al più tardi, alla stessa udienza, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui all’art. 167 c.p.c. – ha affermato che “che, infine, la circostanza che una norma (art. 163, numero 7) preveda la necessità dell’avviso al convenuto, a pena di nullità (art. 164), dell’esistenza di un termine decadenziale […] non comporta certamente che debba ritenersi costituzionalmente dovuta identica, o analoga, disciplina anche relativamente a procedimenti diversamente strutturati, quando l’omessa previsione di quell’avviso non renda – com’è evidente nella specie – la diversa disciplina manifestamente irragionevole”.

Parimenti specifica è la ratio legis sottesa a ciascuna di tali disposizioni: la prescrizione dell’avvertimento persegue, di volta in volta, una peculiare finalità di garanzia e tutela della parte destinataria di tale avvertimento; finalità che deve avere una sua risconoscibile ragionevolezza a giustificazione di un onere processuale siffatto – quello dell’avvertimento – posto a carico di una parte o del giudice.

13. Marginalmente può ricordarsi che altrettanto speciali sono analoghe prescrizioni di “avvertimenti” o “avvisi” nella materia del processo penale: cfr. art. 64 c.p.p. (in tema di regole per l’interrogatorio); art. 369-bis (sull’informazione della persona sottoposta alle indagini sul diritto di difesa); art. 415-bis (sull’avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari); art. 419 (sull’avviso di fissazione dell’udienza preliminare che deve contenere l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia); art. 429 (sul decreto che dispone il giudizio che parimenti deve recare l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia). La specialità emerge anche dalle pronunce di infondatezza di questioni di costituzionalità sollevate da ordinanze di rimessione che censuravano la mancata previsione di determinati “avvertimenti” o “avvisi”; cfr., ex plurimis, C. cost. n. 8 del 2007 che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 419 c.p.p. nella parte in cui non prevede che l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare debba contenere a pena di nullità, l’avvertimento all’imputato che egli ha la facoltà di richiedere i riti alternativi del giudizio abbreviato e del patteggiamento previsti dagli artt. 438 e 444 del medesimo codice.

14. Tenendo conto quindi tanto del carattere derogatorio e speciale delle norme che prescrivono avvertimenti a favore di una parte, quanto della necessaria testualità letterale del contenuto dell’avvertimento, risulta allora decisiva la considerazione che l’art. 342 c.p.c., sia nella formulazione sostituita dall’art. 50 legge 26 novembre 1990 n. 353, sia in quella novellata dall’art. 54, comma 1, lett. 0a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, richiede sì che l’appello, proposto con citazione, contenga le indicazioni prescritte dall’art. 163 c.p.c., ma senza riformulare né riadattare l’onere dello specifico avvertimento di cui al n. 7 del terzo comma di tale ultima disposizione.

Il carattere speciale e derogatorio della prescrizione che reca l’onere dell’avvertimento comporta che anche per l’appello avrebbe dovuto esserci un’espressa previsione (come nella ricordata fattispecie dell’art. 702 bis c.p.c. che parimenti richiama l’art. 163 c.p.c.), analoga a quella prevista per il giudizio di primo grado; espressa p revisione che invece n ell’art. 342 e.p.c. è in ancata sia in occasione della riforma processuale del 1990, sia in sede di recente novellazione della norma (ex d.l. n. 83 del 2012).

La necessaria testualità letterale del contenuto dell’avvertimento avrebbe richiesto che fosse ben chiaro ciò di cui in ipotesi l’appellante avrebbe dovuto avvertire la parte appellata; laddove invece, muovendo dal contento dell’avvertimento nell’atto di citazione per il giudizio di primo grado, si dovrebbe risalire in via analogica al contenuto dell’avvertimento nell’atto di citazione per il giudizio per il giudizio d’appello. In tale grado di giudizio il riferimento rispettivamente all’art. 38 e all’art. 167 c.p.c., contenuto nel n. 7 del terzo comma dell’art. 16 3 c.p.c., è certo privo di significato, perché tali disposizioni si riferiscono esclusivamente al giudizio di primo grado che prevede un termine per proporre l’eccezione di incompetenza (art. 38) o eventuali domande riconvenzionali ed eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio (art. 167). Né è possibile rinvenire equipollenti di tali due ultime disposizioni nell’art. 343 c.p.c., che riguarda l’appello incidentale, ben diverso dalla domanda riconvenzionale in primo grado, né nell’art. 345 c.p.c. che riguarda il regime delle domande ed eccezioni nuove, tipico del giudizio di impugnazione, né nell’art. 346 c.p.c. sulla decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte, che costituisce anch’esso uno specifico regime processuale dell’appello. Sicché in contrasto con la rilevata connotazione comune delle richiamate disposizioni processuali che prescrivono puntuali “avvertimenti” in riferimento a fattispecie ben circoscritte, l’art. 342 c.p.c., per accedere all’interpretazione qui disattesa, richiederebbe un’inammissibile integrazione ed adattamento di una regola processuale dettata specificamente per il primo grado al fine di renderla applicabile anche al grado d’appello.

15. Vi è poi la ratio della norma che è ben presente nell’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c., ma che non sarebbe parallelamente rinvenibile, negli stessi termini, nell’art. 342 c.p.c..

In primo grado destinatario dell’avvertimento è il convenuto in giudizio che, al momento della notifica dell’atto di citazione, non ha ancora un difensore costituito. Si giustifica quindi la particolare garanzia approntata dal legislatore della l. n. 353/1990 in favore del convenuto che normalmente non ha cognizioni delle regole del processo e che quindi si è ritenuto debba essere avvertito di possibili conseguenze processuali per lui sfavorevoli, qual è il regime delle decadenze. Cfr. C. cost. n. 58 del 1979 che, in riferimento alla previsione, secondo la quale il decreto che dichiara lo stato di adottabilità deve essere notificato per esteso (anche) ai genitori, con il contestuale “avviso” che hanno diritto di proporre opposizione nelle forme e nei termini di legge, ha affermato che è “l’ignoranza delle disposizioni processuali che induce gli interessati a non svolgere quel minimo di attività che consentirebbe loro di non far decorrere il termine in esame”.

Diversa è invece la posizione dell’appellato innanzitutto allorché (come s i è verificato nel caso di specie) si sia costituito nel giudizio di primo grado a mezzo di un difensore che ha le necessarie conoscenze tecniche per l’esercizio della professione legale e che quindi non ha bisogno di alcun avvertimento in ordine al regime dell’appello incidentale, alle domande ed eccezioni nuove, e alla decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte.

Ma anche ove il convenuto in primo grado sia rimasto contumace, la posizione di quest’ultimo quale appellato, in tutto o in parte vittorioso in primo grado, è comunque ben diversa da quella del convenuto al momento iniziale della notifica dell’atto introduttivo del giudizio; sicché anche in riferimento a quest’ultimo non sarebbe predicabile quella stessa ratio legis che si rinviene nell’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c.. Il convenuto contumace in primo grado ha già fatto una scelta nel non costituirsi; la sua posizione come appellato, già peraltro tutelata dalla sentenza appellata che in tutto o in parte ha visto quest’ultimo vittorioso, è ben diversa da quella del convenuto in primo grado, destinatario della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio, sicché non sarebbe riconoscibile – né suscettibile di traslazione mutatis mutandis – quella specifica ratio sottesa all’art. 163, terzo comma, n. 7, che – si ripete – è quella di tutelare un soggetto (il convenuto con atto di citazione nel giudizio di primo grado) ancora necessariamente (e non per scelta) privo di difesa legale e quindi non attrezzato di norma a comprendere le tecnicalità del processo. Invece un onere di avvertimento nell’atto di citazione in appello, in ipotesi costruito a somiglianza di quello previsto per il giudizio di primo grado e prescritto indifferenziatamente (perché comunque l’art. 342 c.p.c. non opera siffatta distinzione) sia nell’ipotesi dell’appellato costituito nel giudizio di primo grado sia in quella dell’appellato rimasto contumace in primo grado, ridonderebbe comunque in irragionevolezza interna dell’art. 342, ove così interpretato, per trattamento uniforme di situazioni obiettivamente differenti.

16. In conclusione, per le argomentazioni finora esposte, la tesi in diritto svolta nell’unico motivo di ricorso è infondata e quindi il ricorso deve essere rigettato.

In applicazione dell’art. 384, primo comma, c.p.c. può enunciarsi il seguente principio di diritto: “L’art. 342 c.p.c. – che, nel testo (applicabile ratione temporis) quale sostituito dall’art. 50 legge 26 novembre 1990, n. 353, e prima dell’ulteriore modifica di cui all’art. 54, comma 1, lett. 0a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, prevede che l’appello si propone con citazione che deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell’impugnazione, nonché “le indicazioni prescritte nell’art. 163” – non richiede altresì che, in ragione del richiamo di tale ultima disposizione, l’atto d’appello debba contenere anche lo specifico avvertimento, prescritto dal n. 7 del terzo comma dell’art. 163 c.p.c., che la costituzione oltre i termini di legge implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., atteso che queste ultime si riferiscono solo al regime delle decadenze nel giudizio di primo grado e non è possibile, in mancanza di un’espressa previsione di legge, estendere la prescrizione di tale avvertimento alle decadenze che in appello comporta la mancata tempestiva costituzione della parte appellata”.

Alla soccombenza consegue la condanna della ricorrente al pagamento le spese di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 200,00 (duecento) per esborsi ed in Euro 5.200 (cinquemiladuecento) per compensi d’avvocato oltre accessori di legge.

 


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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23 commenti:

  1. Dario

    Se una sentenza ha accolto un opposizione a d.i. nel senso di ridurre l’importo indicato nel decreto, l’opposto può proporre appello e contestualmente
    avviare l’esecuzione della gravata sentenza per la parte di credito riconosciuta? oppure, come mi è stato riferito, l’esecuzione equivale ad implicita acquiescenza e, conseguentemente, impedirebbe la proposizione del gravame?
    Grazie

  2. Silvia

    Buongiorno Ho bisogjno del suo aiuto!!

    Mio papa si è fatto fregare dal commune un terreno anni fà e non ancora pagato. Dopo tantissimi anni ancora la causa non è stata risolta…

    Le ultime scuse sono:
    1) La informo che la trattazione dell’appello è stata rinviata all’udienza del 26/05/2016, in quanto la Cancelleria della Corte di Appello non aveva ancora acquisito il fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado.
    Questa acquisizione è indispensabile per potere andare avanti nella causa ed i ritardi sono imputabili al fatto che la Sezione Distaccata di Siderno (presso la quale si è svolto il primo grado del giudizio), è stata soppressa con accormapento al Tribunale Civile di Locri, presso il quale sono confluiti tutti i fascicoli e documenti relativi a detta sezione.

    2) la causa oggi è stata rinviata al 10/11/2016 per la trattazione dell’appello e sempre per l’acquisizione del fascicolo di primo grado, ossia relativo al giudizio che si è svolto a Siderno, non avendo ancora provveduto la cancelleria del Tribunale di Locri. Purtroppo questi sono i tempi della giustizia, dettati dai giudici, sui quali, ahimè, gli avvocati non hanno potere.

    Mi sà spiegare in modo semplice perchè I termini giuridici sono complicati “non aveva ancora acquisito il fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado”

    La ringrazio tantissimo!

  3. Michele Tarantino

    Con il primo grado di giudizio venivo assolto con formula piena per alcuni capi di imputazione mentre per altri venivo condannato per peculato. Contestualmente venivo sospeso dal lavoro dall’Ente Comune con retribuzione ridotta ad assegno alimentare pari al 5O%. Successivamente in appello la sentenza veniva riformata dihiarando la Corte non doversi procedere in ordine al relativo reato in quando estinto in data antecedente a quella della condanna inflitta in primo grado e per l’effetto revoca le statuzioni civili contenute in ques’ultima. Si chiede gentilmente se si ha diritto alla restituzione delle somme dello stipendio non percepite. Considerando che in primo grado avevo già riportato per altri capi di imputazione l’assoluzione con formula piena grazie

  4. Carlo Giusti

    La sentenza di appello riforma parzialmente quella del tribunale, dispone sulle spese di lite ma nulla dice riguardo le spese del giudizio di primo grado. Che fine fanno tali ultime spese ? Grazie

  5. Paola vivaldi

    Egregio Avv. ho un dubbio. Ho vinto in Cassazione in merito al mio divorzio. Vittoria totale, tutte le domande accettate. Rimandata la causa alla Corte d Appello. Quest ultima aveva completamente spazzato via ben 3 assegni di mantenimento(mio e dei miei 2 figli)
    Stiamo procedendo al conteggio del dovuto di questi anni mai più pagati. L avvocato che mi ha seguito x separazione e divorzio sostiene che i calcoli vanno fatti a partire dalla sentenza di Appello,il cassazionista dice che per il principio della sostituzione(mi sembra..) vengono cassati i precedenti gradi di giudizio e si riparte dalla sentenza di separazione. Chi ha ragione?

  6. Endymion

    “le stesse possono trovare ingresso nella fase di g”ravame predetta al fine di precostituire il titolo esecutivo per le restituzioni, fermo restando che la condanna restitutoria va subordinata al passaggio in giudicato e, in ogni caso, non può essere eseguita prima di quel momento.”

    Dunque se pende il giudizio in cassazione non mi possono chiedere la restituzione delle somme?

  7. Ludovico Tallarico

    Buonasera ho appena subito sentenza di separazione personale con un aumento dell’assegno di mantenimento. Il mio stipendio attuale e’ di circa 1250 euro ed il trib.ha stabilito debba 380 euro di mantenimento. Attualmente convivo avendo lasciato l’abitazione familiare poiche’ assegnata.Ho ragione di chiedere un abbattimento della debenza?
    Se non avessi convissuto sarei letteralmente per strada.
    Sono laureato ho la qualifica di operaio ed il giudice ha innalzato il mantenimento valutando che la mia preparazione lasci ben sperare per un posto di lavoro migliore.Peccato non sia cosi’…se fosse cosi’facile mi piacerebbe chiedere al giudice di trovarmi un posto da laureato.Sono una guardia giurata…
    Grazie x l’attenzione ed eventuale gradita replica.

  8. Raffaele Caccia

    Gli attori, eredi di un soggetto deceduto a seguito di sinistro stradale, sono stati condannati al pagamento delle spese legali a seguito del rigetto della loro domanda. Soltanto uno degli eredi vorrebbe proporre gravame alla sentenza . Posso proporre appello solo per uno di loro e non per tutti?
    Grazie.

  9. Giuseppe Galata'

    Vorrei esporre il mio caso :
    Il condominio aveva intentato causa ad un condomino ; il sottoscritto aveva partecipato al primo grado.
    Il condominio vide rigettarsi in primo grado le richieste , con compensazione delle spese.
    Il condominio era ricorso in appello ; il sottoscritto aveva espresso ritualmente dissenso in base al 1132 c.c.
    All’esito dell’appello il condominio vide la “conferma integrale della sentenza impugnata” e la rifusione delle spese sia di primo che secondo grado.
    L’amministratore elabora una ripartizione secondo il seguente schema:
    • la parte della soccombenza in appello dovuta per il primo grado , a coloro che avevano promosso il primo grado ( tra cui il sottoscritto) ed a coloro che non avevano dissentito
    • la parte della soccombenza in appello dovuta per il secondo grado , a coloro che avevano promosso il secondo grado ed a coloro che non avevano dissentito
    La domanda è la seguente :
    Se è certo che è stato il ricorso in appello del condominio a determinare la condanna alla rifusione delle spese alla controparte anche in primo grado , perchè il sottoscritto , che aveva ritualmente espresso il proprio dissenso in riferimento all’art.1132 c.c. “separando la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza” , si è visto caricato di quest’onere , soprattutto in considerazione che il primo grado aveva visto la compensazione delle spese?

  10. Mirco Minardi

    @mi pare corretta la ripartizione, in quanto il giudice d’appello ha modificato la decisione delle spese relative al primo grado

  11. Michela

    Ho vinto il primo grado di giudizio e il mio ex datore di lavoro è stato condannato al pagamento di un’indennita risarcitoria di 12 mensilità per licenziamento nullo più la reintegra che io ho rifiutato in luogo dell’indennita’ di 15 mesi. Dopo diversi mesi ancora non ha pagato e ha impugnato in appello. Mi è stato sconsigliato dal mio avv di andare avanti con il pignoramento, perché nel caso la sentenza di primo grado venga confermata in secondo, si dovrebbe rifare tutta la procedura da capo essendo cambiando il titolo esecutivo. È corretto?
    Quindi tanto vale aspettare e accettare la proposta ricevuta da avv della controparte, cioè di pagarmi un acconto oggi e aspettare la sentenza di secondo grado. Io sono perplessa, ho una sentenza in mio favore da tanti mesi e non mi sento per niente tutelata.

  12. Antonio

    A seguito di sentenza di appello che mi impone la restituzione di quanto incamerato in primo grado (quale distrattario), mi viene un dubbio nell’apprestarmi alla riconsegna: a suo tempo l’impresa soccombente versò in mio favore le spese comprensive di IVA e applicò la Ritenuta di Acconto provvedendo al versamento. Mi chiedo: io dovrò restituire anche l’importo ricevuto per IVA, nonostante l’impresa ha avuto titolo per “scaricarla” ? e indoltre: dovrò aggiungere alla somma netta percepita anche l’importo a suo tempo versato dall’impresa soccombente come Ritenuta di Acconto ?
    Grazie
    Antonio

  13. Emanuela

    Salve, avrei una domanda. Mio cognato, docente, anni fa ha vinto in primo grado una causa di lavoro ottenendo il risarcimento x mancata stabilizzazione. Essendo nel frattempo entrato di ruolo e avendo proposto appello il Miur, mio cognato ha deciso di non costituirsi in giudizio, stante anche gli orientamenti a lui sfavorevoli della Cassazione. Il giudice di appello stavolta ha accolto il ricorso del MIUR sia basandosi appunto sulle recenti sentenze della Cassazione che considerano il passaggio di ruolo come una forma diversa di ristoro sia adducendo che nel ricorso mancano “le prove” dell’abuso reiterato da parte del MIUR, non essendo stati allegati al ricorso i documenti che provano il susseguirsi del rapporto di lavoro presso lo stesso istituto e con riguardo alla stessa cattedra. Ora io mi chiedo: il giudice d’appello non avrebbe dovuto avere contezza di questi documenti rinvenendoli nel fascicolo d’ufficio di primo grado? Perché è chiaro che il MIUR non li ha allegati al suo ricorso, né mio cognato avrebbe potuto non n essendosi costituito in appello. Inoltre, posto che mio cognato ha difatti prestato servizio in modo reiterato presso la stessa cattedra può ricorrere in Cassazione facendo valere questi documenti che lo attestano o non si può far nulla? E se non si può ricorrere in Cassazione si può rifare un’altra causa facendo valere questi documenti che in appello forse intenzionalmente non sono stati esibiti da parte del MIUR? Grazie della risposta

  14. Carlo

    Gentile Collega, approfitto della tua esperienza per chiederti un parere su una questione capitatami di recente. Uno dei convenuti (già contumace), muore durante il processo e il fatto è documentato da relata dell’ufficiale giudiziario relativa alla notifica dell’ordinanza che ammette interrogatorio. Il giudice “dimentica” nella confusione dell’udienza di dichiarare l’interruzione e rinvia per proseguire interrogatorio formale Delle altre parti (nessun collega si accorge dell’anomalia, eravamo 10 convenuti). A distanza di più di 3 mesi, prima di procedere all’interrogatorio, eccepisco l’estinzione per mancata riassunzione…il collega dell’attore sostiene che ha tempo un anno per riassumere al domicilio del defunto presso gli eredi…il giudice si è riservato…che ne pensi?

  15. Mauro

    Sul giudizio di appello e domanda di garanzia vorrei sottoporLe il seguente quesito.
    Tizio cita Caio e Caio chiama in causa Sempronio per manleva.
    Il giudice condanna Caio a risarcire Tizio accogliendo anche la domanda di manleva.
    Sempronio (terzo soccombente in primo grado) impugna la sentenza contro Tizio (attore in primo grado).
    Caio (convenuto in primo grado) deve costituirsi con appello incidentale o può semplicemente riproporre la domanda di manleva?

  16. NICO

    Buondi’. Nell’atto ricorso cassazione telematico erroneamente (errore di forma) ho scritto con procura …in calce, ma in realta’ e’ stata rilasciata autenticata e rimessa …in allegato. Che succede? Grazie.

  17. Onofrio antonio spinoso

    Sono un avvocato e sarei interessato a leggere gli articoli di commento sulle varie problematiche nonchè gli schemi degli atti processuali.



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